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PIACENZA. Il fegato di Piacenza e l’arte divinatoria etrusca e mediorientale.

fegato

Settembre 1877.
Fervono i lavori di aratura nella fattoria del conte Arcelli a Settima di Ciavenasco, per preparare il terreno alle future semine. I buoi tirano l’aratro con passo lento, ma poderoso e il contadino li guida con sapienza per dissodare al meglio il terreno. Ad un certo punto la sua attenzione viene richiamata da un secco suono metallico dovuto all’urto dell’aratro con qualcosa di interrato. Il contadino raccoglie lo strano oggetto appena estratto dalla terra, lo ripulisce dalla stessa e lo esamina incuriosito.
Ha una strana forma con una parte convessa che si adatta perfettamente al palmo della sua mano, mentre sull’altra faccia presenta tre protuberanze, una appuntita e due ovali e alcuni segni indecifrabili. Chi mai può aver prodotto un oggetto così strano e poi a che diavolo può servire? Le domande restano senza risposta e il contadino getta l’oggetto sotto un albero lungo il confine della proprietà e riprende il suo proficuo lavoro di aratura.
E’ così che fu ritrovato uno dei più sorprendenti reperti della civiltà etrusca e il suo ritrovamento richiama la nascita di Tages, divinità etrusca con il corpo di fanciullo e la sapienza di un anziano che sbucò da un solco durante i lavori di aratura presso Tarquinia per rivelare a quel popolo i sacri scritti.
Il primo agosto 1894 il conte Caracciolo che nel frattempo era venuto in possesso dell’oggetto lo dona al Museo Civico di Piacenza.
L’oggetto rappresenta con sorprendente fedeltà il fegato di una pecora e nella sua parte superiore oltre alla rappresentazione della colecisti vi sono 40 iscrizioni in lingua etrusca divise il 16 settori. Nei sedici settori sono inscritti i nomi di 30 divinità etrusche e ciascun settore corrisponde ad una specifica sezione del cielo; gli astronomi etruschi avevano diviso il cielo in sedici settori e nella loro visione il fegato rappresentava l’immagine dell’ordine cosmico.
Solo successivamente fu chiarito che lo strano oggetto era un fegato usato dagli aruspici per la loro arte divinatoria come è ben rappresentato nel coperchio di una urna funeraria ritrovata a Volterra dove l’aruspice Aule Lecu tiene in mano un fegato simile. Compito dell’aruspice etrusco era di interpretare il volere divino attraverso l’esame del fegato dell’animale sacrificato alla divinità. Il modello in bronzo era quindi una guida pratica per interpretare le viscere e poter pronunciare le profezie richieste.
Questo modellino bronzeo di fegato trova riscontro in altri trovati in Etruria ma fatti di terracotta, del tutto simili, a quelli trovati, in numero di circa 30, nella lontana Babilonia. E questa notevole corrispondenza costituisce evidentemente una importante conferma dell’origine medio-orientale degli Etruschi.
Resta da spiegare come mai un tale reperto sia stato trovato in una zona dove non c’erano insediamenti etruschi e a così poca profondità nel terreno. La tesi più accreditata è che tale manuale sia stato perduto da un aruspice etrusco al seguito di qualche condottiero romano durante una campagna militare. I generali romani erano usi portare con se aruspici che li guidassero nelle decisioni da prendere in battaglia ed in effetti in quella zona c’è memoria di almeno tre eventi bellici di rilievo tra il 150 e il 30 a.c.: La sconfitta del console Papirio Carbone da parte del generale Marco Emilio Lucullo (82 a.c.), la spedizione di Pompeo contro Marco Emilio Lepido (77 a.c.) e l’ammutinamento delle legioni di Giulio Cesare (49 a.c.) stanziate a Piacenza.
Il fegato etrusco è conservato e può essere ammirato al Museo Civico di Piacenza, in Palazzo Farnese.

Autore: Fabio Rossi

Fonte: Gruppo Italiano Amici degli Etruschi, 8 feb 2021

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