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TORINO. L’Armeria Reale.

Proposte per rimediare a un  restauro insoddisfacente
L’Armeria Reale di Torino è stata riaperta al pubblico nel 2005. La scelta del Progetto  di restauro pluriennale della Sovrintendenza BBSAA è stata quella di riportarla alla situazione precedente al 1969, definita “storica”. Per la verità la storia della Armeria – la più importante raccolta italiana di armi – parte dal 1837 con la decisione  di re Carlo Alberto di rendere accessibili ai torinesi le raccolte di famiglia e le collezioni provenienti dagli Arsenali di Torino e Genova.  
Una scelta per far riscoprire, ad un popolo chiamato a realizzare con le armi  l’unificazione politica della pianura del Po, l’importante tradizione militare dello Stato sabaudo. Il primo Catalogo, stilato pochi anni dopo  dal primo Conservatore, il conte Vittorio Seyssel d’Aix, comprendeva 1554 pezzi, oggi diventati 33.000, la maggiorparte conservati nei depositi.
Scelta datata, quindi, quella di fare il museo del Museo, e che oggi mostra alcune crepe . Se ne fa interprete Giorgio Dondi, oggi Presidente operativo della Accademia di San Marciano, sodalizio internazionale degli studiosi e dei cultori di armi antiche, con un articolo pubblicato su l’Araldo del Piemonte e della Valle d’Aosta (Anno 1 n.3 – 3° trim. 2014)
Sin dall’inizio – spiega il prof.Dondi – il fascino della Istituzione è stata senza dubbio la sede: la Galleria del Beaumont, all’interno del palazzo progettato da Juvarra e collegato al Palazzo Reale.  E’ un locale vasto ed importante, impreziosito da affreschi e decorazioni, così come la vicina sala della Rotonda.
La moda museale del tempo, sin dal settecento e anche prima, è però quella di creare delle “wunderkammer”, delle stanze delle meraviglie, riempiendole sino al soffitto di cose strane e sorprendenti al di là della cronologia e dell’ambiente culturale, mescolando vero e falso, alabarde medievali italiane e armature cinesi, con le armi da taglio raggruppate in panoplie assolutamente inaccessibili. Cosa comprensibile, per la sensibilità di allora, ma assurda agli occhi dei nostri contemporanei.
Un Museo – qualsiasi museo – deve tener presente quelli che sono i “fruitori”- i visitatori: avremo così necessità di curiosità per i turisti-mordi-e-fuggi, di didattica per gli studenti (differenziata magari per ordine di corso, l’approccio di un bambino delle elementari non può essere quello di uno studente delle superiori, guidato da un insegnante). C’è poi il ricercatore, lo studioso che cerca nei pezzi della collezione motivi di studio e di approfondimento, confronti con nomi e documenti d’Archivio. E’ quindi giusto che di queste diverse esigenze venga tenuto conto.
Per discutere – e denunziare – questo stato di cose, l’Accademia di San Marciano ha organizzato un Convegno a fine ottobre 2014 presso la Fondazione Accorsi – Ometto di via Po . Erano presenti il Presidente della Accademia, Giorgio Dondi, il nuovo Direttore dell’Armeria, Mario Epifani, Roberto Gnavi di Italia Nostra.   
Una occasione propositiva, che ha visto interventi di tecnici, il museologo Alberto Tosa, ill tecnico di restauro Marco Merlo, coordinati col senso pratico, l’esperienza e la competenza di Giancarlo Melano, Presidente della Associazione Amici del Museo di Artiglieria. Sono emerse manchevolezze anche gravi: oggetti chiaramente falsi, perché riprodotti in epoca più recente, informazioni carenti, a volte errate, insufficiente attenzione al restauro e alla conservazione.
Le soluzioni ai problemi riscontrati non sono facili, ma percorribili con gradualità, se si ricrea l’atmosfera collaborativa che ha contraddistinto negli anni i rapporti della Direzione della Galleria con l’Accademia. Non per nulla il Professor Dondi (succeduto allo storico Presidente – e fondatore – Raffaele Natta Soleri, oggi Presidente Onorario) è stato lungamente Direttore della Galleria stessa, avanza proposte razionali: minimaliste, se si vuole, ma realiste rispetto alle (non) disponibilità economiche del momento: “Si potrebbe  – dice Dondi – cominciare col togliere le cose più sfacciate, col che si aumenterebbe il tono della collezione e insieme si creerebbe un po’ di spazio e si potrebbero estrarre dai depositi alcuni degli oggetti che è un peccato tenere nascosti“. Mostre temporanee tematiche attrarrebbero nuovo pubblico, e sarebbero occasione di presentazioni di restauri e nuove acquisizioni. Perché è questo che il pubblico chiede: un Museo vivo, attivo, coinvolgente, per una Torino che sta riscoprendosi sempre più città d’arte e turismo. Qualcosa è stato fatto: da ottobre è disponibile una applicazione smart scaricabile su I-phone che dovrebbe ovviare alla carenza di schede e cartellini. Tanto  però resta da fare.

Autore: Luigi Griva – luigigriva@gmail.com

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