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FORMIGINE (Mo). La società delle terramare? Non era poi cosí pacifica…

Una delle piú grandi necropoli dell’età del Bronzo italiana è stata individuata e scavata a Casinalbo (Formigine, Modena), a circa 200 m di distanza da un villaggio terramaricolo fortificato da un fossato e un terrapieno. Fino a ora gli scavi, condotti dal Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna (a varie riprese dal 1994 al 2009), hanno portato alla luce circa 650 tombe, databili fra il 1500 e il 1150 a.C. Si stima che originariamente la necropoli consistesse in circa 2500/3000 sepolture, distribuite in un’area di poco piú di un ettaro. Il rituale funerario prevedeva sempre la cremazione dei defunti, a differenza di quanto accadeva poche decine di chilometri a nord, per esempio nella pianura veronese, dove è attestata anche l’inumazione. Le sepolture sono raggruppate in nuclei, la cui consistenza varia da 8-10, fino a circa 80 tombe, indicate da una o piú grandi pietre usate come segnacoli, portate appositamente sul luogo dagli antichi abitanti da almeno 15-20 km di distanza. Oltre alle urne in ceramica, frequentemente decorate con motivi geometrici, dalla necropoli provengono numerosi oggetti in bronzo, ma, sorprendentemente, pochi ne sono stati trovati dentro le urne cinerarie o nei pozzetti che le contenevano, come ci si sarebbe potuto aspettare. Gran parte dei reperti metallici, soprattutto frammenti di spade, proviene infatti dal suolo antico della necropoli individuato dagli archeologi. Grazie alla conservazione di tale suolo è stato possibile riconoscere alcune fasi del rituale funerario e chiarire aspetti dell’organizzazione sociale delle terramare.
I defunti venivano posti su una pira per la cremazione, a volte con oggetti che ne definivano lo status sociale, come spade e pugnali per i guerrieri e ornamenti per le donne o per le adolescenti appartenenti al rango piú elevato della comunità. Dopo il rogo, le ossa combuste venivano selezionate, probabilmente lavate e deposte in urne di ceramica. Successivamente erano sepolte nel terreno, all’interno di pozzetti poco profondi. Le armi dei corredi maschili, già deformate dal rogo, venivano ritualmente spezzate, per renderle inutilizzabili e consacrarle alla divinità. Venivano quindi deposte in aree particolari della necropoli, destinate evidentemente a rituali funerari, come testimoniato da un grande vaso per contenere liquidi e da una concentrazione di frammenti di tazze in ceramica fine, probabilmente usate per libagioni in onore dei defunti.
Gli oggetti che distinguevano le donne e le adolescenti potevano invece trovarsi anche all’interno delle urne, assieme ai resti combusti. Sembra che la deposizione di questi reperti non fosse casuale, infatti l’analisi della loro distribuzione evidenzia che i frammenti di spada, appartenenti evidentemente ai guerrieri di piú elevato ceto sociale, erano collocati tutti in prossimità del grande dolio e della maggiore concentrazione di ceramica che si suppone utilizzata a scopi rituali, mentre tutti gli altri (pugnali, spilloni, fibule, ecc.) erano dislocati a una maggiore distanza dal dolio.
Questa importante scoperta ha consentito di risolvere un enigma archeologico. Infatti la mancanza di armi e la scarsità generale dei corredi nelle necropoli delle terramare erano state interpretate da alcuni archeologi del passato come le prove di una società sostanzialmente egualitaria. Tale visione però strideva con i dati offerti dalle indagini negli abitati e dalla produzione artigianale, che invece testimoniano una società molto sviluppata, economicamente evoluta e socialmente articolata.
Gli scavi di Casinalbo hanno dimostrato che la società delle terramare, al pari di altre della Media e Tarda età del Bronzo italiana ed europea, era basata su una incipiente differenziazione sociale, al vertice della quale si trovavano i guerrieri e le loro donne.
La mancanza di oggetti che definivano lo status del defunto all’interno delle sepolture era dunque il risultato di norme rituali che vietavano la deposizione di armi all’interno delle tombe, forse perché gli oggetti che definivano il ruolo sociale degli individui di alto rango divenivano, al pari del defunto e grazie all’azione del fuoco, offerte alla divinità, stato necessario per far sí che il morto potesse accedere all’aldilà con le sue prerogative. Dato che la temperatura raggiunta dai roghi funebri non era in grado di trasformare o distruggere completamente tali oggetti, gli abitanti delle terramare procedevano alla loro frantumazione e alla loro deposizione rituale in apposite aree della necropoli.
Con il crollo della società delle terramare, attorno al 1150 a.C., la necropoli fu abbandonata e per molti secoli l’area fu disabitata.
I risultati degli scavi di Casinalbo, già in buona parte esposti nel nuovo allestimento del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena, saranno oggetto di una prossima pubblicazione, nella quale saranno sistematicamente studiate le campagne di scavo condotte nel periodo 1994-1998 e parte di quella del 2003 (per un totale di oltre 300 sepolture), per le quali sono stati completati i lunghi e complessi lavori di restauro.
Le ricerche in corso prevedono lo studio dei dati di scavo, di tutti i reperti archeologici, dei resti umani analizzati al fine di stabilire l’età e il sesso dei defunti, nonché il profilo demografico della comunità. Nella necropoli sono state inoltre effettuate anche analisi archeobotaniche e dei sedimenti geologici, che contribuiscono alla ricostruzione dell’ambiente antico e alla sua evoluzione nel tempo.
La prossima pubblicazione del primo volume degli scavi nella necropoli di Casinalbo consentirà cosí di ricostruire, attraverso i rituali della morte, la vita di una antica comunità terramaricola. Ma si tratta solo della prima tappa di una ricerca scientifica di vasta portata. Notevoli sono infatti l’attenzione e l’aspettativa della comunità archeologica nazionale e internazionale per questa necropoli. Lo studio delle successive campagne di scavo (2003-2009), che si presentano forse ancora piú promettenti sotto il profilo archeologico e antropologico, resta dunque una delle priorità della ricerca.

Autore: Andrea Cardarelli

Fonte: http://www.archeo.it, nov 2009

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