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ROMA. Ecco la grotta di Romolo e Remo.

Habemus Lupercalem. Il luogo segreto del mito fondativo, il Big Bang della romanità. Una scoperta che se la gioca direttamente con il Graal o l’arca di Noè, e su cui i narratori alla Dan Brown o alla Follett si butteranno a pesce.

Nemmeno Indiana Jones avrebbe potuto sperare tanto, perfino senza il fastidio di doversi battere con felloni d’ogni risma ed etnia, e sparare un sol colpo. Una sonda che si cala per 16 metri nelle viscere del Palatino, tra il Tempio d’Apollo e la Chiesa di Sant’Anastasia. Una microtelecamera che svela i vivacissimi mosaici decorativi. Una sorta di ninfeo, una grotta di 7,5 metri d’altezza e 6 di diametro, annessa alla casa d’Augusto, in cui la lupa avrebbe allattato Romolo e Remo con umana sollecitudine. Un santuario, un luogo legato ai culti di fertilità un po’ ferini, e come tale inviso ai papi, che a partire dal V secolo ne decretarono il progressivo oscuramento.

Adesso ci attendono anni di scavi, di rilevamenti, di studi, di ipotesi dotte e affascinanti. Ancora una volta sperimentiamo in noi stessi una delle tante scissioni di cui viviamo.

Da una parte il piacere di ancorare i grandi eventi mitologici a un «qui e ora» riconoscibile, turistico, frequentabile, esportabile. La nostra dipendenza dalle immagini si è ormai fatta così stringente che la nostra immaginazione ormai tutta virtuale e televisiva non riesce a procedere se non si appoggia al bastone di un supporto visivo, anche sfocato, anche incerto come le foto dei telefonini. Vedere con i nostri occhi la grotta della lupa ci aiuterà a reimpossessarci di una storia che restava confinata nelle poche righe dei testi di scuola.

Dall’altra il confronto della realtà storica e archeologica con il mito può rivelarsi pericolosa, addirittura deludente. Meglio tenersi il mito avvolto nelle sue nebbie grandiose o toccare con mano una realtà magari un po’ sottotono. Ogni lettore lo sa: i personaggi di romanzo che lui immagina sono molto più belli e ricchi di quelli offerti da qualsiasi trasposizione cinematografica. Il riscontro fattuale di eventi e modelli epico-mitologici può condurre alla fatale domanda: tutto qui? Chissà che Troia o l’antica Babilonia fossero, al naturale, villaggi fortificati, modeste cittadine edificate dai geometri d’allora. Chissà che i kolossal hollywoodiani, oggi affidati alle magie del computer, non servano meglio la nostra bulimia immaginativa.

Ma in tempi di crisi energetica e di petrolio a 100 dollari il barile, la favolosa scoperta del Palatino ci dice un’altra cosa: che l’Italia ha in casa un suo petrolio non meno prezioso di quell’altro che fa girare il mondo e che, persi tutti i possibili treni dello sviluppo industriale, la messa in valore dei nostri immensi giacimenti artistici resta un investimento primario, su cui puntare, se non tutto, molto, moltissimo. 


Fonte: La Stampa web 21/11/2007
Autore: Ernesto Ferrero
Cronologia: Arch. Romana

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