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LIVERPOOL (GB). Little Foot, il primo bipede.

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Little Foot Australopithecus fossil skull and wax reconstruction of the head. Little Foot is a nearly complete Australopithecus skeleton discovered in...

Dopo un complesso scavo durato 20 anni, un antico e misterioso scheletro sta iniziando a svelare i suoi segreti sull’evoluzione umana.
Il primo di una serie di articoli su “Little Foot” suggerisce che il fossile appartiene a una femmina che ha mostrato alcuni dei primi segni di andatura bipede, simile a quella umana, circa 3,67 milioni di anni fa. Potrebbe anche appartenere a una specie distinta che la maggior parte dei ricercatori non aveva riconosciuto.
“È quasi un miracolo che sia rimasto intatto”, dice Robin Crompton, biologo dell’apparato muscoloscheletrico dell’Università di Liverpool, che ha collaborato con il gruppo di ricerca che ha recuperato lo scheletro.
Oltre ad ricordare il mitico ‘Bigfoot’, il soprannome di Little Foot deriva dalle piccole dimensioni delle ossa del piede, che sono state tra le prime parti dello scheletro a essere scoperte.
I primi segni che si trattava di un esemplare inestimabile di ominide emersero nel 1994. Ronald Clarke, paleoantropologo dell’Università del Witwatersrand (Wits University) a Johannesburg, in Sud Africa, stava frugando in mezzo a scatole di fossili in un laboratorio sul campo presso le grotte di Sterkfontein, a circa 40 chilometri a nord-ovest di Johannesburg.
Si rese conto che una manciata di piccole ossa della collezione apparteneva a un ominide primitivo e stabilì che erano quelle di una specie di Australopithecus, un ominide simile a una scimmia vissuto in Africa tra circa 4 milioni e 2 milioni di anni fa, prima che il genere Homo conquistasse il predominio.
Clarke e colleghi trovarono poi molte più ossa intrappolate in una matrice di roccia solida nelle profondità delle grotte di Sterkfontein. Iniziarono a scavare Little Foot con cautela, pezzo per fragile pezzo, prima con martelli e scalpelli poi con strumenti di precisione.

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L’intero processo ha richiesto quasi 20 anni di lavoro. “L’osso fossilizzato è in realtà più morbido della matrice”, afferma Crompton. “È stato un vero miracolo tirarlo fuori.”
Verso la fine dello scorso anno, il gruppo di Clarke aveva rimosso con successo abbastanza ossa da ricostruire oltre il 90 per cento dello scheletro e l’esemplare è stato presentato al mondo.
Nessun altro fossile di Australopithecus si avvicina a quel livello di completezza. Per confronto, il più famoso Australopithecus, Lucy, è completo al 40 per cento. Il 29 novembre scorso, il gruppo di Clarke ha pubblicato due articoli su Little Foot sul server di preprint bioRxiv: uno sull’età del campione, l’altro sugli arti e la locomozione. Il 4 dicembre, i ricercatori ne hanno pubblicato un terzo, sul cranio e la potenziale relazione con una specie di ominidi conosciuta. Il 5 dicembre, infine, il gruppo ha pubblicato un quarto articolo, questa volta focalizzato sulle braccia e su un trauma subito da Little Foot quando era in vita.
Altri articoli – sulla mano, i denti e l’orecchio interno -, sono attesi per il prossimo futuro, dice Crompton. La maggior parte finirà in un’edizione speciale del “Journal of Human Evolution”.
Gli articoli apparsi su bioRxiv cristallizzano idee emerse in precedenti pubblicazioni sull’età del fossile. Coprono anche un nuovo argomento, suggerendo che Little Foot fosse una femmina adulta che arrivava a circa 130 centimetri di altezza, solo 10 centimetri in meno della media femminile in alcune popolazioni moderne. “Little Foot era piuttosto alta”, afferma Crompton.
L’articolo che riguarda gli arti e la locomozione rivela che le gambe di Little Foot sono più lunghe delle sue braccia, in modo simile a quanto avviene negli esseri umani moderni, rendendola il più vecchio ominide in cui è presente con certezza quella caratteristica, dice Crompton. Questa significa che Little Foot era più adatta a camminare eretta sul suolo rispetto a molti altri australopitechi, alcuni dei quali, almeno, sembrano aver trascorso più tempo a muoversi tra gli alberi.
bipedeLe ossa e i denti del cranio di Little Foot sono così insoliti che Clarke e i suoi colleghi l’hanno classificata come specie distinta. Hanno scelto di non dare a questa specie un nuovo nome, ma di designarlo come Australopithecus prometheus. Il nome di A. Prometheus fu suggerito nel 1948 sulla base di un frammento di cranio trovato a circa 250 chilometri a nord di Johannesburg, ma cadde rapidamente nel dimenticatoio quando i ricercatori decisero che si trattava semplicemente di un rappresentante insolito di una specie già nota, chiamata A. africanus.
Clarke non pensa che Littlefoot appartenga ad A. africanus e ritiene che l’opzione più semplice sia quella di far risorgere il nome A. prometheus per Little Foot e una manciata di fossili simili. Il preprint suggerisce anche che A. prometheus possa essere un antenato di un gruppo di ominidi chiamato Paranthropus, coesistito con le prime specie Homo per circa un milione di anni.
Lee Berger, anch’egli archeologo alla Wits University, che non è stato coinvolto negli scavi ma sta lavorando a pubblicazioni su Little Foot, non è d’accordo con la decisione di riprendere il nome A. prometheus.
In un articolo in via di pubblicazione sull'”American Journal of Physical Anthropology”, Berger sostiene che il nome A. prometheus non è mai stato definito correttamente. Non ha ancora deciso se Little Foot costituisce una specie distinta, ma se è effettivamente così, pensa che sia necessario un nuovo nome.
Berger aggiunge di essere deluso dall’assenza negli articoli di informazioni affidabili sull’età e sulle scoperte sulla locomozione: avrebbe voluto vedere misurazioni dettagliate delle ossa fossili, per esempio. “Non ci sono dati, quasi non ci sono misurazioni dei fossili”, sottolinea. Berger spera di fornire questi dati nelle sue pubblicazioni, anche se si trova ancora in una fase iniziale della sua analisi.
Crompton risponde che l’articolo sulla locomozione è essenzialmente una panoramica che tenta di ricostruire il modo in cui Little Foot si muoveva basandosi sui dati attendibili forniti negli altri articoli. Dati più dettagliati si possono trovati negli altri articoli del gruppo, dice. Gabriele Macho, antropologo e biologo dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, concorda sul fatto che l’articolo sulla locomozione abbia pochi dati affidabili, ma rileva che il gruppo riconosce che si tratta di un lavoro in corso. Non vede l’ora di vedere articoli più dettagliati in futuro. “La cosa positiva è che questo scheletro è tremendamente importante”, dice. “Su questo non si discute”.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Nature” il 7 dicembre 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

Fonte: www.lescienze.it, 12 dic 2018

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