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VENEZIA ROMANA: Ruderi di ville romane sotto il fango e una salina davanti a San Marco.

“Dicembre 1972. A bordo di un’imbarcazione si risale un canale a nord di Torcello. La giornata è limpida e fredda. Siamo al margine della laguna, dove l’acqua salata si mescola a quella dolce e dove cresce rigoglioso il canneto.

Nostra meta una zona arginata, utilizzata per l’allevamento del pesce: durante gli scavi delle vasche nel terreno paludoso, sono venuti alla luce grossi blocchi di legno, alcuni a sezione circolare, altri squadrati, simili a colonne, di notevoli dimensioni, associati a numerosi cocci e frammenti di mattoni.

Ci accompagna l’ispettore della Soprintendenza, il sig. Canal, cui si deve la scoperta.
Ormeggiamo e ci prepariamo ad immergerci per ispezionare il fondo delle vasche che potrebbe riservare ancora altre sorprese.
L’acqua ha una temperatura di 6 gradi, ma la curiosità ci spinge.
Per ragioni di spazio abbiamo portato con noi i respiratori ad ossigeno, più leggeri di quelli ad aria.
La visibilità è sufficiente. Ognuno ha il suo settore, ognuno sa cosa fare. Sul fondo si trovano resti di pali ancora saldamente piantati, frammenti di mattoni, tegole, embrici, cocci: materiale appartenente prevalentemente al I secolo d.C. Viene recuperato anche un frammento di mosaico.
I rilevamenti precedentemente compiuti dalla superficie mediante aste metalliche concordano con livelli e direzioni trovate in acqua.
Gli allineamenti dei pali a circa 2,5 metri di profondità si perdono sotto il terreno paludoso; vengono localizzati anche altri blocchi di legno a distanze regolari. Dal rilevamento eseguito la zona appare come un rettangolo con un lato delimitato da colonne a sezione rettangolare, suddiviso da strutture che al suono del sondino che le colpisce sembrano essere in cotto e in pietra viva. Sembra la pianta di una grande e complessa costruzione. Tornano in mente i versi del poeta Marziale: “…o lidi d’Altino, emuli delle ville di Baia o selva memore del rogo di Fetonte.. “.

Una Fantasia? I Frammenti di mosaico lasciano aperta ogni ipotesi. Sono passati dieci anni da allora: il quesito non è stato sciolto, nonostante le ricerche siano continuate; uno scavo del resto sarebbe estremamente costoso. Ci piace però pensare che quei resti possano essere appartenuti proprio ad una delle ville ricordate dal poeta.”

Ecco la testimonianza di Antonio Rosso (e-mail: info@archeosub.it) pubblicata su “Archeologia Viva” nel numero d’Ottobre del 1982.
Il tono è entusiasta, quasi romanzesco, ma “purtroppo non prova molto; la laguna è piena di reperti romani, ma come dimostrare che i romani stessi li avevano sistemati lì e non son stati portati più avanti?”
È ben nota l’abitudine di utilizzare materiale recuperato da case distrutte e centri abbandonati, senza contare la quantità d’oggetti trasportabili, come vasi, monete e monili, che possono essere trovati a grande distanza dall’abitazione. Da tempo ormai i materiali rinvenuti nelle acque della laguna sono considerati di riporto, provenienti dalle località vicine.

Lo spazio attualmente occupato dalla città di Venezia era circondato da strade romane. I loro tracciati sono ben visibili nelle foto aeree ed alcuni tratti sono ancora percorribili attualmente.

La più famosa era la “via Annia” proveniente da Padova e diretta ad Aquileia; al suo incrocio con la “via Postumia” (che collegava tra l’altro Verona con Trieste), sorgeva una colonia importante: Iulia Concordia, fondata nel 42 a.C. particolarmente fiorente nei primi due secoli dell’Impero, che divenne in epoca tardo antica sede di una fabbrica di frecce (sagittae, da cui l’appellativo datole nel secolo scorso all’epoca dei primi scavi) e baluardo, insieme ad Aquileia, del confine orientale.

Poi c’era la “Claudia Augusta” diretta a Feltre e a Trento: il grande nord “addomesticato” nell’intento di costituire un baluardo alle invasioni barbariche; all’incrocio con la via Annia sorgeva la famosa città d’Altino citata da Marziale.

