Durante i lavori di ricerca e di scavi nelle Terme di Caracalla a Roma, eseguiti approssimativamente attorno all’anno 1546, venne alla luce una stupenda ed enorme statua rappresentante Ercole (Eracle per i Greci e Hercules per i Latini), un eroe- semidio, figlio di Zeus, il padre degli dèi, e della mortale Alcmena, in possesso di una forza al di fuori dell’ordinario, che gli consentiva di compiere imprese eccezionali e tutte sempre a favore del bene.
Il nome Ercole entrò a far parte del linguaggio comune per definire un essere umano dotato di una grande forza fisica e, in tempi passati, si riferiva a forzuti che si esibivano in occasione di fiere o di rappresentazioni nei circhi. Sicuramente la statua è un’opera in marmo uscita dalle abili mani dello scultore ateniese neoattico Glicone del III secolo d.C., che si è servito, quale modello, di quella in bronzo fusa nel IV secolo a.C. da Lisippo.
Ercole è entrato a far parte della mitologia greca e romana quale seguace del culto di Eracle, forse dopo essere stato introdotto dai coloni greci fra i Sanniti e fra i Latini ed i Sabini. Le imprese che dovette affrontare (le 12 che di seguito si riportano) furono l’espiazione della colpa per aver commesso un atto criminale, vale a dire l’eliminazione dei componenti della sua famiglia in un momento di ira irrefrenabile. Superate le 12 prove, fu perdonato e gli fu concessa l’immortalità.
1. Uccidere l’invincibile Leone di Nemea, scuoiarlo e prendere la sua pelle come trofeo;
2. Uccidere Idra di Lerna, ritenuta immortale;
3. Catturare la cerva di Cerinea;
4. Catturare il cinghiale di Erimanto;
5. In uno solo giorno ripulire le stalle di Augia;
6. Disperdere gli uccelli del lago Stinfalo;
7. Catturare il toro di Creta;
8. Rubare i cavalli di Diomede;
9. Togliere la cintura a Ippolita, la regina delle Amazzoni;
10. Rubare i buoi di Gerione;
11. Rubare i pomi d’oro delle Esperidi;
12. Prendere Cerbero, il guardiano a tre teste degli Inferi, e portarlo vivo a Micene.
Al momento del ritrovamento, all’opera mancavano alcuni pezzi importanti, quali il capo, ritrovato dopo non molto tempo, le due gambe, l’avambraccio e la mano sinistra e gli occhi. Il papa Giulio II interpellò Michelangelo, chiedendogli di rimettere la statua in sesto, sostituendo le parti mancanti. Questi si dimostrò contrario a quella richiesta, perché i reperti devono restare come sono stati ritrovati e la statua era bellissima così com’era e non aveva bisogno di essere alterata con aggiunte improbabili; per questo, egli rinunciò all’incarico. Lo stesso non avvenne quando l’incarico fu affidato dal committente successivo, il papa Paolo III (al secolo Alessandro Farnese), a uno degli allievi del Buonarroti, Guglielmo della Porta, che, senza tanti scrupoli, lo accontentò. Egli ricostruì l’avambraccio, la mano e gli occhi in gesso, e fornì al gigante due gambe nuove di zecca.
Continuando negli scavi, furono ritrovate le gambe originali, ma poiché i pezzi ricostruiti da parte di Guglielmo della Porta erano considerati migliori, si decise di non toccarli. Solamente più tardi, nel XVIII secolo, quando a Napoli erano al potere i Borbone, fu ritenuto opportuno sostituire quelli rifatti con quelli originali, in modo che la statua fosse autentica in toto. Così, oggi, mentre nel Museo Archeologico di Napoli si ammira la figura di Ercole come fu scolpita, dietro la stessa si possono vedere le gambe nuove, consentendo in tal modo il confronto fra quelle originali e quelle rifatte.
La statua entrò a far parte della collezione privata del cardinale Alessandro Farnese di Roma (da cui il nome di Ercole Farnese) e fu collocata, insieme con tante opere provenienti dall’antichità, nella Sala definita di Ercole, appunto, dove rimase fino al 1747, quando entrò a far parte dell’eredità di Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta; egli preferì farla trasportare a Napoli, insieme con una parte della collezione, e collocarla prima nella Reggia di Capodimonte, costruita per quello specifico scopo e, in un secondo tempo, nel Palazzo del Real Museo, essendo stato eseguito il trasferimento laggiù anche della parte rimasta a Roma; tutto ciò in ossequio al volere di Ferdinando IV. Questa operazione fu completata nel giro del triennio 1886-1888.
