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ROMA. Il giallo della statua di Caligola.

caligola
Il 13 gennaio inizia a circolare sul web, nei siti di importanti quotidiani online stranieri, la notizia del ritrovamento di una statua dell’imperatore romano Caligola. Il ritrovamento sarebbe avvenuto a Nemi (nei pressi di Roma) in seguito all’arresto di un tombarolo. Ma sulla stampa nazionale non se ne trova traccia fino al 15, quando il Corriere della Sera gli dedica ampio spazio, con contenuti che sembrano in gran parte simili a quelli riportati nei giorni precedenti dai siti stranieri piuttosto che da una fonte ufficiale. Al 20 gennaio, infatti, sul sito ufficiale della Guardia di Finanza non si trova traccia di un comunicato stampa relativo al recupero e la Soprintendenza competente non ha rilasciato alcuna dichiarazione.
Questo silenzio stampa potrebbe indicare che le indagini siano ancora in corso e non si voglia far trapelare nulla per non comprometterle, e che quel che è apparso sulla stampa straniera sarebbe solo il frutto di una fuga incontrollata di notizie, peraltro frammentarie e imprecise.
Il mistero si infittisce esaminando il contenuto delle notizie apparse, dato che le versioni delle varie testate sono discordanti su molti punti; alcune addirittura confondono Nepi con Nemi, sbagliando quindi la localizzazione geografica. Tutti concordano comunque sul fatto che la statua sarebbe stata scoperta in pezzi  –  priva della testa e divisa in due tronconi, secondo fonti più dettagliate – all’interno di un camion; qualcuno sostiene addirittura che sia stata frammentata dal tombarolo per trasportarla o venderla più facilmente, ipotesi difficilmente plausibile.
L’attribuzione a Caligola sarebbe stata fatta  –  non è chiaro poi da chi, visto che non vengono citati archeologi italiani e non circolano foto del reperto  –  sulla base di una particolare calzatura indossata, la “caliga”, che era una sorta di vezzo dell’imperatore in fatto di abbigliamento.
Secondo altri vi sarebbero poi elementi come il tipo di marmo, il pregiato Paros, e la posizione dell’uomo ritratto, raffigurato seduto in trono a imitare Zeus, a confermare l’identificazione del misterioso personaggio con Caligola. La notizia assume ancor più i toni del “giallo” quando si passa alle ipotesi sull’origine del reperto. Secondo alcuni dei siti stranieri, che ne fanno anche il titolo, proverrebbe addirittura dalla tomba dell’imperatore, che sarebbe stata appunto scoperta dallo scavatore clandestino, secondo altri dalla sua villa, situata in qualche punto ancora ignoto sulle rive del lago laziale; in entrambi i casi si tratterebbe di una scoperta archeologica a dir poco clamorosa, se confermata.
Ma cosa c’è di vero negli articoli circolati fino ad ora? Difficilmente la tomba di Caligola, generata forse dalla fantasia di qualche cronista straniero che ha mal interpretato il termine “tombarolo”, nato quando gli scavatori abusivi violavano usualmente tombe, ma esteso oggi a indicare chi saccheggia ogni sorta di sito archeologico. Di certo c’è solo il salvataggio, dalle mani di uno scavatore clandestino, di una porzione di statua di epoca romana. Mancano invece del tutto immagini e attribuzioni ufficiali della stessa, così come elementi certi sulla sua provenienza.
È noto come Caligola avesse un rapporto strettissimo con il lago laziale, tant’è che vi fece costruire due giganteschi palazzi galleggianti passati alla storia come “navi di Nemi”. Più che di imbarcazioni costruite per navigare si trattava di enormi “chiatte” sulle quali erano stati edificate strutture in muratura decorate in maniera sontuosa con marmi e statue, come le ricche dimore imperiali.