Infine la “via Popilia” che, proveniente da Ravenna, era la più prossima alla laguna e quella che più facilmente si prestava ad essere “completata ed integrata” da trasporti in acqua; si può tuttavia esprimere la stessa ipotesi per la via Annia alla quale si congiungeva prima di entrare in città. Plinio riferisce di canali trasversali (“fossae per trasversum”), costruiti artificialmente per poter navigare attraverso vari bacini idraulicamente indipendenti, mettendo così in evidenza una particolare cura per le comunicazioni acquee. Resta da stabilire se a quei tempi ci fossero già case, magari piccoli rifugi, per controllare la manutenzione dei canali, oppure se il gran traffico di merci abbia solo indicato ai passanti l’esistenza d’uno spazio abitativo che fu utilizzato solo più tardi. Il geografo Strabone parla di città situate nelle paludi e costruite su palafitte, comunicanti con il mare per mezzo di piccoli canali; e Vitruvio, che ci illustra il clima di questi municipi, ne loda la salubrità, che lo stesso Strabone aveva riconosciuto ed apprezzato nonostante l’umidità del suolo e le estese paludi, ma in realtà si potrebbe descrivere in questo modo anche un litorale abitato solo occasionalmente.

Per ora i più importanti resti sono stati rinvenuti in prossimità del mare, ma ancora in terraferma e precisamente ad Altino, una colonia importante, popolata, secondo l’uso dell’epoca, da famiglie originarie di altre zone, per unificare il territorio. Qui s’erano sistemati gruppi d’artigiani orientali, che ne avevano fatto un grosso centro economico-commerciale e importante nodo stradale, ma anche una città piacevole, con ville, giardini e templi dedicati agli dei. Marziale in un suo epigramma paragona le ville costruite sui lidi d’Altino a quelle di Baia, nel golfo di Napoli, che era la più rinomata località di riposo e di vacanza dell’epoca… forse i più arditi costruivano già in laguna? In ogni caso in questa località, dopo i primi ritrovamenti casuali, si è iniziato quello studio sistematico ancora in corso, che ha portato alla scoperta di una necropoli con ricchissimo materiale funerario, fondazioni di case, numerosi pavimenti di abitazioni, frammenti di intonaci dipinti, strade lastricate ed urbane. Tutto il materiale rinvenuto è stato poi raccolto nel museo situato al centro della stessa zona archeologica.

Ma non basta: molte iscrizioni di lapidi ritrovate a Torcello e Burano, sono state riconosciute come provenienti da Altino. La tradizione indica negli abitanti d’Altino i colonizzatori di Torcello fin dai tempi dell’invasione d’Attila (452 d.C.), ma in realtà non è affatto certo che gli Unni si siano spinti davvero fin lì dopo la conquista d’Aquileia. Il trasferimento si fece piuttosto all’epoca dell’invasione longobarda. Passato il pericolo molti tornarono a prendersi tutto ciò che era trasportabile… ma siamo di nuovo all’idea della costruzione con materiali da riporto eseguita di fatto nell’alto medioevo, ben lungi dall’idea di una laguna già abitata in epoca romana.

Lo stesso si può dire d’altre località affacciate alla laguna.

L’origine romana di “Chioggia”, I’antica Clodia, è un fatto certo. Lo dimostra anche la sua topografia urbana in cui si è riconosciuto un reticolato geometrico facente parte di una centuriazione. Che Chioggia rappresenti una propaggine di un disegno più vasto è stato anche dimostrato dalI’elaborazione di foto eseguite da satelliti artificiali, che hanno anzi permesso di riconoscere centuriazioni lungo tutta la fascia lagunare, orientate in varie direzioni.
Anche qui s’affaccia l’affascinante ipotesi che gli abitanti di Chioggia, nelle giornate più calde, si spingessero fino a Pellestrina e magari vi costruissero qualcosa… ma l’isola, spazzata com’è dal mare, non ci ha restituito reperti!
Molto frequenti invece i ritrovamenti, tra cui anche manufatti idraulici, a Chioggia e dintorni (soprattutto in località “Ca’ Manzo”) e ciò è comprensibile in quanto si è già visto come essa sia legata ad origini romane anche nella struttura urbanistica, ma la laguna Sud non ha restituito niente che possa confermare un avanzamento della zona abitata.

Poco più numerose sono le notizie di ritrovamenti nel bacino centrale della laguna. Nell’ “isola di S. Angelo della Polvere” è stato dissotterrato nel 1849 un cippo dedicato a C. Tiburnio e nei pressi di “Fusina” sono venute alla luce monete romane, olle cinerarie, embrici (tegole particolari, piane, a forma rettangolare con due bordi rialzati) e pavimenti.

Per trovare qualche cosa d’interessante dobbiamo risalire fino al Lido: a “Malamocco” nel 1899, durante i lavori per la costruzione della strada che costeggiava tutta la laguna fino alla chiesa di S.M. Elisabetta è stata rinvenuta una struttura muraria a cui era associato del materiale riferibile sicuramente all’età romana.

Ma per trovare veri e propri reperti che facciano sognare bisogna spingersi ben più a nord, nelle località propriamente lagunari: “Torcello”, forse “Mazzorbo” (Maior Urbis), così come probabilmente molte località oggi scomparse (“Costanziaca”, “Ammiana”) han conosciuto una presenza romana fatta di mosaici e sculture.

