Archivi

ASCOLI SATRIANO (Fg): La villa del IV sec. emersa dagli scavi.

La “dolce vita” del senatore predone di marmi. Le ricerche dell’equipe diretta da Giuliano Volpe riportano alla luce le terme private e il salone dei banchetti di una residenza “hollywoodiana”. Ma chi era il padrone di casa?

La scoperta di lastre con diverse epigrafi riusate nella costruzione confonde le tracce. Ma chi era quel ricco sfondato e alquanto senza scrupoli che volle costruirsi una lussuosa villa presso Ascoli Satriano, l’antico Ausculum?

Nel IV sec. d. C. questo proprietario romano riedifica la sua domus sulle fondamenta di una villa precedente di epoca imperiale (I sec.), la dota di una salone estivo da pranzo, la cosiddetta cenatio, di inusitato sfarzo, con bassa piscina che lascia intravedere “tappetini” di marmi mischi, insieme a lamine di avorio e d’oro; l’arricchisce inoltre di un centro benessere ad uso privato, grandi terme decorate con raffinati pavimenti mosaicali e con pareti ricoperte di marmi pregiati, in cui ospitare amici e notabili di rango, di passaggio dall’Apulia verso Roma o verso Costantinopoli.

Questa è la visione hollywoodiana che appare a chi visiti gli scavi in località di Faragola, alle pendici di Ascoli Satriano (Foggia). Le indagini sul sito, condotte dall’equipe di Giuliano Volpe, docente all’Università di Foggia, sono arrivate al terzo anno; ed ogni campagna di scavo ha riservato nuove sorprese. Anzi ogni giorno emergono dalla terra strutture e reperti che raccontano un frustolo di storia di quel territorio. Ancora ieri, mentre il prof. Volpe illustrava gli scavi, riaffioravano dalla terra servizi di calici in vetro impilati uno nell’altro, o spilloni in osso dimenticati da una matrona o da una schiava nelle saune delle terme.

Chi era dunque il “trimalcione” proprietario della villa? Fino allo scorso anno, lo sfarzoso edificio di Ascoli veniva attribuito a un componente della gens dei Corneli Scipioni Orfiti:: in base a una lapide, la cui epigrafe, pur frammentaria, riporta un attestato onorario di uno dei suoi componenti. Vi si fa riferimento alla carica di legato provinciale e a quella, molto più importante, di proconsole d’Africa attribuita al padre del dedicatario: insomma, una targa di attestata nobiltà, che forse veniva esibita dai padroni di casa in sala da pranzo.

D’altronde i Corneli Scipioni Orfiti costituivano una nota famiglia senatoria, la cui presenza nel territorio antico di Ascoli era già documentata grazie ad altre due iscrizioni (una è stata riutilizzata nel campanile del paese). Possedevano proprietà nella Daunia, nel Brindisino, nel Sannio dal II sec. d. C.; e due secoli dopo il grande Simmaco parla di loro nel suo epistolario.

Tuttavia questa identificazione oggi vacilla un po’. Anche perché negli ultimi scavi, in una stanza delle terme pavimentata con grandi lastroni di marmo, sono emerse altre iscrizioni dedicate a questo e a quello. Due si riferiscono a un Graecidius, un funzionario di età severiana conosciuto anche a Canosa, che ci tiene a esibire la sua folgorante carriera militare nelle campagne belgiche, ma che il proprietario di Ascoli utilizza per foderare la sua fogna!

Il sospetto dunque è che il ricco signore ascolano non abbia avuto scrupoli a “rapinare” il territorio circostante di tutto ciò che potesse essere reimpiegato con finezza nella sua “domus”: dai rilievi marmorei per adornare la stanza da pranzo (il clipeo raffigurante la menade in trance davanti alla cista sacra, il cesto mistico custodito da un serpente), alle lapidi marmoree onorarie e funebri riusate come pavimento, naturalmente dalla parte non iscritta.

