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RAVENNA. Alla Casa Matha svelati i segreti del sarcofago Strozzi.

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Il sarcofago si trova davanti alla facciata della chiesa di San Francesco ed è stato oggetto recentemente di un intervento di restauro.
All’apertura dell’arca, in occasione dell’inizio dei lavori di restauro, si è scoperto che la cassa conteneva numerose ossa appartenenti a diversi corpi umani, nessuno dei quali in connessione anatomica. Durante il pomeriggio di studio alla Casa Matha, Maria Grazia Maioli, direttore del Centro Operativo di Ravenna della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, ha descritto il sarcofago chiarendo che è composto da una cassa e da un coperchio fabbricati in due epoche diverse, l’una antica, l’altro altomedievale.

Nei primi anni del Cinquecento i due pezzi furono assemblati per contenere le spoglie di Martino Strozzi. Come chiarito nell’intervento di Paola Novara e Graziano Scandurra, archeologi ravennati, Martino Strozzi o Astozi visse nella seconda metà del Quattrocento e, oltre a svolgere la professione notarile, coprì diverse cariche politiche. Ebbe due mogli, la prima delle quali era la sorella del celebre uomo d’armi Guidarello Guidarelli, che non dimenticò il cognato Martino, e il figlio di lui Fabio Massimo, nel testamento dettato nei giorni di agonia che ne precedettero la prematura morte.

Anzi Guidarello chiese espressamente che Martino fosse presente al suo funerale incappucciato. Senza dubbio le più interessanti novità emerse dal pomeriggio di studio riguardano le condizioni del sarcofago, restaurato per cura di Ugo Capriani, che ha brevemente illustrato lo stato del monumento prima e dopo il suo intervento, e la natura delle ossa ritrovate dentro l’arca.
Secondo quanto ricavato dalle indagini condotte dai medici riminesi Stefano De Carolis ed Elena Rastelli, i resti appartengono ad almeno sette individui adulti, di cui almeno uno morto in tarda età, visto lo stato della dentatura, e ad almeno quattro bambini.
Una presenza così massiccia di corpi può essere spiegata sia come la scelta di impiegare l’arca anche per altri membri della famiglia Strozzi, che ebbe discendenza fino ai primi anni del Settecento, sia come il frutto di una contaminazione avvenuta nei primi anni dell’Ottocento quando il sacrofago, che allora si trovava nella piazzetta degli Ariani, fu momentaneamente svuotato: in quella occasione le spoglie contenute nell’arca Strozzi furono collocate in una delle tombe terragne all’interno della chiesa dello Spirito Santo e, solo dopo qualche tempo, riposte nuovamente nel sarcofago. Non è da escludere che in quel frangente fossero ricollocati corpi non pertinenti, confusi, trattandosi in ogni caso di spoglie di epoche vicine a quelle della tomba Strozzi.

Quanto esposto nel pomeriggio di studio della Casa Matha è una sintesi di studi ancora in corso. Ulteriori ricerche, come ad esempio l’individuazione del DNA dei resti, permetterranno di riconoscere i corpi appartenenti alla stessa famiglia. Altre ricerche, come ad esempio l’analisi delle Visite Pastorali, vale a dire le descrizioni delle chiese della diocesi che seguivano le visite effettuate dagli arcivescovi nei secoli XVI-XVIII, permetteranno di scoprire se il sarcofago Strozzi fosse stato collocato ab origine nella piazzetta degli Ariani, dove è documentato sin dall’Ottocento.

Fonte: RavennaNotizie.it, 23 aprile 2009

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