Fra i più importanti centri riguardano l’arte rupestre paleolitica (fra i 40.000 e i 10.000 anni fa, cioè dalla comparsa dell’uomo moderno alla fine della glaciazione) dell’arte cantabrica francese (Francia Sud-Occidentale e Spagna Settentrionale) si ricordano Le Tuc d’Audoubert, del comune di Montesquieu-Avantes, le Grotte d’Enlene e Les Trois Frères (I Tre Fratelli); questi centri formano un unico complesso di gallerie sotterranee alle falde dei Pirenei francesi, non lontano dal fiume Volp.
La grotta Le Tuc d’Audoubert è molto ricca di opere d’arte, che vanno dalle incisioni rupestri ad alcune pitture rupestri a simboli astratti, da una maschera antropomorfa a qualche scultura, tanto da formare un insieme di circa 400 elementi; ma di tutti questi a essere stupefacente è un reperto in argilla, riproducente una coppia di bisonti.
Questo manufatto evidenzia l’arte paleolitica nel dipartimento francese dell’Ariège dell’Occitania, regione francese fra il Mediterraneo orientale ed i Pirenei meridionali.
Per la datazione del sito, ci si è serviti dell’analisi stratigrafica, riferendosi agli strati di depositi in cui l’oggetto fu rinvenuto, e non solo, giacché ci si è riferiti pure al metodo della datazione al radiocarbonio applicato ai resti organici rinvenuti nello stesso strato, per cui la stima dell’età ha una ragionevole validità. Pertanto, è plausibile che l’opera di cui si tratta sia stata portata a termine fra il 13.500 e l’11.500 a.C.
La scoperta della grotta del Tuc d’Audoubert avvenne a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, ma i bisonti furono trovati il 10 ottobre 1912 (per la precisione, alle ore 12:15).
I lavori di ricerca e scavo furono iniziati dal paleostorico Emile Cartailhac e poi continuati dagli archeologi Abbe Henri Breuil, Jean Clottes e Henry F. Rouzaud, insieme con un gruppo di studiosi della CEA di Grenoble. Le tre grotte appartenevano alla famiglia del conte Begouen, che fece il possibile per mantenerle al meglio e si interessò pure per conoscerne il contenuto, come lo dimostra il fatto che R. Begouen, nel 1976, trovò i disegni alla base del bisonte.
L’artefatto fu rinvenuto in una sala estremamente buia, sita molto addentro alla grotta: infatti questa si trova addirittura a 587,50 metri dall’ingresso; questo fatto sta a significare che chi l’ha costruito o aveva qualche torcia per illuminare il luogo oppure il lavoro è stato eseguito all’esterno e poi sistemato laggiù alla fine.
La coppia di bisonti è modellata in argilla proveniente dalle pareti della grotta stessa. Il maschio è lungo 64 centimetri e alto 45, mentre le femmina è leggermente più piccola, essendo lunga 61 centimetri e alta 29. Il corpo degli animali è stato lisciato con la mano bagnata, evidenziandone la muscolatura, e lasciando i segni delle impronte digitali. Sicuramente, il pelo dei bisonti è stato scolpito con l’uso di un utensile, mentre sembra certo che l’esecuzione delle mascelle sia stata ottenuta con le unghie. L’autore, ha dimostrato una grande maestria nel fissare gli atteggiamenti dei due bisonti. Infatti, secondo l’impressione di alcuni commentatori, egli è riuscito a far comprendere come la femmina fosse pronta all’accoppiamento, mentre il maschio indugiasse, fiutando l’aria attorno a lui.
Lo stato di conservazione è abbastanza buono, anche se l’essiccamento e il conseguente ritiro abbiano prodotto delle piccole crepe. La coppia era appoggiata su un masso lungo un metro e 52 centimetri, largo 80 centimetri e alto 58 che, con ogni probabilità, si era distaccato dal tetto ed era caduto nella sala.
Ora, l’interpretazione della scultura è difficile da formulare. Sembra certo che le grotte non siano servite come abitazione delle genti di allora, ma semplicemente che siano state utilizzate nei riti che precludevano la caccia, essendo il bisonte una importante fonte di cibo; oppure che abbiano un significato più elevato, di carattere spirituale o religioso alla base di una certa forma di culto, di rito o, ancora, una via per tenere aperto un legame con il mondo spirituale.
Comunque, indipendentemente da tutto, il manufatto è qualcosa di speciale che consente di aprire una finestra su un mondo del passato e di mostrarne l’importanza tecnica e storica che merita.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it