Ed è questa una delle grandi sorprese della villa di Ascoli: sotto quei lastroni si nascondono testimonianze storiche dì personaggi, di cariche amministrative, di piccoli eventi quotidiani che arricchiranno di molto la storia della Daunia tardo-antica. Grazie al cinismo predatorio di quel ricco “parvenu”.

Gli scavi dunque procedono e mettono in luce le varie piscine in cui i signori di Ascoli con i loro amici amavano immergersi e rimanere seduti a conversare e a rilassarsi: quella con l’acqua calda alimentata da una retrostante fornace, e quella tiepida; o una più piccola che sembra appunto edificata per i bambini; ovvero la vasca più importante, foderata da marmi, adibita appunto alle immersioni in acqua fredda. Dalla terra riaffiorano frammenti di bianche statue marmoree raffiguranti divinità come Èrcole, che dovevano abbellire le ferme in nicchie apposite. Più in là, ma non ancora del tutto investigate ci sono le fornaci per forgiare mattoni, tegole e vasellame ceramico ad uso interno della villa-azienda, ma anche per una possibile rivendita nel territorio. E mentre appaiono strutture che fanno pensare a uno sviluppo signorile delle abitazioni (dai vari corridoi a un accenno di scalinata), gli archeologi si interrogano su ciò che è già emerso.

La novità più eclatante è aver compreso la funzione dell’abside nella vasta stanza da pranzo estiva, la “cenatio”: quello che sembrava un ninfeo per i giochi d’acqua si è rivelato invece uno “stibadium”, e cioè una sorta di mensa semicircolare in muratura intorno alla quale venivano distesi, come spicchi di arancio, i triclini dei pochi commensali. È praticamente uno dei tre “stibadia” conosciuti finora nel mondo (gli altri sono a Roma e in Spagna). Questa struttura simposiale era propria dell’età tardo-antica e sopravvivrà nell’immaginario artistico nelle “Ultime cene” raffigurate negli affreschi e nei mosaici bizantini, come quello di S. Apollinare a Ravenna, con la rigida disposizione di scelti commensali (da cinque a sette) che prevedeva il primo posto a sinistra riservato al padrone.

L’archeologia ad Ascoli fotografa, finora, l’ozio dei nobili proprietari romani del IV secolo, che si rifugiavano in campagna per meditare, rilassarsi, studiare, tramare. Roma era stata da poco esautorata della sua centralità a favore di Costantinopoli, la nuova capitale che, sede della corte e dell’amministrazione imperiale, aveva attratto a sé tutte le risorse. Non escluso il frumento africano. Il Tavoliere era assurto dunque al ruolo dì granaio di Roma e Ausculum divenne un rilevante centro di scambi, appunto nel IV secolo.

Ma durò poco, a quanto pare. La decadenza – in base ai dati archeologici finora riscontrati – va datata nel VI secolo. Una crisi economica irreversibile? La conseguenza delle guerre greco-gotiche? Fatto sta che tra VI e VII secolo la campagna della Daunia subisce una trasformazione e un immiserimento, che conduce all’inevitabile inurbamento sulle alture. Un addio alla “dolce vita”.

Sul crollo della fastosa villa – sorta su una precedente di età imperiale, che a sua volta sorse su un insediamento daunio (un pavimento a lische di ciottoli ne è un indizio) – si insediarono alla fine pastori o miseri agricoltori. Edificarono le loro povere dimore, ficcando nei detriti di crollo i pali delle capanne; costruirono una sorta di aia con coppi d’argilla per il trattamento del grano o della lana; bucarono i pavimenti sottostanti per seppellire i loro morti.

Ma per fortuna non scalfirono del tutto il ricordo di quei momenti di grazia e di floridezza di una villa dell’antico Ausculum, affacciata sulla valle del Carapelle. E che – a nostro avviso – riserva ancora altre sorprese.

Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno 03/08/2005
Autore: Giacomo Annibaldis
Cronologia: Arch. Romana

Segnala la tua notizia