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ROMA. A Castel Malnome torna alla luce una Necropoli.

Il soprintendente Bottini: ”La quantità dei materiali ritrovati non è rilevantissima, ma grandi sono le possibilità di approfondire la ricerca storica”. Su alcuni scheletri è stato possibile diagnosticare una patologia congenita denominata signazia, mai rilevata prima in popolazioni antiche.

Oltre 300 sepolture e numerosi elementi di corredo, tra cui anche 70 monete, boccali e ollette in ceramica, lucerne, degli orecchini in oro e una collana che raccoglie amuleti di varia natura (nella foto). E’ il bilancio dei ritrovamenti all’interno di una necropoli romana risalente al periodo che va dal primo al secondo secolo dopo Cristo, rinvenuta nella zona sud-orientale della tenuta di Castel Malnome, nei pressi dell’abitato di Ponte Galeria a Roma.

A seguito della segnalazione e dell’intervento di recupero di materiali archeologici trafugati da clandestini da parte della Guardia di Finanza di Fiumicino, infatti, dal marzo 2007 è in corso una campagna di scavo estensivo in via di Castel Malnome eseguita sotto la direzione della soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma. L’area di scavo si estende per circa 3000 mq e occupa il pianoro sommitale di una collina.

Le risorse di cui disponiamo per questo tipo di attività – ha spiegato il Tenente Colonnello Pierluigi Sozzo, comandante del II gruppo della Guardia di Finanza di Roma – sono residuali, ma la passione che mettiamo in questo lavoro è tanta e questo ci ha permesso di fare una scoperta importante“.

Un lavoro “fondamentale – secondo il soprintendente per i beni archeologici di Roma, Angelo Bottini – per il quale esprimo la mia gratitudine alla Guardia di Finanza e in particolare al comando di Fiumicino, che grazie al loro impegno nella lotta agli scavi clandestini, ci ha messo sulle tracce di questa importante necropoli. La quantità dei materiali ritrovati – ha continuato Bottini – non è rilevantissima, ma grandi sono le possibilità di approfondire la ricerca storica. Le tombe rinvenute, infatti, ci permettono di studiare e conoscere un piccolo campione di cittadini dell’impero“.

Il sedime geologico nella zona collinare dove è stata ritrovata la necropoli romana di Castel Malnome, che si trova ai margini di un’ampia pianura di origine alluvionale, è formato da depositi di sabbia e ghiaia di origine marina. Qui, sin dall’età preistorica, sono documentate importanti tracce di attività umane. A partire almeno dall’Età del Ferro (X secolo a. C.), la pianura è caratterizzata dalla presenza di lagune, sede delle Saline, risorsa primaria dell’area mediotirrenica, all’epoca in mano alla città etrusca di Veio.

Grazie a questo ritrovamento “si viene ad arricchire – ha spiegato Laura Cianfriglia, responsabile archeologico del XV Municipio di Roma – il quadro delle nostre conoscenze sull’area. E’ oggi possibile ricostruire, in parte, l’aspetto che questo tratto di campagna doveva avere in età romana. Con l’età imperiale e la realizzazione poco più a nord del Porto di Claudio e, successivemente, del Porto di Traiano, tutta l’area venne investita da un processo di profonda trasformazione, funzionale alla nuova vocazione dell’area“.

La necropoli, “la più vasta finora – ha sottolineato la Cianfriglia – documentata in questo tratto di suburbio e in generale tra le più grandi scavate negli ultimi anni a Roma”, doveva gravitare su un percorso stradale, oggi in parte ricalcato dal tratto iniziale di via della Muratella; questo a sua volta doveva riconnettersi all’asse stradale primario costituito dalla “Via Portuensis“. Le tombe appartengono tutte a ceti umili e sono in fossa, con coperture varie, ad inumazione (tranne due casi di incinerati) e databili tutte, ad un primo esame, tra gli ultimi anni del I secolo ed il II secolo d. C.

Le tombe della necropoli romana di Castel Mamone “sono tutte fosse terragne – ha spiegato Paola Catalano, responsabile del Servizio Antropologico – e solo il 36% di esse è provvisto di corredo. Questo aumenta l’importanza del dato antropologico, che nel caso di assenza di manufatti, è l’unico in grado di fornire elementi caratterizzanti della sepoltura. Per quanto riguarda l’aspetto demografico, sul totale degli individui, si è osservata una frequenza del 72% di maschi e 28% di femmine“.

Molti scheletri “sono caratterizzati da alterazioni – ha proseguito la Catalano – dovute al trasporto di carichi pesanti sulla colonna vertebrale, il che fa pensare che le tombe siano di lavoratori, probabilmente schiavi che operavano nelle vicine saline“.

La stima dell’età alla morte ha evidenziato un’elevata frequenza degli individui adulti, mentre è basa quella dei giovanili (13-19 anni) e dei bambini (0 – 12 anni). Di particolare interesse, infine, è il caso di una tomba di un individuo di sesso maschile che a livello craniale presenta l’ossificazione patologica bilaterale dell’articolazione temporo-mandibolare.

L’esame radiografico -ha spiegato l’antropologa Paola Catalani- ha consentito di diagnosticare una patologia congenita denominata signazia, mai rilevata prima in popolazioni antiche e solo in pochissimi casi in popolazioni attuali“.

Sul cranio è stata rilevata anche l’asportazione dei denti centrali. Questo dato testimonia un intervento volontario da parte della comunità per assicurare la sopravvivenza ad un individuo che altrimenti sarebbe morto in età infantile.

Una scoperta molto importante – ha sottolineato il soprintendente Bottini – perchè sottolinea come questo nucleo contraddicesse la mentalità che c’era in quel periodo di sentire le anomalie come un elemento negativo“.


Fonte: Adnkronos 06/06/2008
Cronologia: Arch. Romana

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