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IL CAIRO (Egitto). Due italiani per il sant’Antonio d’Egitto.

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Concluso, per un costo di 15 milioni di dollari, il recupero del monastero copto costruito presso la grotta dell’anacoreta.
Il Consiglio Superiore delle Antichità egiziano ha recentemente annunciato la fine dei restauri del Convento di Sant’Antonio, costati quasi quindici milioni di dollari.
Situato nel deserto orientale all’altezza della città di Beni Suef, il monastero fu edificato alla morte dell’anacoreta Antonio, nel 356 d.C., vicino alla grotta in cui il sant’uomo aveva trascorso la maggior parte dei suoi 105 anni di vita.
La struttura monastica è tutt’ora in funzione e rappresenta una delle istituzioni religiose copte più longeve.
Nei secoli ha subito varie incursioni ed è per questo che il monastero è circondato da alte mura il ripristino delle quali ha rappresentato la fase finale dei restauri. Le due chiese del convento sono decorate con pitture risalenti al VI-VII secolo, attribuite al maestro Teodoro, e al XIII secolo, anonime ma di chiara ispirazione bizantina.
Nella metà degli anni Novanta quest’ultimo complesso pittorico è stato oggetto di un restauro che ha visto per protagonisti due restauratori italiani: Adriano Luzi e Luigi De Cesaris che abbiamo intervistato.

Come è iniziata l’avventura del restauro di sant’Antonio?
Tutto parte dalla tomba di Nefertari, dove lavoravamo sotto la direzione di Paolo e Laura Mora. Un giorno arriva un giovane monaco (Maximos El-Antony, l’attuale vicario del monastero) e chiede loro se era possibile fare qualcosa per le pitture di sant’Antonio.
I Mora decidono di mandare Adriano e me a compiere alcuni saggi di pulitura.
Era il 1992. Con i risultati preliminari da noi ottenuti il monaco comincia a cercare finanziamenti: l’American Research Center in Egypt (Arce) accetta e nel 1996 comincia il lavoro che portiamo a termine nel 1999.

Qual era il vostro obiettivo?
I dipinti erano coperti da uno spesso strato di fuliggine che li rendeva illeggibili. Siamo riusciti a recuperarli quasi al cento per cento.
Il nostro scopo è stato quello di restaurare l’opera pittorica conservando le successive fasi del  contesto architettonico (XIV-XV secolo).
Abbiamo riaperto finestre murate, ripristinato il pavimento in terra battuta dipinta di rosso.
L’idea era quella di riportare tutto al momento in cui gli anonimi artisti se ne erano andati.

Quali sono stati i risultati ottenuti?
L’Arce ci ha coinvolto in altri progetti. Con loro abbiamo lavorato al Convento di San Paolo l’Eremita.
Purtroppo Adriano è venuto a mancare a lavori quasi conclusi.
Quello che avevamo costruito insieme non è però andato perduto.
Il nostro percorso professionale comune, con persone più giovani, è continuato con gli interventi al Museo Copto del Cairo e il restauro degli affreschi romani del Tempio di Luxor.
In Egitto stiamo ancora lavorando all’importantissima decorazione pittorica del Convento Rosso.

Autore: Francesco Tiradritti

Fonte: Il Giornale dell’Arte numero 296, marzo 2010.

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