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ROMA. Il mistero della sala da pranzo “rotante” di Nerone.

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Descritta da Svetonio in Vita di Nerone questa sala coincideva probabilmente con la sala ottagona della Domus Aurea. I nuovi rilievi archeologici, incrociati con dati storici, svelano inoltre il marchingegno responsabile della rotazione del soffitto che probabilmente mostrava una complessa sintesi di simboli del potere.
Un mistero che risale a tempi lontanissimi potrebbe essere stato finalmente svelato, attraverso una nuova e coerente interpretazione dei dati archeologici, insieme alle testimonianze storiche e letterarie. Tutto ha inizio con una notizia riportata da Svetonio, biografo, storico ed erudito romano dell’età imperiale, attivo sotto Traiano e Adriano, autore di una Vita di Nerone, inserita all’interno delle sue Vite dei Cesari. Svetonio, è noto, non aveva simpatia per i primi imperatori romani, perché aveva sposato il punto di vista del senato, con cui spesso questi erano entrati in conflitto e Nerone non faceva eccezione.
È in questo contesto che va inquadrata la sua descrizione della Domus Aurea, la gigantesca villa urbana, probabilmente incompiuta, di Nerone, costituita da un complesso di edifici e strutture, che Svetonio presenta come una chiara manifestazione dell’ego dell’imperatore oltre che della sua tendenza a sperperare denaro. Tra gli esempi delle scenografiche bizzarrie volute da Nerone, Svetonio parla, a un certo punto, delle sue sale da pranzo (cenationes, in latino): “Le sale da pranzo erano dotate di soffitti con pannelli d’avorio, mobili e con aperture perché potessero essere sparsi dall’alto fiori e profumi; la principale tra queste sale da pranzo era rotonda e girava continuamente su sé stessa, giorno e notte, come il mondo”.
La descrizione di Svetonio è certamente sorprendente e in molti nel corso del tempo si sono chiesti se potesse essere ritenuta affidabile considerata l’epoca di cui si parla. Oggi questo mistero potrebbe aver trovato una convincente soluzione: come si può leggere con dovizia di particolari nello studio appena pubblicato su “Archeologia classica”, a firma di Stefano Borghini e Alessandro D’Alessio, la sala da pranzo rotonda (cenatio rotunda) in perpetua rotazione potrebbe essere identificata con uno degli ambienti più famosi e rappresentativi dei resti della Domus Aurea, cioè la sala ottagona nel grande padiglione di Colle Oppio a Roma.
“Si tratta, in realtà, di un’ipotesi non del tutto nuova – ci ha detto Alessandro D’Alessio, archeologo e direttore del parco archeologico di Ostia Antica – e avanzata nel corso delle ricerche sulla Domus Aurea da alcuni studiosi, ma senza che vi fosse alle spalle una coerente interpretazione delle tracce archeologiche insieme alle testimonianze che provengono dalle fonti letterarie, rimanendo, così, poco più che un’intuizione.”
romaSi trattava peraltro di un’interpretazione che negli ultimi tempi era stata rimpiazzata da un’altra tesi, proposta da un gruppo di ricerca guidato dall’archeologa francese Françoise Villedieu, che identificava la sala da pranzo neroniana con una grande struttura a forma di torre, rinvenuta nella Vigna Barberini sul colle Palatino, relativamente alla quale si è ipotizzato un meccanismo di rotazione del pavimento.
“Prima di procedere nell’argomentazione della nostra tesi, – continua D’Alessio – abbiamo sottolineato le ragioni per le quali quest’altra identificazione non ci sembra convincente, sottolineandone le forzature. Tra queste, il fatto che si ipotizzasse una rotazione del pavimento, peraltro secondo modalità che mal si adattano alle tracce archeologiche presenti: si tratta di un assunto che contraddice quanto emerge da Svetonio, ma anche, per esempio, da testimonianze contemporanee allo stesso Nerone, di Seneca e Petronio, che fanno sempre riferimento a rotazione o comunque a movimenti di soffitti e mai di pavimenti”. Se non una sala da pranzo rotante, la torre del Palatino potrebbe essere, secondo alcuni, una rappresentazione simbolica del Faro di Alessandria, come richiamo alla cultura ellenistica e orientale.
Ma cosa porta a riprendere in considerazione l’ipotesi dimenticata della sala ottagona? “Le nostre conclusioni – sottolinea l’archeologo – prendono le mosse da uno sguardo d’insieme a una serie di elementi in teoria sotto gli occhi di tutti, ma per i quali non è mai stata tentata un’interpretazione complessiva in quasi un secolo di ricerche e restauri. In primo luogo, si è presa in considerazione la presenza di otto ampi fori, degli evidenti segni dell’asportazione di materiale cementizio, situati, nella sala ottagona, all’incirca a mezza altezza nella pseudo-cupola che ne costituisce la volta. In passato ritenuti dei punti d’appoggio per la costruzione della copertura, una volta da noi osservati da vicino, approfittando della presenza di un trabattello dovuto ad altri lavori, si sono rivelate chiaramente delle asportazioni di materiale dalla cupola già costruita”.
Si trattava, pertanto, di punti ai quali erano fissate delle grappe di ancoraggio: “Ci troviamo – continua D’Alessio – di fronte a una soluzione simile a quella che è, per esempio, possibile vedere a Villa Adriana. Già studiosi precedenti avevano suggerito che si potesse trattare di punti usati per sospendere una controcalotta, senza però approfondirne ulteriormente la struttura. Sotto questa linea di asportazioni, è presente un’altra fila di fori, proprio sopra i portali d’accesso alla corona di ambienti circostante la sala, sugli elementi tecnicamente denominati ‘piattabande’; anche questi fori sono interpretabili come punti d’ancoraggio per qualcosa”.
