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POMPEI (NA). La Schola armaturarum sarà restaurata entro il 2015. La soprintendente: area ancora seq

Sono passati tre anni, ma la ferita apertasi nel cuore di Pompei è ancora lì. Il crollo della Schola armaturarum fece il giro del mondo. I resti dell’edificio, coperti da teli di cellophane, si intravedono oltre la recinzione, impossibile avvicinarsi. Teresa Elena Cinquantaquattro assunse la guida della soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei un mese dopo il disastro.
Soprintendente Cinquantaquattro, a tre anni dal crollo, l’area è ancora inaccessibile. Perché?
«L’area è ancora sottoposta a sequestro da parte della magistratura ma contiamo di inoltrare a breve la richiesta di riconsegna per procedere alle attività di rilievo necessarie per approntare il progetto di restauro».
La soprintendenza ha condotto indagini scientifiche. Cosa accadde veramente?
«Le osservazioni che posso fare sono di carattere tecnico, in attesa di conoscere l’esito delle indagini. La Schola armaturarum fu scavata agli inizi del secolo scorso, le parti originali furono ampiamente integrate nel corso dei restauri successivi, il solaio crollato era stato realizzato all’indomani della II guerra mondiale, quando l’edificio fu gravemente danneggiato dai bombardamenti. Sul cedimento del 2010 possono aver agito diversi fattori, come il dilavamento causato dalle acque meteoriche e di superficie nella fascia a nord di via dell’Abbondanza, dove esiste un salto di quota tra l’area scavata e i terrapieni ancora non esplorati».
C’è il progetto di restauro e quando sarà di nuovo visitabile l’edificio?
«Il restauro della Schola rientra tra gli interventi previsti nel Grande Progetto Pompei. Entro il 2015 contiamo quindi di restituirlo alla fruizione».
A fine anno deve essere pronto il Piano di gestione Unesco per Pompei, Ercolano e Oplontis, quali sono le novità più significative?
«La redazione del Piano di gestione, del quale si sta occupando il segretariato generale del ministero, procede secondo i tempi stabiliti. Tra le novità c’è da segnalare la definizione, intorno ai siti archeologici, di una nuova buffer-zone, sul cui ampliamento l’Unesco ha dato indicazioni precise, al fine di creare un adeguato raccordo con il territorio circostante. A tale proposito ci sono stati numerosi e proficui incontri con le amministrazioni locali coinvolte».
La legge Bray prevede la divisione delle soprintendenze di Napoli e di Pompei. Come vi state preparando?
«Siamo in attesa dei decreti attuativi; non appena ne saranno noti i contenuti, si potrà dare avvio alla nuova organizzazione».
Il progetto tedesco per Pompei dell’università di Monaco del Fraunhofer è un’opportunità o nasceranno incomprensioni con le istituzioni italiane?
«Sul tema si sono alimentati molti equivoci. Il progetto tedesco è stato ovviamente condiviso con la soprintendenza fin dall’inizio, abbiamo valutato positivamente l’opportunità di una collaborazione che, accanto alle risorse, porterà un contributo importante in termini di competenze tecniche e scientifiche».
I problemi di Pompei non si fermano all’interno del sito, ma riguardano tutto il sistema di accoglienza esterno all’area. Pensa di utilizzare le disposizioni della legge Bray sul decoro esterno dei monumenti?
«Nei prossimi mesi si lavorerà molto al miglioramento generale dei servizi di accoglienza al pubblico. Ma Pompei che rappresenta, dopo il Colosseo, il sito archeologico più visitato d’Italia e uno dei più noti al mondo, è purtroppo un gioiello incastonato in un’area della Campania fortemente compromessa dal punto di vista dell’ambiente, del paesaggio, del tessuto urbanistico. La soprintendenza ha sempre fatto e farà la sua parte, ma perché si volti finalmente pagina occorre un’assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti preposti alla gestione del territorio».

Fonte: La Repubblica, 3 nov 2013

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