La statua, in marmo, alta 3 metri e 17 centimetri, mostra il muscoloso eroe in posizione di riposo, appoggiato sulla sua arma preferita, un’enorme clava, posata su una roccia, in cui si trova inciso in greco, ΓΛΥΚΩΝ ΑΘΗΝΑΙΟΣ ΕΠΟΙΕΙ, che tradotto significa “Glicone l’ateniese fece”; la clava è ricoperta dalla pelle del leone di Nemera, da lui ucciso in occasione della sua prima fatica. Sicuramente, la grossa clava e la roccia di appoggio della stessa sono state una necessità per sostenere la pesante massa del corpo, che avrebbe dovuto, diversamente, contare solamente sulle caviglie per restare in piedi. Simpatica la posizione della mano destra di Ercole, nascosta dietro la schiena, con i Pomi delle Esperidi, che fu costretto a rubare per portare a termine l’undicesima impresa.
La rifinitura del corpo è talmente avanzata che sono visibili vene e tendini, per cui, considerata la perfezione dello scultore nella realizzazione della sua opera, l’averne riscontrato sul lato destro alcuni punti non rifiniti ha fatto pensare che lì fosse attaccata un’altra figura; ma è solamente un’ipotesi, pur se giustificata.
L’Ercole Farnese, per le sue dimensioni e per la sua perfezione era divenuto famoso in tutta l’Europa e, quando Napoleone fece la sua campagna in Italia, ebbe il grande desiderio di portarla in Francia insieme con l’Apollo del Belvedere. Il vescovo Henri Gregoire ebbe a dire che quelle due statue erano sprecate in un paese di schiavi (gli Italiani, naturalmente) e che la loro sede definitiva non poteva che essere la Repubblica Francese. E quando Antonio Canova, il 12 ottobre 1810, fu presentato a Napoleone dal generale Duroc, chiedendo di poter rientrare in Italia, il corso glielo negò, asserendo che la Francia era il posto giusto, nel quale, fra l’altro, dovevano essere tutti i capolavori d’arte provenienti dall’antichità, l’Ercole Farnese in primis. Amaramente, il Canova si rivolse a Napoleone chiedendo che lui lasciasse, all’Italia, qualcosa facente parte di tutte quelle opere che non potevano essere asportate, perché fisse. L’Ercole Farnese rimase in Italia, dopo tre tentativi andati a vuoto, ma il resto che Napoleone riuscì ad arraffare ed a depredare, fu ignominiosamente trasportato al di là delle Alpi.
Che la scultura di Glicone abbia avuto un grande successo ed una grande massa di ammiratori lo dimostra il grande numero di riproduzioni, di cui alcune ricordate di seguito, della stessa effettuate nel corso del tempo e molte delle quali sono tuttora visibili ed ammirabili in molti musei ed in luoghi pubblici.
Nel Museo Archeologico d’Abruzzo di Chieti, si trova l’Ercole di Curino, una copia in bronzo in scala ridotta del III secolo a.C., trovata in località Badia del Comune di Sulmona, mentre nella Reggia di Caserta è conservato l’Ercole Latino, rinvenuto insieme con l’Ercole Farnese.
Un esemplare è a Palermo, nel parco denominato della Favorita, al centro della Fontana Ercole ed un altro, in marmo, è conservato nel Museo dell’Antica Agorà di Atene.
Nella città di Kassel, nello stato federato del nord della Germania Hessen (Assia in italiano), un duplicato è posto su una costruzione in pietra ottagonale (Oktagon); insieme danno luogo ad una struttura alta 69 metri, seconda al mondo dopo la Statua della Libertà di New York.
Un altro, in bronzo, arricchito dalla doratura, fa bella mostra di sé nel Castello di Vaux-le-Vicomte, in Francia, ed una copia, questa volta in gesso, è in mostra nella stazione “Museo” della Linea 1 della Metropolitana di Napoli.
Nel salone della Reggia di Caserta, è stata collocata una riproduzione della statua, molto somigliante a quella di Napoli, denominata Ercole Latino.
Nel passato, fino al XVI secolo, una copia di Ercole Farnese era nel cortile di Palazzo Pitti di Firenze, ed una in bronzo, che un tempo era a Foligno, in Umbria, oggi è ammirabile al Museo del Louvre di Parigi.
Dal 1921, si trova nel Giardini Salvi di Vicenza una copia posta a fare compagnia ad altre importanti sculture, tutte poste ad arricchire i viali del parco.
Come si vede, senza considerare tutte le riproduzioni dell’Ercole Farnese di cui si abbia o meno notizia, la “truppa” è abbondante e varia, sia per la natura del materiale usato, sia per le dimensioni dei manufatti; ma comunque tutte esprimono il favore degli artisti prima e degli ammiratori poi per la figura di questo gigante buono, che, per un momento incontrollabile di ira, è stato costretto ad affrontare imprese difficili da risolvere positivamente per poter finalmente riacquistare la fiducia di tutti soprattutto degli déi.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it