A Torcello in occasione degli scavi effettuati nel 1962, una équipe polacca ha recuperato una notevole quantità di materiale romano risalente ai primi secoli dopo Cristo e ha dedotto che esisteva una colonizzazione sparsa, ma stabile.
Nei canali che circondano l’isola sono frequenti, del resto, ritrovamenti di sesquipedali (mattoni romani di cm. 45 per cm. 29,6), embrici ed anfore. Lo stesso museo di Torcello conserva vari reperti trovati nelle zone adiacenti: fibbie, specchi, alcune are in pietra, iscrizioni latine, figurine in terracotta e in bronzo assieme ad altri oggetti provenienti da varie località situate lungo la gronda lagunare, quali ad esempio una statuetta in marmo proveniente da Campalto, un cippo romano con rilievi messo in luce a Caposile e un idoletto ritrovato a Trepalade.
Oltre a queste località, in tutta la laguna settentrionale si ha comunque notizia di vari ritrovamenti. Nell’area delle “ex saline di S. Felice”, dove probabilmente sorgeva l’isola d’Ammiana, è stata trovata un’iscrizione, poi perduta, attribuita all’età augustea. Nelle vicinanze di “Lio Maggiore”, in un canale sono stati individuati da subacquei padovani resti di strutture murarie assieme ad anfore, embrici e sesquipedali. Ritrovamenti analoghi sono stati effettuati anche a “Lio Piccolo” nel canale dei Bari. Tuttavia ci si pone sempre la stessa domanda: sono prove d’antichi insediamenti o semplici esempi di riutilizzo in epoche posteriori di materiali romani? A “Murano”, ad esempio, i due pilastri ottagonali sulla facciata della chiesa di S. Donato e quello posto come base dell’acquasantiera provengono da Altino, così come la vasca battesimale è ricavata da un sarcofago.

Inseriti nelle murature di case e palazzi veneziani inoltre è possibile trovare altri resti dell’epoca.
Presso il “campo S.M. Formosa”, in Fondamenta dei Preti, è inserita d’angolo nel palazzo ai piedi del ponte omonimo un’edicola con iscrizione latina, così pure è visibile un’altra iscrizione in “campo S. Vidal” alla base del campanile e alla fine della calle dei Testori, parallela alla calle della Ca’ d’Oro; inoltre, alla “Madonna dell’Orto”, nel Palazzo Mastelli, detto del “Cammello” per il rilievo che raffigura un uomo che trascina un cammello, un’ara romana è stata utilizzata come colonna della finestra d’angolo.
Al Museo Archeologico sono anche conservate due are scavate per essere utilizzate come vere da pozzo.

Frequenti sono poi i recuperi casuali ad opera dei pescatori che rinvengono nelle loro reti colli d’anfore, frammenti di vasellame o pezzi d’embrici, anche nella stessa Venezia! Per esempio nello scavo per il restauro del “Fondaco dei Turchi” (oggi Museo di Storia Naturale) sono stati ritrovati numerosi oggetti tra cui lucerne, un vaso per unguenti in terracotta, un vasetto in vetro, una figurina in bronzo e una moneta dell’imperatore Traiano. Tuttavia è materiale facilmente trasportabile, che potrebbe esservi giunto molto più tardi, o semplicemente caduto da una barca, come nel caso recentemente chiarito della Iulia Felix.

Il quadro dei ritrovamenti appare dunque molto interessante, ricco di temi affascinanti, ma anche pieno di lacune le cui risposte rimangono ancora sepolte sotto la spessa coltre di sedimenti lagunari.

Siamo dunque al punto di partenza?
Non proprio! Ultimamente sono state attribuite a questa età le palificazioni venute in luce durante lo scavo del “Rio Nuovo” a tre metri di profondità e lungo il canale di “S. Pietro di Castello” sono stati scoperti “residui strutturali di mura, lunghe e massicce fondazioni”. Se apparentemente resti del genere non fanno sognare come i mosaici o le anfore, è tuttavia indiscutibile che lavori di questo tipo siano stati intrapresi per abitare davvero la zona e non per ornarla più tardi! Ed ora la notizia più importante: sono stati riferiti all’epoca romana anche i resti di strutture scoperte nel 1816 davanti “all’isola di S.Giorgio” e ritenute molto probabilmente appartenenti ad una salina.

