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ROMA. Nel porfido colorato la storia di Roma dall’Impero a oggi.

Si è celebrato ieri il VI centenario dell’Università dei Marmorari.
Quando, nel 1305, la sede papale si spostò ad Avignone, s’indebolì a mano a mano la grande committenza della Chiesa di Roma all’antichissima categoria artigiana dei marmisti. Ma, come spesso accade, proprio davanti a un ostacolo, la creatività diventa sovrana.
Fu così che nel 1406, quattro anni prima che Avignone cessò di essere sede papale, venne istituita la corporazione dei marmisti, la più antica d’Italia. Ma la tradizione marmoraria romana nacque con l’Impero e, senza interruzioni, vive ancora oggi nella capitale.
Lo studio più illustre ed esauriente della storia, l’uso e i manufatti di porfido, di gran lunga tra il più importante tra le pietre o marmi colorati, è di sicuro l'”Antike Porphyrwerke” di Richard Delbrueck. Un libro introvabile e ricercatissimo da studiosi, archeologi e antiquari di mezzo mondo. Raro anche perché stampato in un’unica edizione del 1932 ed in pochi esemplari. Non c’era perciò modo migliore per celebrare il secentenario dell’Università dei Marmorari, se non quello di presentare in ristampa anastatica, questa grande opera. Ieri, accanto a questo prezioso libro, è stato presentato anche il volume di Dario Del Bufalo “Università del Marmorari di Roma 1406-2006”.
Il Comitato Nazionale dell’Università dei Marmorari di Roma, con sede nel Castello della Cecchignola, nel suo biennio (2006-2008) si propone di seguire le attività della più antica corporazione d’Italia. Convegni e pubblicazioni scientifiche porranno l’accento su tecniche e competenze in materia di restauro e di lavorazione dei materiali lapidei antichi. Iniziativa rilevante è stata la progettazione di un Museo del Marmo, come sezione specifica permanente all’interno del Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano. Sarà poi realizzata una mostra sui Marmi Antichi e sull’attività dei Marmorari Romani.
È infatti nella Roma Imperiale che si sviluppò con notevole profusione il gusto per il marmo bianco e colorato proveniente da cave sparse in tutto il mondo fino ad allora conosciuto.
Coloratissimi marmi vennero usati per decorare grandi edifici pubblici, palazzi, lussuose ville imperiali, residenze di città e di campagna delle grandi famiglie senatorie e dei ricchi liberti romani.
Ma con la decadenza dell’Impero Romano lo splendore di Roma venne sepolto dal passare dei secoli. Il buio del Medioevo visse di saccheggi. E allora protagonisti nell’arte del reimpiego dei marmi furono i Marmorari Romani, che si rifecero alla grande tradizione della Roma classica sin dall’XI secolo.
Quegli artisti erano tutti noti con il nome di Cosmati, perché in diverse famiglie di questi artigiani si ritrovò il nome di Cosma. E nelle loro creazioni, dette “cosmatesche”, si affermò la maniera di operare con l’opus sectile, intarsio di forme geometriche. Tra i numerosi esempi italiani di trasporto di materiale antico da Roma, una delle prime testimonianze medievali riguarda la ricostruzione dell’Abbazia di Montecassino (1006-71), sotto l’abate Desiderio.
La Renovatio Romae coincise con la riforma della Chiesa (lotte per l’investitura) promossa da Papa Gregorio VII (1073-1085). Il desolande quadro che la Chiesa offriva era era di corruzione decadenza e abbandono: ma alla riforma gregoriana seguirono imprese di rinnovamento di basiliche, sempre più arricchite da pietre colorate. Tra i più noti maestri marmorari figurano il magister Paolo (cattedrale di Ferentino, chiese di San Clemente e dei Ss. Quattro Coronati). Oltre a Pietro Vassalletto (Chiesa di S. Paolo fuori le mura, ambone di San Pietro e plutei di S. Saba). Mentre Pietro Oderisio intervenne sul pavimento del coro dell’Abbazia di Westminster e nella Cattedrale di Canterbury. Testimonianze di opere di reimpiego marmoreo si trovano anche nel Duomo di Monreale, nella Cattedrale di Palermo, a Castel del Monte di Andria, nel Battistero di San Marco a Venezia, nei pulpiti di Ravello e nello straordinario pavimento della Cattedrale di Otranto, al quale si ispirò Dante per la Divina Commedia.
L’originalissimo mosaico pavimentale del 1163 (uno dei più estesi del mondo) raffigura un gigantesco albero della vita, con temi occidentali e orientali, passando dall’antico Testamento alle vicende cavalleresche della Tavola Rotonda, dai segni zodiacali, all’Inferno, il Paradiso e l’Apocalisse.


Fonte: Il Tempo 25/11/2007

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