Un ulteriore importante indizio è, invece, collocato nella parte alta della cupola.
“A poca distanza dall’oculo centrale, ovvero dall’apertura in cima, è presente un doppio solco, cancellato da un restauro del secondo dopoguerra ma molto ben testimoniato dai rilievi archeologici e da foto. La nostra ipotesi è che si tratti di guide che facevano parte di un meccanismo in grado di far ruotare su sé stessa una controcalotta. Esattamente quello di cui ci parla Svetonio!”, sottolinea l’archeologo.
Ma la storia raccontata dai segni della sala ottagona non si ferma qui. Aggiunge Alessandro D’Alessio: “A questo punto, restava da comprendere la funzione dei numerosi fori di chiodi presenti sempre nella parte interna della cupola. Ci siamo accorti del fatto che erano disposti lungo cinque circonferenze parallele che sezionano la volta, risparmiando solo la zona dell’oculo centrale. Secondo la nostra ricostruzione, si trattava di punti su cui ancorare pannelli, per esempio in bronzo dorato e decorati, organizzati in almeno cinque file, e visibili perché la controcalotta rotante non era da immaginarsi come compatta, ma strutturata in forma di griglia aperta con almeno cinque ordini di riquadri. La struttura della cassettonatura è molto simile a quella visibile, per esempio, nel cosiddetto Lupercale del Palatino o, come esempio famosissimo, nella cupola del Pantheon”.
romaSi tratta di elementi meramente decorativi o possiamo ipotizzare una funzione simbolica? Continua D’Alessio: “Un attento studio delle testimonianze storiche e culturali di età neroniana ci fa propendere per vedervi una rappresentazione allegorica del cosmo e del moto dei pianeti, in cui il Sole è rappresentato dall’oculo centrale, la Luna dai mesi lunari individuati dagli ipotetici 28 riquadri per ciascuno dei cinque ordini, che alludono, a loro volta, a quelli che gli antichi consideravano gli altri pianeti oltre al Sole e alla Luna, che per loro rientravano, appunto, nel novero dei pianeti”.
L’elemento interessante, in questo contesto, è quindi un’idea poco nota al grande pubblico in merito alle teorie astronomiche degli antichi. “Possiamo notare – sottolinea, infatti, D’Alessio – che, al contrario di quello che comunemente si pensa, tra l’età ellenistica e il II secolo d. C., l’idea prevalente era quella che vedeva il Sole al centro e non la Terra. Solo in un secondo momento prevarrà, invece, la teoria geocentrica. Qui possiamo vedere come Nerone, identificandosi nel Sole, vedesse in questa rappresentazione un simbolo della sua idea visionaria di rifondazione dell’impero e per questo avesse scelto di darle una rappresentazione cosmologica. Se la nostra interpretazione si rivelasse corretta, la cupola sarebbe anche una sorta di trasposizione architettonica della sfera armillare, strumento astronomico di uso comune nell’antichità, ma in una versione eliocentrica.”
Per dare sostanza a quest’ipotesi interpretativa, gli autori dello studio ne hanno verificato anche la plausibilità tecnica. Sottolinea D’Alessio: “I calcoli statici che abbiamo eseguito, a cura del mio coautore Stefano Borghini, architetto, in collaborazione con ingegneri strutturisti e meccanici, hanno messo in evidenza la plausibilità del meccanismo di rotazione. I tre punti di ancoraggio della controcalotta, in alto, al centro e in basso, le permettevano di ruotare senza basculare”.
Ma quale forza motrice garantiva il movimento ininterrotto? Continua l’archeologo: “Gli architetti della Domus Aurea, Severo e Celere, erano con ogni probabilità di formazione, se non di origine, alessandrina, come attestato anche da testimonianze papirologiche. La tradizione ingegneristica egiziana era famosa per la produzione di marchingegni a movimento automatico. Con l’aiuto del Dipartimento di ingegneria meccanica, energetica e gestionale dell’Università della Calabria, si è potuto ipotizzare il meccanismo idraulico attraverso cui il soffitto poteva ruotare, con un effetto analogo a quello descritto da Svetonio. Gli scavi archeologici di Laura Fabbrini avevano già messo in luce la presenza di strutture per il trasporto dell’acqua sopra la sala ottagona, agevolmente utilizzabili, oltre che per i giochi decorativi, anche per alimentare questo meccanismo, per il quale possono essere ipotizzate più soluzioni plausibili”.
Un aspetto interessante è che questa rilettura della cenatio rotunda contribuisce anche una reinterpretazione della figura di Nerone, più aderente al dato storico e meno influenzata dalla diffusa vulgata. Conclude, infatti, D’Alessio: “Il complesso dei simboli astronomici e le ardite soluzioni tecnologiche ravvisabili nella cenatio rotunda della sala ottagona ci restituiscono un’immagine di Nerone ben diversa da quella che Svetonio, il cristianesimo e, molto più recentemente, il cinema popolare del Novecento, con pellicole come Quo vadis, ci hanno trasmesso. Ci troviamo, quindi, di fronte non alle semplici spese folli di un imperatore vanesio, ma a una conoscenza consapevole che, come è frequente in tutti i regimi, individuava una serie di simboli per trasmettere messaggi ideologici. In questo caso, la superiorità tecnologica alessandrina era funzionale al consolidamento del potere dell’imperatore-Dio e si integrava con i simboli cosmologici, trasmettendo l’idea di superiorità anche in tutti i campi del sapere e dell’arte”.

Autore: Anna Rita Longo

Fonte: www.lescienze.it, 12 dic 2023

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