Una salina davanti a piazza san Marco!
Quest’ipotesi, se suffragata da altri ritrovamenti, porterebbe a spostare di tre secoli la data di fondazione di Venezia! O per lo meno a chiarire che i famosi profughi d’Altino si rifugiarono in una zona già colonizzata, anche se forse non ancora comodissima.
I ritrovamenti sono spesso opera di subacquei ed appassionati, in laguna infatti i resti riferibili all’età romana si possono trovare o mediante scavi su isole o nel fondo dei canali dove le correnti mettono a nudo ciò che i sedimenti hanno coperto. Più precisamente, lo strato romano si trova ad oltre due metri di profondità. Si spera pertanto che dalla collaborazione di tutti si ottengano risultati capaci di portare un ulteriore contributo alla conoscenza dell’evoluzione storica della Laguna di Venezia, permettendo così di comprendere meglio quegli uomini che pur accettando l’ambiente che li circondava, non sono stati disposti a subirlo e hanno saputo creare con esso un rapporto probabilmente unico.

Diventa dunque significativa la notizia del rinvenimento in laguna d’interessanti “manufatti in legno” di varie dimensioni, alcuni dei quali sorretti da pali messi in croce. Sostanzialmente sono tronchi di legno scavati internamente, con un lato troncato e l’altro affusolato. Si son ritrovati e rilevati circa trenta argini, costruiti prevalentemente in legno e pietrame (il più lungo raggiunge i 140 metri), associati a materiale romano: alcuni erano situati vicini a resti d’edifici.
Il più grande dei manufatti di questo genere è stato trovato in un canale a tre metri di profondità, presso l’ “isola di S. Cristina”, nel Bacino settentrionale della Laguna di Venezia e attualmente si trova custodito presso il “Museo Storico Navale di Venezia”, in un’apposita vasca riempita con acqua per impedire che si deteriori: è lungo m 3,10 con una larghezza massima di cm 75 ed una profondità interna finale di cm 30. A 70 centimetri dal lato troncato perpendicolarmente all’asse longitudinale presenta sul fondo un foro quadrangolare, passante, di mm 125 di lato, in cui vi era (infilata per il codolo e disposta trasversalmente) una paratia, leggermente asimmetrica, sagomata in modo da seguire il contorno della sezione interna del manufatto.
Esternamente il legno aveva ancora tracce della corteccia.

Si ritiene che questi tronchi appartengano all’epoca romana, in quanto sono stati rinvenuti associati a materiale romano, recuperato spesso in notevole quantità. Il monoxile di S.Cristina, inoltre, è stato sottoposto da ricercatori del C.N.R. a datazione con metodo di radiocarbonio, ottenendo un’età di 1900+200 anni, analoga alla ceramica recuperata.

Nell’attesa di capire a che cosa servissero s’è espressa l’ipotesi di un uso idraulico, forse legato all’agricoltura o alla manutenzione delle saline. Per ora tutti i manufatti rinvenuti avevano una disposizione obliqua rispetto al canale in cui son stati trovati.

Per saperne di più:

– “Le origini romane di Venezia”, di Giuseppe Marzemin, pubblicato da Fantoni nel 1937, ancora attuale,

– il portale dell’archeologia subacquea italiana dal 1999: archeosub – Archeoclub d’Italia – Sede di Venezia, Ente morale – D.P.R. 24 luglio 1986, n. 565 movimento di opinione pubblica al servizio dell’archeologia e dei beni culturali , ONLUS Cannaregio, 1376/a – 30121 VENEZIA tel/fax 041.710515 e-mail: archeove@provincia.venezia.it

– Galleria “Giorgio Franchetti” alla Ca’ d’Oro – museo storico artistico – Cannaregio 3932, tel 041 5238790, orario di apertura: da lunedì a domenica (ore 9.00-14.00) – Oltre alle collezioni proprie del Museo, nell’attiguo palazzo Duodo, e all’aula didattica, ai laboratori di restauro e ai depositi é aperta la sezione dedicata alle ceramiche veneziane ritrovate nel territorio lagunare, numerose delle quali rinvenute in immersione.

– Museo Archeologico Nazionale (stratema.sigis.net ) – Piazzetta San Marco, 17 – orario: feriali e festivi: 9,00 – 14,00 – Servizi visite guidate tel e fax 041 525978 – Ha numerosi reperti provenienti da recuperi nelle acque dell’adriatico tra cui due interessanti bronzetti di età romana.

– Museo di Torcello (stratema.sigis.net) – Piazza Torcello – Isola di Torcello (VE); orario: dal 1° ott. al 31 Marzo: 10.30 -12.30 / 14.00 -16.00 e dal 1° aprile al 30 settembre 10.00-12.30 /14.00-17.30; chiuso tutti i lunedì e festività nazionali. Moltissimi reperti provenienti dalle acque della Laguna nord.

– Museo Storico Navale di Venezia – Castello 2148 – Riva degli Schiavoni 30122 VENEZIA tel 041 5200276. Per una sua descrizione: Museo Navale VE (www.mclink.it ) e anche Museo Storico Navale (www.regione.veneto.it ).
Fonte: Redazione
Autore: Mary Falco
Cronologia: Arch. Romana
Link: http://www.mary142.supereva.it

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