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ROMA. Roma e il mistero dei culti orientali.

Erano gli dèi i veri padroni dell’impero romano? E quale posizione occupavano, nella vita pubblica – politica e sociale – e in quella privata, il culto e la religione? Se diamo ascolto allo storico romano Sallustio (86-35 a.C.) apprendiamo che, presso «i piú religiosi di tutti i mortali» («religiosissimi mortales», De coniuratione Caltilinae, 12, 3), la pia venerazione degli dèi (il «cultus pius deorum», come scrive Cicerone nel De natura deorum 1, 117) e la coscienziosa ottemperanza alle regole rituali preposte al mantenimento della pax deorum – del buon rapporto tra uomini e dèi –, la religio, insomma, era onnipresente. In ogni situazione esistenziale, in ogni occasione o decisione da prendere, si cercava la comunicazione con gli dèi: per indagare la loro volontà, perorare la loro benevolenza e tributare loro onore e ringraziamento.
Non sorprende cosí che, con l’espansione di Roma a potenza mondiale e il conseguente intensificarsi dei contatti culturali con altri popoli, venne a crearsi, anche sul piano dei rapporti con la religio, un nuovo e ricchissimo quadro di riferimento, caratterizzato dalla contemporanea presenza di divinità, di culti, di messaggi e convinzioni tra le piú diverse. Nel corso del tempo e da un luogo all’altro, la religio divenne lo specchio dei mutamenti culturali e sociali, dei cambiamenti delle strutture politiche, delle stesse preferenze individuali. Il politeismo di Roma appare come un conglomerato di elementi tra i piú diversi, che non solo coesistono, ma interferiscono e interagiscono tra di loro. Per secoli, la vita religiosa di Roma e le tradizioni cui si ispira, si plasmano lungo un percorso evolutivo che conosce infinite trasformazioni e nuove creazioni.
Una religione piú umana?
Di questo «pluralismo» religioso fanno parte i cosiddetti «culti orientali», da un decennio al centro di indagini e ricerche che ne stanno tracciando un’immagine nuova e diversa. Per quasi un secolo, infatti, la loro interpretazione era rimasta legata ai presupposti teorici dello storico delle religioni belga Franz Cumont (1886-1947) il quale, nella sua epocale opera Le religions orientales dans le paganisme romain (Le religioni orientali nel paganesimo romano  1906), descrisse i culti di Mitra, di Iside e Serapide e della Mater Magna/Cibele come religioni salvifiche a carattere misterico, importate dall’«Oriente» dell’impero, dalla Persia, dall’Egitto, dall’Asia Minore e dalla Siria. Per Cumont, questi culti avrebbero segnato il passaggio evolutivo dal paganesimo politeista al monoteismo cristiano, rappresentando una sorta di «teologia» della redenzione, promotrice di una moralità superiore, in grado di offrire ai propri adepti risposte piú adeguate alle loro necessità psichiche e spirituali di quanto non lo facesse il paganesimo romano, improntato a un rapporto prosaico, quasi commerciale, di do ut des, tra il singolo e la divinità. Sempre secondo la teoria di Cumont, le religioni orientali avevano svolto una duplice funzione: da una parte avrebbero inaugurato il processo di disgregazione che portò al tramonto del politeismo romano, dall’altra avrebbero aperto la via a un nuovo, avveniristico credo religioso, quello del monoteismo cristiano.
Cumont rivisitato
Oggi, per quanto l’opera dello studioso belga rappresenti ancora una pietra miliare negli studi delle religioni antiche, la sua teoria è considerata ormai obsoleta e ne sono stati evidenziati i condizionamenti dettati dal contesto sociopolitico e dallo sfondo scientifico-teorico da cui aveva preso forma. Seppur discussa e criticata, rimane ancora in uso, però – forse per mancanza di un’alternativa adeguata –, l’espressione «culti orientali». Le piú recenti ricerche partono dal presupposto che i diversi culti in oggetto non appartengano a un insieme omogeneo, bensí debbano essere esaminati come fenomeni singoli e indipendenti: le indagini si concentrano sulla questione relativa all’effettiva – o fittizia – origine orientale delle singole divinità e del loro culto, sui meccanismi e sulle tappe della loro distribuzione, sui processi di trasformazione e acculturazione cui furono sottoposti. Da una nuova lettura iconografica e della loro «strategia rappresentativa» emerge, inoltre, che i cosiddetti «culti orientali» conobbero una loro storia formativa ben all’interno stesso della cultura romana, contribuendo forse – secondo un’ipotesi da approfondire – a creare i termini di un’ interessante rapporto dialettico tra «identità romana» ed «estraneità non romana» (reale o fittizia che fosse).
Le scoperte archeologiche degli ultimi decenni hanno, poi, gettato nuova luce su riti e pratiche cultuali, nonché sul rapporto che lega i «culti orientali» all’universo ideologico e rituale dei culti misterici greco-romani. Oggi gli studi si prefiggono di rispondere a una serie di domande di carattere sociale e psicologico: quale fu l’ambiente da cui provenivano gli adepti dei culti, in cosa consistette il fascino che esercitarono sulla popolazione, quale fu la loro influenza sulla vita quotidiana delle persone, sulla società e sullo Stato?
Un altro, affascinante, aspetto riguarda il rapporto tra i «culti orientali» e il cristianesimo delle origini. Fermo restando che l’ipotesi evolutiva postulata da Cumont (i culti orientali come «motore» del passaggio dal politeismo pagano al monoteismo cristiano) sia, ormai, ritenuta obsoleta, è, tuttavia, impossibile non riconoscere parallelismi comuni ai due ambiti religiosi, dovuti verosimilmente al contesto esistenziale e agli universi di riferimento ideologici dei loro seguaci. Universi di riferimento che, per entrambe le realtà, si manifestano a noi attraverso un diffuso repertorio iconografico, riprodotto su oggetti d’uso quotidiano, nei rilievi dei sarcofagi o nelle pitture parietali delle catacombe.
Qualche lontana reminiscenza
Tuttavia, da un semplice sguardo alla storia e all’evoluzione del primo cristianesimo, appare evidente come devozione e arte del monoteismo cristiano abbiano dato origine a una tradizione viva che perdura fino ai giorni nostri; mentre dei «culti orientali» permangono pochi e impercettibili «relitti»: come la ricorrenza di alcune festività cristiane, tra cui quella di Ognissanti o la Commemorazione dei defunti (il 1° e il 2 novembre) che, entrambe, coincidono con i giorni di un’antica festività dedicata a Iside; o quella dell’Annunciazione (25 marzo), la cui data corrisponde alla ricorrenza di una festa di primavera in onore della Magna Mater; o, infine, quella del 25 dicembre, che celebrava la nascita di… Mitra, identificato con il Sol Invictus, l’invincibile dio solare!

Autore: Susanne Erbelding

Fonte: http://www.archeo.it, n. 349, marzo 2014

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