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Vittorio BUZZI, Ricognizione sulle strade medioevali nella pedemontana friulana.

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Le colline di origine morenica, situate a nord di Martignacco (UD) e che rendono particolarmente ameno il territorio del limitrofo Comune di Moruzzo, evidenziano la presenza di una abbondante falda d’acqua superficiale la quale, scorrendo attraverso uno strato permeabile ricco di ghiaia posto al di sopra di una crosta argillosa impermeabile, consente la coltura di piante idrovore come mais e soia senza alcun ausilio di impianti di irrigazione. Questa falda alimenta pure alcune fonti presso le quali in passato la popolazione attingeva un’acqua particolarmente buona e fresca ma che ora, con tardive ordinanze comunali sono, parimenti ai pozzi artesiani, cautelativamente interdette a causa dell’avvelenamento dovuto al massiccio impiego di diserbanti e pesticidi praticato dagli agricoltori.

Un’attenta osservazione del territorio – che era privo di viabilità consolare o vicinale romana – ci fa intuire che le antiche strade locali, carrarecce che univano borghi e villaggi e che costituivano un efficace reticolato viario, tutt’ora in parte utilizzato dai mezzi agricoli, si sviluppavano sostanzialmente in due modi: alcune percorrevano i fossati perché l’alveo, insinuatosi nel citato livello ghiaioso del terreno, era compatto; altre venivano edificate preferibilmente ai margini dei piccoli corsi d’acqua che, emergendo numerosi dal terreno, facevano affiorare ghiaia in grande quantità. Questa veniva sfruttata come sostituito della massicciata e della pavimentazione perché il pietrisco limitava e drenava i tratti pantanosi, era più resistente all’usura e facilmente “ricaricabile” nelle fasi di manutenzione. Questo sistema era dettato dalle ristrettezze economiche ed evitava i  grandi costi di  costruzione dei corpi stradali e della loro lastricatura che avevano caratterizzato le antiche strade consolari romane.

La morfologia  evidenzia che la sezione  di dette carrarecce appare prevalentemente di tre specie:

1.      “in tricea” ovvero infossate tra  due terrapieni – che in epoca più tarda furono rinforzati con muri  a secco che consentivano il riuso delle pietre affioranti dai campi – generalmente ricalcanti il percorso di fossi di regimazione o di piccoli rii;

2.      “a mezza costa” ottenute attraverso una sorta di terrazzamento con zone di riporto ed opere di sostegno che successivamente furono rappresentate da muri a secco di contenimento a monte ed a valle i quali, alla loro base, avevano un canale di sgrondo che evitava l’erosione della pavimentazione;

3.      “in rilievo” ovvero innalzate sul piano di campagna per il superamento di acquitrini e pantani.

C’erano anche alcune strade pavimentate con un vespaio di piccole pietre trattenute da cordoni di ciottoli più grossi ubicate sui pendii particolarmente ripidi. Di queste restano visibili due tratti sul tragitto che metteva direttamente in comunicazione il Castello di Brazzà  con la Pieve di Santa Margherita del Gruagno. Questo percorso scendeva, attraverso una rampa pavimentata ed affiancata da robusti muri a secco, all’acquitrino di S. Andrea, lo valicava con un tratto “in rilievo” e raggiungeva la salita corrispondente, di eguale fattura, ancor oggi nominata “Jevàde” (levata) che conduceva sul colle della Chiesa.

L’osservazione di questi manufatti viari rivela che i nostri avi possedevano una profonda conoscenza empirica  del terreno e dell’idraulica delle terre in cui vivevano e testimonia che le pendici dei colli erano percorse trasversalmente da numerosi fossati che regimavano le acque salvaguardando i campi dal dilavamento e poi confluivano, assieme al materiale di riporto, in canali di scarico verso il piano.

Lo studio delle precarie condizioni in cui oggi si trovano queste opere ci induce all’amara considerazione di quanto, noi discendenti, siamo stati artefici di una folle distruzione che ha quasi annullato un lavoro che  le vecchie ma accorte generazioni  hanno saputo con sudore capitalizzare per noi.

Frane, smottamenti, allagamenti, esondazioni, non si possono attribuire al fato né all’eccezionalità degli eventi atmosferici che sappiamo ormai tendenti alla tropicalizzazione ma soltanto alla naturale conseguenza della nostra insania, della nostra presunzione e disonestà intellettuale che nell’elenco delle priorità antepone il fumo all’arrosto, la cementificazione alla vivibilità, lo sconcio al bello.

Il più antico documento della Pieve di Santa Margherita del Gruagno – che aveva giurisdizione religiosa su oltre quindici “ville” tra cui Martignacco, Ceresetto, Torreano e Plaino – risalente al 18 febbraio 1048 cita, in relazione ad un lascito testamentario, un terreno nelle pertinenze di Ceresetto in località “Riuz” (diminutivo del friulano Riu = rio).

A Venzone, tra gli atti del notaio Giacomo (1318 ÷ 1322) è citata, in relazione alla Pieve di S. Margherita del Gruagno, la località “Mur” (Mure = vetusto termine tedesco utilizzato per identificare ghiaia mossa dallo scorrere di un rivo) ripresa in seguito con “Riuz” e “ Roiuz”.

Nella “Riconfinazione del catastico del 1762” della citata Pieve a pag. 42 n° 6 si legge:

“Pezzo di terra arrativa nuda nelle giadette Pertinenze di Torreano nella Confinazione 1639, Reconfinazione 1677 – chiamato Roiuzzo, nella Riconfinazione 1727 al n° 6 – detto pur Roiuzzo, come pur in ora si denomina Roiuzz, e ‘di presente confina al levar del sole cogli Eredi q. Zuanne q. Angelo Turri, come similmente al Tramontar del Sole coi stessi Turri, a mezzo giorno col Nob. R.mo Monsignor Francesco Canonico Trenti Eredi Milliana, ed a Settentrione  con strada pubblica detta di Roiuzzo, ….”

L’interpretazione delle carte catastali e la memoria di alcuni anziani fanno identificare la strada pubblica detta “Roiuzzo”, che dava pure designazione alle aree ad essa adiacenti sul versante sud situate nelle pertinenze sia di Ceresetto che di Torreano, con l’attuale via Cividina (Strada Provinciale di Ceresetto) che lambendo i nuclei di dette frazioni collega il paese di Martignacco con Plaino.

La via Cividina che prende il nome da Cividale, suo traguardo remoto, in questi luoghi oggi non ricalca fedelmente l’antico percorso che certamente era più tortuoso, diverso perché non era tangente ai borghi che metteva in comunicazione ma li attraversava passando tra antiche case di cui alcuni esemplari del XVI secolo sono ancora presenti nei loro centri storici. Ora essa si snoda tra costruzioni che risalgono al massimo alla fine del XIX secolo e che sorgono arretrate rispetto alla carreggiata rispettando principi urbanistici molto più recenti.

L’antica strada di “Roiuzzo” correva al margine sud delle colline dove rivoli (roiuz) e canali di sgrondo calanti dalla collina dilagavano nel sottostante piano formando un deposito alluvionale di ghiaia che, pressoché privo di pendenze. servì come struttura per il corpo stradale.

La sua localizzazione sopporta la tesi sulla tipologia costruttiva inizialmente espressa ma anche il suo nome, se necessario, ne dà conferma.

Autore: Vittorio Buzzi – buzzivittorio8@gmail.com

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