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CAPRI (NA), Villa Jovis cade a pezzi.

Capri in questa stagione mostra il suo volto duro, con la maggior parte degli alberghi e dei ristoranti chiusi, le marine flagellate, la Piazzetta che si trasforma nel luogo d’incontro della infreddolita comunità dell’isola. E intanto più su, come denuncia un recentissimo articolo- inchiesta di “Capri News” (http://www.caprinews.it), Villa Jovis, la grande dimora imperiale che Tinto Brass ricostruì negli studi della Dear di Roma per il suo “Caligola”, sta subendo lo stesso destino avverso di Pompei. Semplicemente si sgretola, per abbandono, disinteresse, mancanza di fondi o di personale che possa aprire i cancelli e guidare i visitatori.
Scrive infatti «Capri News»: “Degrado, incuria, crolli, infiltrazioni. Questo ed altro è oggi Villa Jovis, sul promontorio del Monte Tiberio a Capri. Quel che resta della villa da cui Tiberio guidò l’impero romano per circa undici anni è in condizioni vergognose. Gli scavi archeologici vivono uno dei peggiori momenti della storia. I ruderi sono chiusi ai visitatori da gennaio scorso e lo saranno fino al 24 marzo. Sul sito web del Comune di Capri si specifica che la chiusura al pubblico, decisa dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici, è legata a lavori di restauro. Si tratta però di lavori fantasma, visto che fino a questo momento non vi è traccia di nemmeno un operaio”.
L’archeologo Andrea Carandini, attuale presidente del Fondo Ambiente Italia, si mostra ugualmente scandalizzato. «Non si può certo rischiare che resti inaccessibile un sito come le rovine della dimora di Tiberio, l’uomo che per una decina d’anni, al tempo di Gesù, ha retto le sorti del mondo», ha dichiarato a Gaty Sepe del “Mattino” in una intervista di qualche giorno fa.
Si devono ad Amedeo Maiuri i lavori di sistemazione della più grande delle ville romane di Capri, fra il 1932 e il 1935, anche se le sue affascinanti rovine erano note da tempo agli artisti che s’inerpicavano sui sentieri dell’isola. L’architetto tedesco Karl Weichardt ne aveva ad esempio tentato una ricostruzione ideale in tavole e abbozzi che diventarono popolarissimi agli inizi del Novecento. “È stato lo scavo forse più inebriante che abbia avuto la ventura di fare nella mia non breve ascesi di archeologo militante”. Così racconta Maiuri nel suo “Breviario di Capri”. Villa Jovis fu solennemente aperta al pubblico solo nell’ottobre del 1938, alla presenza di Giuseppe Bottai allora Ministro dell’Educazione Nazionale, con gli operatori dell’Istituto “Luce” che immortalarono l’evento, perché si aggiungeva un nuovo prezioso tassello alla “restaurazione” imperiale voluta da Mussolini. Scrive ancora “Capri News”: “Erbacce, rovi, sterpaglie, arbusti, cedimenti, crolli, infiltrazioni, umidità. Tutto questo lungo i percorsi di Villa Jovis. La torre del faro, sul salto di Tiberio, inoltre sta lentamente cadendo a pezzi a causa della presenza di alcune robuste radici nella struttura. Massi di medie o grosse dimensioni, poi, franano in continuazione dal Parco Astarita lungo il viale Amedeo Maiuri, la strada comunale che porta agli scavi, creando potenziale pericolo ai passanti”.
Armati di telecamera, i redattori di “Capri News” si sono inoltrati nella villa, raccontando lo stato di abbandono che regna tra le antiche sale regie, i vestiboli e le alcove di Tiberio. Già in passato erano avvenuti cedimenti, come per l’arco della grande cisterna imperiale, venuto giù non molti anni fa. Le temibili radici che invece scalzano le strutture, sono dovute ai pini di Aleppo che furono impropriamente piantati a ridosso delle rovine intaccando la solidità di ciò che il tempo aveva risparmiato.
Mi confessa Nabil Pulita di “Legambiente” di Capri: “Siamo ad una situazione allarmante, agghiacciante per lo stato delle cose. E non si tratta solo del sito imperiale di Villa Jovis, ma anche della villa imperiale di Damecuta e della villa di Gradola sopra la Grotta Azzurra, quest’ultima completamente avvolta dalla vegetazione e che si sfarina ogni inverno di più”. Nella torre medievale eretta sui resti di Damecuta che ci rivelarono la splendida statua del Narciso, visse per anni Axel Munthe, cedendo Villa San Michele alla “divina marchesa” Luisa Casati, che da buona alunna di D’Annunzio la rivestì di funebri velari.
Il fermo-immagine di “Legambiente” è impietoso: “A Damecuta un cartello indica lavori di restauro, ovvero divieto d’ingresso per tutti, anche per i giovani volontari che vorrebbero pulire. Il risultato: sporcizia, erbacce infestanti, scavi archeologici mal tenuti il cui risultato è una lenta perdita, di storia, di identità, in soldoni di attrattiva turistica”.
Questa è dunque l’Isola Azzurra, in attesa della primavera che riempirà ancora una volta di turisti la Piazzetta e le stradine di Anacapri. Stante lo sfacelo dei suoi più preziosi siti archeologici con le transenne e i cancelli sbarrati, acquista ancora più forza ciò che propose Carlo Knight l’estate scorsa sulle pagine di questo giornale: un grande museo nelle sale della Certosa che possa ricapitolare, anche in forma di ricostruzione virtuale, come accade a Ercolano, la straordinaria storia millenaria di Capri. Ma si farà mai?

Fonte: Il corriere del Mezzogiorno, 16 mar 2013

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