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REGGIO EMILIA. Gli scavi nell’area dell’Ospedale intercettano uno degli acquedotti romani .

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Sono condotte idrauliche con pozzetto d’ispezione funzionali all’alimentazione di alcuni balnea (gli antichi bagni romani) o di fontane e giardini della zona, databili tra l’età augustea e quella giulio-claudia (fine I sec. a.C. – fine I secolo d.C.)
Un’area a rischio archeologico, che aveva già restituito in passato reperti di epoca romana riferibili a uno degli impianti idraulici che alimentavano Regium Lepidi. Per questo la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna aveva disposto che i lavori di costruzione del nuovo Centro Onco-ematologico di Reggio Emilia, all’interno dell’area ospedaliera, fossero preceduti da opportune indagini archeologiche preventive. Indagini che hanno puntualmente intercettato materiali e strutture di epoca romana e medievale. Nessuna sorpresa, quindi, né per gli archeologi né per l’azienda ospedaliera, e nessun blocco del cantiere che di fatto non poteva nemmeno partire finché non si fossero concluse le procedure di archeologia preventiva.
Le indagini archeologiche effettuate alla fine degli anni ’90 del secolo scorso per la costruzione Polo Onco-ematologico dell’Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia avevano già intercettato alcune strutture idrauliche riferibili all’età romana.
Strutture analoghe, formate da due tubuli di terracotta paralleli tra loro, sono state trovate anche durante le indagini preventive effettuate nella primavera 2010 (ai sensi del Codice degli Appalti, D.Lgs 163/2006, art. 96) prima dell’apertura di un nuovo cantiere del medesimo polo.
In virtù di questi ritrovamenti e sulla base di prescrizioni a suo tempo impartite da questa Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, l’avvio del nuovo cantiere doveva essere preceduto dall’indagine archeologica integrale del manufatto, al fine di verificarne l’estensione e il grado di conservazione, e di garantirne un’adeguata documentazione, sia ai fini della tutela che della valorizzazione.
condotta_2012Un’immagine della condotta idrica di età romana rinvenuta nell’area ospedaliera di Reggio Emilia (scavi 2012). In primo piano la lunga tubatura fittile che si innesta nel pozzo d’ispezione in laterizio (in alto). Nel 2011 la Cooperativa ARS/Archeosistemi ha iniziato le verifiche preventive sotto la Direzione Scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, nella persona dell’archeologo Marco Podini. Le conferme non si sono fatte attendere: poco prima di Natale, le indagini hanno intercettato l’acquedotto già visto a suo tempo.
L’elemento di novità è rappresentato dal rinvenimento (poco più a sud e a una quota superiore, e perciò forse riferibile a un periodo diverso, anche se non di molto) di un altro acquedotto, emerso a seguito dello sbancamento dell’intera area destinata alla costruzione dell’ospedale. In questo caso si tratta di un impianto idraulico a una sola conduttura dotata di pozzetti di ispezione come dimostra il rinvenimento di una struttura circolare (ancora da indagare) a cui si innesta la tubatura fittile. Questi pozzetti erano funzionali alla manutenzione del condotto e, in base a quanto trasmessoci dalle fonti storiche, erano posti a distanze regolari: secondo Vitruvio (De Arch. VIII 6, 3) uno ogni 35 metri circa, il doppio, cioè circa 70 metri, secondo Plinio il Vecchio (N.H. XXXI 57). Al momento questa struttura idraulica è stata messa in luce per circa 60 metri.
Il dato certamente interessante è rappresentato dal fatto che già nel 1888,  Giovanni Bandieri, all’epoca Conservatore del Civico Museo, aveva rinvenuto in un settore poco più a sud-est della città una struttura del tutto identica, incluso il relativo pozzetto di ispezione. Considerato l’orientamento della struttura emersa e le dimensioni degli elementi fittili (del tutto identiche a quelle riportate dal Bandieri) è plausibile che possa trattarsi  del medesimo  acquedotto.
Entrambe le strutture, verosimilmente riferibili alla prima età imperiale romana (fine I sec. a.C. – I sec. d.C., al più tardi inizi del II secolo  anche se, per una datazione più precisa, confidiamo nelle ulteriori informazioni che verranno dal prosieguo degli scavi), ci consentono comunque di formulare alcune osservazioni di carattere generale anche se del tutto preliminari.
In primo luogo, considerato che si tratta di strutture di portata limita e in terracotta (pertanto meno resistenti alla pressione dell’acqua rispetto ad esempio a condutture in piombo o a vere e proprie strutture in muratura), in entrambi i casi non può trattarsi dell’acquedotto principale di Regium Lepidi. Verosimilmente gli impianti in questione erano destinati a servire edifici privati a carattere residenziale, fontane di giardini o piccole terme ecc.
In secondo luogo, la nuova scoperta costituisce un’ulteriore conferma del fatto che la zona sud-est della città fosse l’area preferenziale per la captazione dell’acqua. A questo riguardo, sono state avanzate da A. Borlenghi (chi è o era costui???n.d.r.) alcune ipotesi che hanno evidenziato in quest’area la presenza sia del Rio Acqua Chiara che di acque sorgive. La questione rimane aperta anche se ci auguriamo che le indagini archeologiche forniscano ulteriori elementi di conoscenza.
Il materiale archeologico recuperato durante gli scavi andrà in parte nei depositi e in parte presso ai Musei Civici di Reggio Emilia.
Data l’importanza dei manufatti e l’interesse suscitato dal loro rinvenimento, stiamo già lavorando a un progetto di valorizzazione. Trattandosi di strutture in terracotta facilmente asportabili, stiamo pensando di rimuoverle e ricollocare una porzione di entrambi gli impianti all’interno dei Musei Civici. Al momento stiamo valutando gli spazi e le modalità di recupero, ma l’intento è certamente di renderli fruibili, dopo adeguato restauro, in uno spazio espositivo ad hoc e attraverso una pubblicazione che ne racconti la storia.
Quanto alla preoccupazione principale dei media e dei cittadini reggiani (un ritardo nell’esecuzione dei lavori di costruzione del nuovo centro onco-ematologico) vorremmo rasserenare gli animi. È evidente che i lavori subiranno un lieve rallentamento ma nulla che non fosse già ampiamente previsto, considerato che già si sapeva dell’esistenza di uno dei due acquedotti; oltre a ciò, dobbiamo sottolineare che, a parte il nuovo acquedotto, non sono state trovate altre strutture ma solo canali e fosse, peraltro già scavate.
Salvo sorprese eclatanti, quindi, riteniamo di concludere le indagini archeologiche entro un paio di mesi, al massimo tre, considerando anche i tempi necessari allo smontaggio e ricollocazione dei pezzi all’interno dei Musei Civici

Autore: Carla Conti
Informazioni scientifiche di Marco Podini (Archeologo SBAER) e ARS/Archeosistemi.

Fonte: www.archeobo.arti.beniculturali.it

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