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VENEZIA. Due noccioli di pesca riaccendono la grande curiosità del mondo sulle origini della città.

Se c’è un grande enigma storico che dura da mille anni e che nessuno riesce a sciogliere è la storia di come è nata Venezia.
Il ritrovamento archeologico sotto San Marco di due noccioli di pesca vecchi di 1400 anni, di cui si è avuto recentemente notizia, ha riportato l’attenzione su di esso. Ma c’è qualche vera novità?
A partire dal diacono Giovanni, attorno al 1000, e dall’anonimo Chronicon Altinate, due secoli dopo, per mille anni storici e archeologi si sono affannati a colmare il grande vuoto che circonda la fondazione della più originale città d’Europa: la mancanza assoluta di testimonianze risolutrici sulla sua fondazione.
Due le ipotesi più seguite: quelle di una nascita “lenta” sulla scorta di una serie di insediamenti romani o romano-bizantini sulla costa che andava da Ravenna ad Aquileia; oppure una comparsa dal nulla, dovuta alla migrazione in laguna di genti di pianura in fuga davanti all’avanzata di ondate barbariche (gli Unni che presero Oderzo nel 452? I Longobardi che giunsero a Cividale nel 568?).
Ricche di significati entrambe le tesi. Nel primo caso, complice l’arrivo a Venezia delle spoglie dell’evangelista Marco nel IX secolo, Venezia rappresenterebbe in qualche modo l’altera Roma, la città che ereditò dall’Urbe il testimone di capitale morale e spirituale d’Italia.
Un’immagine che ebbe gran seguito nel Rinascimento quando Venezia rischiò per davvero di assumere il ruolo di potenza unificatrice nazionale ante litteram.
Ma ancora più fortuna ha avuto la seconda narrazione sulla nascita della Serenissima. Quella che la vorrebbe creata da genti che decisero autonomamente di stabilirsi in un territorio vergine da ogni sovranità e di fondarvi una città che sarebbe diventata capitale di un impero.
Dunque una fondazione nel segno della libertà e indipendenza da ogni potere precostituito, da ogni vincolo: una mitografia che riempì di orgoglio la classe aristocratica lagunare.
Le tappe successive della nascita della città in mezzo alla laguna non sono meno complicate da decifrare.
Da Malamocco, il baricentro delle isole che formavano la città si spostò a Olivolo (Castello), poi a Rivoalto (Rialto) e quindi, dopo il trafugamento delle spoglie di Marco, nell’area della nuova basilica a lui dedicata, e inaugurata quattro anni dopo l’arrivo del santo, nell’828.
Solo allora la sede dogale sarebbe stata spostata da Malamocco al luogo chiamato San Marco, che diventò così il centro politico e religioso della città. Di tutti questi spostamenti, per i quali le evidenze documentarie coeve sono scarsissime, e quelle successive non univoche, si sono cercate negli ultimi decenni prove di natura diversa.
A esempio quelle provenienti dall’archeologia e da tutte le scienze che ormai vi collaborano, nonostante l’ambiente lagunare non aiuti a mettere punti fermi: in un ecosistema dove tutto è in perenne movimento, e l’uomo per secoli ha mischiato le carte, dalla deviazione dei fiumi che sfociavano in laguna fino al Mose, anche le scoperte dell’archeologia possono avere valore relativo.
Anche perché corrono il rischio di essere amplificate dall’enorme popolarità che circonda ogni notizia su Venezia, che è giunta a ospitare, se così si può dire, 30 milioni di visitatori l’anno.
Grande eco ha così avuto la notizia che l’archeologo americano Albert J. Ammerman, nel corso dei carotaggi che compie da anni nell’insula di San Marco, ha recentemente trovato due noccioli di pesca a una profondità tale da poter essere collocati tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo.
Una datazione confermata dall’esame del residuo di carbonio 14. L’équipe americana, avvicinando questo dato ad altri indizi raccolti, ne ha dedotto che cento, centocinquant’anni prima della costruzione della basilica, San Marco era già oggetto di operazioni di interramento di canali, e che quindi lo spostamento centripeto verso quest’area fosse già in atto dal tardo VII secolo.
Pubblicata su una prestigiosa rivista, Antiquity, la ricerca non è stata esente da critiche, sia per l’eseguità del reperto, due noccioli di pesca potevano infatti provenire da chissà dove e di per sé non testimoniano alcuna urbanizzazione, sia perché anticipare di un secolo il consolidamento dell’insula marciana non aggiunge granché al problema della nascita di Venezia.
L’influente équipe americana ha scritto che la ricerca «illumina come ebbe inizio la famosa città costruita sull’acqua».
A noi sembra anche un’ottima operazione di comunicazione.

Autore: Andrea Zannini

Fonte: www.messaggeroveneto.it, 7 ago 2018

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