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SPERLONGA (Lt). Un mare di storia e archeologia.

sperlonga
Ripercorrere archeologicamente i luoghi delle ville marittime di lusso dell’Italia Romana tra la fine dell’età repubblicana e l’età imperiale è un argomento di vastissima portata che, attraverso l’analisi dei dati archeologici più rilevanti e delle fonti letterarie, fornisce una chiave di lettura di questi complessi monumentali, testimoni dei mutamenti economici e storico-culturali della società romana ma anche del cambiamento avvenuto nel modo di concepire lo spazio abitativo.
L’importanza di questa architettura residenziale fortemente connessa al paesaggio marittimo ma anche lacustre e fluviale consiste altresì nel documentare il valore artistico e tecnico espressivo insito nel manufatto, ai fini di una più ampia comprensione della cultura architettonica abitativa che si rivela terreno adatto per esperimenti architettonici poi adottati nell’architettura pubblica.
Queste architetture, spesso sedi del potere centralizzato nel caso delle ville imperiali, si trasformano nel tempo in luoghi di rappresentanza per eccellenza e di spettacolarità diffusa, esibizione di un’aristocrazia antica e recente che comunque manifesta il costante intento di inserire come presupposto essenziale del progetto architettonico, il paesaggio naturale.
Anche se sul litorale tirrenico la vera e propria esplosione dell’edilizia privata sembra avvenire a partire dalla metà del I sec. a.C., periodo nel quale molte ville vengono ristrutturate e altre costruite ex novo, i dati archeologici attestano la presenza di una villa marittima costruita in una insenatura di fronte al mare in prossimità di Sperlonga, a poche centinaia di metri a sud della celebre villa c.d. della grotta di Tiberio, e collocabile cronologicamente nella sua prima fase costruttiva intorno alla metà del II sec. a.C. Parte delle strutture superstiti di questa villa sono oggi inglobate e visibili nel parcheggio di un lido della spiaggia in località Bazzano a Sperlonga.
Auspichiamo perciò un controllo costante da parte delle autorità preposte al controllo, in particolare della Soprintendenza Archeologica del Lazio, su questi straordinari e unici siti, patrimonio della nostra identità nazionale, che nei mesi estivi subiscono l’invasione dei bagnanti.
La costruzione della moderna strada litoranea (Strada Statale 213) negli anni Cinquanta ha determinato la distruzione della parte frontale di questa villa marittima, rendendo così impossibile la lettura complessiva dell’impianto planimetrico, tuttavia le strutture superstiti evidenziano un complesso architettonico a schema aperto con nuclei edilizi sparsi impostati su terrazze digradanti suggerite dal contesto orografico, limitate a S-E da un ruscello che sfocia in mare.
I dati archeologici in nostro possesso, sebbene insufficienti per comprendere se questo complesso abitativo avesse una dimensione produttiva, documentano un grande impegno architettonico e una libertà compositiva espressa da una pianta allungata in funzione panoramica rispondente ad un ideale residenziale; l’impianto costruttivo infatti evidenzia più nuclei legati da passaggi e orientamenti condizionati dal terreno.
La documentazione archeologica attualmente disponibile consente di individuare tre fasi edilizie principali: la più antica documentabile dall’opera poligonale sembra potersi collocare intorno alla metà del II sec. a.C., immediatamente dopo la costruzione della via Flacca (188 a.C.); una seconda fase edilizia si colloca tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C., periodo nel quale le fasi costruttive della villa sono caratterizzate dall’opera incerta; una terza fase costruttiva, inquadrabile nella seconda metà del I sec. a.C., si evince dalle strutture in opera semireticolata.
Il nucleo principale o comunque più imponente della residenza, si articolava sulla platea della terrazza monumentale della villa che si sviluppava per oltre 60 metri parallelamente al mare evidenziando grossi blocchi in opera poligonale, ai quali succede un allineamento in grossolana opera semireticolata caratterizzato da nicchie semicircolari di altezza variabile aventi nel centro la parte terminale di un tubo in laterizio con la funzione di drenaggio del terreno retrostante; è possibile che questo fronte terrazzato a nicchie ospitasse fontane. Sebbene lo stato di rovina non consenta una identificazione certa della funzione dei vari ambienti e dei nuclei edilizi del complesso abitativo, è presumibile che su questa grande terrazza si sviluppasse il corpo principale della villa comprendente la zona residenziale, gli ambienti di servizio e forse un’area destinata a giardino. Sul terrazzamento rimangono labili tracce di pavimenti e il perimetro di un ambiente di servizio contenente ancora in situ le olle laterizie.
Ad un secondo momento costruttivo sono da attribuire gli speroni di rinforzo a pianta rettangolare e in opera reticolata costruiti sul versante orientale del terrazzamento, probabilmente per ostacolare l’azione erosiva delle acque del ruscello. La villa si estendeva fino a quota mare tramite una rampa inclinata di c.a. 50 metri ed un ponte, realizzati per superare una distanza di c.a. 70 metri; il corpo della rampa in discreto stato di conservazione e costituito in forma monolitica da una struttura leggera in opera incerta con muri di 50 cm di spessore, si innesta con i terrazzamenti a monte tramite un ponte parzialmente conservato costruito in opera incerta la cui volta di copertura a botte è realizzata con scapoli di pietrame disposti in modo radiale. Agli antichi costruttori fu necessaria di fatto la costruzione di un ponte ed una rampa per superare l’antica via Flacca identificata con quella tracciata nel 184 a.C. dal censore L. Valerio Flacco per servire il centro di Formia appena eretto a municipio.
