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L’ANTICO BLU EGIZIANO TORNA DI MODA, di Marina Celegon.

blu

Quando guardiamo gli oggetti prodotti dagli antichi egizi siamo spesso attirati da quelli che presentano un brillante colore blu come quello della corona che indossa Ramesse III nella tomba del figlio Khaemuaset (QV44). Gli egiziani amavano il colore blu, associato al cielo ed all’acqua, quindi alla vita, alla fertilità e alla rinascita. Si tratta di un colore raro in natura essendo il blu un colore primario.
Uno dei materiali blu ai quali avevano accesso gli egizi era il lapislazzuli, una pietra di un colore blu intenso che poteva essere macinata per realizzare dei pigmenti. Ma si trattava di un materiale prezioso che veniva importato fin dall’epoca predinastica dal lontano Afghanistan. Altre fonti del blu erano i turchesi e l’azzurrite, minerali rari e difficili da trattare.
Così, forse per caso durante i processi di fusione del rame, gli egiziani scoprirono come produrre un materiale con simili toni di colore. Questa sostanza, conosciuta come “blu egiziano” è il primo pigmento artificiale creato mediante un processo complesso. Il suo nome egiziano è traducibile come “falso lapislazzuli”. Per produrlo sono necessari sabbia, rame e natron, tutti materiali facilmente accessibili.
Il più antico uso del blu egiziano noto è in una ciotola di epoca predinastica trovata a Ieracompoli e datata a circa il 3250 a.C. (oggi al MFA di Boston). Da allora, e in misura via via crescente, il blu egiziano venne usato come pigmento nella decorazione di tombe, dipinti murali, arredi, statue e, dal Nuovo Regno, anche per produrre numerosi oggetti. La sua presenza è attestata fino al periodo greco-romano. Dal IV secolo d.C. scompare ed il segreto della sua produzione venne perduto.
Diversi esperimenti sono stati condotti da scienziati e archeologi moderni interessati ad analizzare la composizione del blu egiziano e le tecniche utilizzate per la fabbricazione di esso. I moderni ricercatori hanno scoperto che il pigmento blu egizio assorbe la luce visibile ed emette luce nel vicino infrarosso gamma, e stanno studiando la possibilità di utilizzarlo in materiali da costruzione progettati per raffreddare tetti e pareti in climi soleggiati, e per migliorare le prestazioni delle celle fotovoltaiche. Un antico materiale che, dopo 2.000 anni di assenza dalla scena sta tornando di attualità nella moderna bio-edilizia.

Autore: Marina Celegon

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