Caligola, odiato per la sua dissolutezza e la feroce crudeltà, non solo venne ucciso da una congiura, ma fu poi sottoposto a quella che i latini chiamavano damnatio memoriae, una vera a propria cancellazione civile e morale. Essa comportava la distruzione di tutto ciò che poteva ricordarlo, rimuovendo la traccia storica di quel che egli aveva fatto, delle sue proprietà, della sua immagine pubblica, delle sue gesta; venivano distrutte le iscrizioni che lo citavano e i monumenti che lo raffiguravano, ed era proibito tramandare in famiglia il suo praenomen.
È probabile che in quello stesso 41 d.C. nel quale egli trovò la morte per mano dei congiurati, assieme alla quarta moglie e all’unica figlia, anche le sue “navi” siano state colate a picco nel lago di Nemi. Questa ipotesi spiegherebbe lo stato frammentario della statua, ammesso che raffiguri proprio lui. Essa potrebbe quindi provenire proprio dalle navi, oppure da una residenza di terra, travolta anch’essa assieme ai suoi arredi dalla damnatio memoriae. Vi è però una ulteriore ipotesi, che nasce proprio dall’avventurosa riscoperta delle sue navi.
Sin dal Medioevo sul lago di Nemi aleggiavano leggende popolari nate dal fatto che spesso i pescatori vi recuperavano strani oggetti, materiali che oggi sarebbero subito identificati come reperti archeologici ma che allora suscitavano solo meraviglia e stupore. Celava qualcosa, ma nessuno sapeva di che cosa si trattasse, forse una città sommersa; la fantasia popolare correva veloce anche perché non esisteva alcuna tradizione storica, che riferisse su ciò che in antico era esistito in quel lago, cancellata probabilmente dall’efficacia della damnatio memorie.
Leon Battista Alberti, attorno al 1446, tento di svelare il mistero servendosi di nuotatori genovesi in grado di immergersi in apnea, e l’Italia illustrata di Flavio Biondo da Forlì, che racconta l’esplorazione, parla di navi “annegate”.
Nel 1535 il capitano Francesco De Marchi, bolognese eclettico al servizio di Margherita D’Austria, tentò di esplorare i fondali del lago usando una sorta di “campana” subacquea, inventata da Guglielmo di Lorena, costruita con assi di legno serrate assieme con cerchi di ferro e dotata di oblò in vetro sul davanti. Egli riuscì a visitare una delle navi, camminandoci sopra e stimandone le misure in 64 metri di lunghezza per 20 di larghezza.
Il 10 settembre del 1827 Annesio Fusconi decise di ricorrere alla “campana di Halley”, modificata con l’aggiunta di una moderna pompa per garantire un regolare afflusso d’aria. L’impresa riuscì ed egli recupero vari materiali, elencati nelle sue Memorie: “due tondi di pavimento uno di porfido orientale e l’altro di serpentino, pezzi di marmo di varie qualità, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, laterizi, chiodi, tubi di terracotta ed infine travi e tavole di legno”.
Una parte di questi reperti venne acquisita dai Musei Vaticani, mentre il resto andò disperso.
Le ricerche ripresero nel 1895 con palombari professionisti e il 3 ottobre iniziarono a tornare in superficie materiali sorprendenti per fattura e varietà, come teste e pilastrini in bronzo, parti di mosaici, terrecotte. Il 18 novembre si scoprì una seconda nave e da essa vennero recuperati vari oggetti tra cui una testa di Medusa e una mano in bronzo.
Buona parte di questi oggetti venne acquistata dal governo, ma molti finirono nelle mani di privati; sparì, ad esempio, una testa del dio Elios forse in origine posta a decorare la prua della nave. Voci popolari parlarono anche di una statua femminile, Diana o Drusilla, che assieme ad altre otto statuette venne prima occultata nel bosco per poi svanire nelle mani di ignoti; si ritiene che sia quella oggi esposta al British Museum di Londra. Allo stesso modo dai recuperi di Nemi proverrebbe una statuetta di Eros che si trova all’Ermitage.
Ecco quindi che tra i tanti reperti recuperati e dispersi potrebbe esserci anche la statua del presunto Caligola tornata alla luce in questi giorni.

Autore: Giovanni Lattanzi

Fonte: National Geographic, 21-01-2011

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