L’impianto architettonico che si qualifica essenzialmente come residenziale, è di eccezionale importanza perché si osserva che già in questo ambito cronologico s’individua la felice risoluzione di intenzioni pratiche – il raccordo con il mare si ottiene tramite un ponte ed una rampa inclinata che scavalcano la via Flacca – e prospettiche – non si esita a costruire un padiglione con funzione di belvedere su uno sperone roccioso superando il dislivello determinato dal torrente, che anzi viene straordinariamente incluso nell’impianto planimetrico.
Le attestazioni archeologiche evidenziano che questa tipologia di villa marittima “ad elementi sgranati” o “aperta” si affianca e non segue cronologicamente quella su grosso basamento sostruttivo, confermando che la diversa tipologia dipendeva essenzialmente dalla diversa esigenza di adattarsi al terreno. La caratteristica principale di questo tipo di residenza consiste nell’apparente mancanza di un centro architettonico, quale un cortile o un peristilio a vantaggio di uno sviluppo longitudinale lungo la linea di costa. L’abbandono della struttura chiusa, incentrata su peristilio patrio, dà vita nelle ville marittime a delle forme miste nelle quali al nucleo originario si accostano ambienti sparsi che raggiungono dimensioni grandiose. I dati archeologici e letterari ribadiscono pertanto la grande attenzione e sensibilità dell’architettura romana ai valori spaziali che vengono progettati e fortemente dilatati tanto da renderli protagonisti dell’immagine.
Il comune denominatore delle villae maritime è la presenza dell’acqua sentita come un bisogno: il mare, il lago o il fiume costituiscono un “complemento al bisogno di riposo e di frescura che procura l’otium rurale”. Ville di lusso, che si inseriscono nella morfologia delle coste costruite in funzione del paesaggio circostante, con un rapporto che non è solo funzionale ma anche estetico e panoramico e che attesta il carattere estroverso e centrifugo della villa maritima romana.
Con l’unificazione politica della Penisola, il consolidarsi del primato di Roma ed il sopraggiunto benessere economico conseguente dalla ricchezza accumulata con le conquiste, che fu enorme a cominciare dal II sec. a.C., accanto alle più antiche villae rusticae, i cui impianti riflettono le indicazioni catoniane della successione cortile-atrio, compaiono le prime ville marittime, espressione diretta di una crescita economica e politica delle classi elevate che detenevano il potere. Soprattutto dalla fine del II sec. a.C. si afferma il tipo di residenza signorile appartenente all’aristocrazia urbana o locale di cui fanno parte le splendide villae maritimae che godettero di particolare favore trovando innumerevoli applicazioni, a cominciare dal litorale del Lazio meridionale e della Campania; magnifici luoghi non eccessivamente distanti dal centro del potere e quindi facilmente raggiungibili.
Le villae maritimae che ancora oggi sopravvivono in numero considerevole da consentire una valutazione, presentano spesso configurazioni, strutture e funzioni che si sono modificate nel corso dei secoli ed è spesso difficile ricostruire i caratteri originari per la comprensione delle varie fasi del loro sviluppo.
I dati rilevati sono comunque picchi emergenti di complessi architettonici di cui solo in pochi casi è possibile intuire l’entità reale, spesso infatti le strutture sono in condizioni tali da limitare le possibilità di una corretta lettura. Una costante decisiva nello sviluppo delle residenze rivierasche fu, come più volte evidenziato, l’elemento paesaggistico e l’ecosistema nel quale si inserirono che presenta tratti comuni in tutta Italia come la posizione geografica, la geomorfologia, l’idrografia e la vicinanza con vie di comunicazioni naturali o costruite ex novo; configurazione paesaggistica che ispirò progettazioni architettoniche particolarmente creative.
La documentazione archeologica esaminata evidenzia che ogni villa offre una soluzione propria rispondente alla particolare situazione ambientale oltre che all’inventiva dell’architetto e alle esigenze del committente, a cominciare dalla fine dell’età repubblicana quando i membri dell’oligarchia romana consideravano le questioni di architettura e di decoro come competenze personali.
Grandi e arditi impegni architettonici che attestano la conquista di potenzialità tecniche, in particolare il diffondersi dell’opus caementicium e l’acquisizione di modelli architettonici derivati dal contatto con gli ambienti ellenizzati, oltre che dall’apporto diretto di architetti pergameni e microasiatici affluiti in Italia soprattutto tra la pace di Apamea (188 a.C.) e la fine del regno di Pergamo (133 a.C.).
Alla documentazione materiale si affianca, nell’ultima età repubblicana e nel primo secolo dell’impero, quella fornita dalle rappresentazioni pittoriche di villae maritimae che forniscono preziosi indicazioni, come ad esempio la volumetria degli edifici ed il loro aderente rapporto con il paesaggio.
Gli elementi principali che da un punto di vista archeologico ci consentono di riconoscere nelle villae maritimae esaminate unicamente delle ville di villeggiatura e di otium sono: la grande estensione dell’area costruita, l’impegno architettonico, la ricchezza dei rivestimenti e delle decorazioni, il mancato rinvenimento di settori rustici di notevole estensione con impianti di conservazione e trasformazione dei prodotti, o comunque presenti ma di ridotte dimensioni e verosimilmente funzionali alle necessità di autosufficienza della villa.
La disposizione dei nuclei edilizi e degli ambienti, che può sembrare casuale ad una semplice lettura della planimetria, è sottoposta invece alle leggi del miglior modo di fruizione del paesaggio esterno ed il quartiere signorile è sempre quello meglio esposto al panorama.
Questa estrema adattabilità al suolo conferiva alle residenze marittime – già alla fine dell’età repubblicana – un aspetto scenografico ottenuto principalmente attraverso la composizione dei volumi degli edifici, delle terrazze ed i dislivelli del terreno, completati da portici e criptoportici che ne circoscrivono i contorni e le linee.

Autore
: Catia Fauci

Fonte: Avanti.it, 16 luglio 2011

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