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SIPAN (Perù). Riprendono gli scavi.

Dopo una pausa di circa sette anni, ai primi di aprile Walter Alva ha ripreso a scavare a Sipán, il celebre sito di cultura Moche (100 a.C.-850 d.C.) scoperto giusto vent’anni fa.
A differenza degli avventurosi inizi del 1987, quando cominciò a lavorare con risorse quasi inesistenti, ora ha a disposizione una quarantina di archeologi, tecnici e operai. Dare la notizia dell’avvio di una campagna di scavi prima di cospicui ritrovamenti è alquanto inusuale. Eppure per Sipán bisogna fare un’eccezione, non tanto perché ha restituito le tombe più ricche di oggetti d’oro e d’argento di tutta l’America precolombiana, ma anche perché, comunque andranno le cose (che si trovino o no nuovi tesori), alla fine della campagna di scavi il sito archeologico avrà subito una radicale trasformazione. Sorprendentemente poi, e questa è la notizia nella notizia, il merito di questa nuova campagna di scavi è dell’Italia, che attraverso il Fondo Italo-Peruano (Fip) per la riconversione del debito, ha messo a disposizione gran parte delle ricorse per la ricerca e che partecipa al progetto attraverso una missione dell’Università degli Studi di Milano.
Del progetto parliamo con Antonio Aimi, che, con Emilia Perassi, è responsabile dei lavori per l’ateneo milanese.
Professor Aimi, com’è nata l’idea di promuovere nuove ricerche a Sipán?
L’idea di proporre alla cooperazione italiana un intervento a Sipán, mi venne in mente quando il direttore del Museo Larco di Lima, Andrés Álvarez Calderón, mi invitò a pranzo alla Huaca Pucllana, un sito archeologico della cultura Lima (200-700 d.C.) che si trova al centro di Miraflores. Stavamo lavorando alla scelta dei pezzi che il Museo Larco prestava per la mostra di Firenze («Perù: tremila anni di capolavori» tenutasi a Palazzo Strozzi nel 2003-2004, ndr) e accettai di mala voglia perché non era rimasto molto tempo per finire il lavoro. Pensavo che fosse uno dei tanti siti minori della Costa del Perù, con le piramidi in adobes [mattoni d’argilla cotti al sole] delle culture preispaniche trasformate dalle intemperie in rilievi insignificanti. Tuttavia appena entrato nel sito rimasi folgorato: la Huaca Pucllana era stata ripulita magistralmente riportando alla luce l’architettura originale. Le linee di fuga delle file di adobes si rincorrevano come in un disegno di Escher creando uno spettacolo mai visto. In un attimo mi resi conto del fascino sorprendente delle costruzioni in adobes e delle straordinarie potenzialità dei siti della Costa del Perù, quasi tutti ignorati dal turismo di massa e quasi tutti trasformati dalle piogge (nei deserti della Costa il Niño può essere molto violento) in grandi colline d’argilla. Mi convinsi che bisognava fare qualcosa per restituire a tali siti un’immagine, anche parziale e frammentaria della loro bellezza originale. Al contempo mi resi conto che questi siti avevano un potenziale turistico enorme, totalmente ignorato dai tour operator. Quando alcuni mesi dopo ritornai in Perù per completare il lavoro per la mostra, parlai di questa idea con diversi archeologi e scoprii che Walter Alva, lo scopritore di Sipán, stava già lavorando a un progetto del genere. Unire i nostri sforzi fu la logica conseguenza di visioni coincidenti e complementari.

L’articolo integrale è disponibile nell’edizione stampata de Il Giornale dell’Arte.


Fonte: Il Giornale dell’Arte on line 01/05/2007
Autore: Michele Montanari
Cronologia: Arch. Precolombiana

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