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ORVIETO (Tr). Scoperte al Pozzo della Cava le formule del “verde ramina” e della “cristallina” del Medioevo.

orvieto

In seguito alla scoperta di calce del periodo medievale (conservata ancora in ottimo stato da oltre settecento anni!), tocca ora alle ceramiche della Cava svelare alcune sorprendenti novità provenienti dalle analisi dei laboratori Weber Saint-Gobain sui reperti del nuovo scavo del Pozzo della Cava.
Scoperti due ingredienti impensabili nel “verde ramina” e nella cristallina, oltre ad alcune informazioni sulla provenienza e la diffusione dell’argilla usata nel Medioevo e nel Rinascimento.
“La formula del tipico verde orvietano – spiega il proprietario del sito Marco Sciarra – sarà rivelata a breve assieme a tutti i risultati dello studio su una prestigiosa rivista scientifica, ma, naturalmente, abbiamo già provato la ricetta nel nostro laboratorio di ceramica con risultati sorprendenti. Impossibile, invece, replicare il famoso colore ambrato della cristallina medievale, ottenuto, come appena scoperto, con l’aggiunta di antimonio all’ossido di piombo, in un mix così tossico da poter diventare addirittura letale”.
Di seguito, qualche anticipazione da parte dell’archeologo Francesco Pacelli, che ha sovrinteso lo scavo e coordinato le indagini e le analisi.
«Nel 2020 il quartiere medievale di Orvieto si è arricchito di un nuovo complesso archeologico portato alla luce dalla famiglia Sciarra, in seguito a scavi eseguiti sotto il controllo della Soprintendenza dell’Umbria dell’Archeologo incaricato Francesco Pacelli, con il supporto tecnico del Geom. Massimo Danti e della ditta incaricata P. Marchetti.
Tale collaborazione ha permesso anche la straordinaria partecipazione del “colosso” dell’edilizia mondiale Weber Saint-Gobain, quale fornitrice di nuove straordinarie tecnologie per le ristrutturazioni di ambienti secolari, consentendone il recupero ai fini della sicurezza, senza alterare la fascinosa “patina secolare” che tali ambienti potrebbero suggerire a un futuro visitatore.
Su richiesta della Sovrintendenza, sono state effettuate da Weber Saint-Gobain anche analisi di caratterizzazione mineralogica su frammenti di ceramica medievale e rinascimentale, provenienti dal nuovo complesso archeologico antistante al Pozzo della Cava. Le analisi sono state curate da Christian Lugari, chimico di Weber Saint-Gobain, ottenendo straordinari risultati per la conoscenza dei processi tecnologici che tali ambienti hanno visto sorgere in tre secoli di perfezionamento nella materia ceramica.
L’obiettivo delle analisi è stato quello di riconoscere nei frammenti la caratterizzazione composizionale dello smalto, delle decorazioni e dell’interno dei campioni forniti e ove possibile stimare la temperatura di cottura, la composizione dei pigmenti utilizzati, la composizione mineralogica dell’impasto ceramico e le materie prime impiegate nella loro foggiatura.
Nei materiali di XIII e XIV secolo le tecniche costruttive delle fornaci permettevano il raggiungimento di una temperatura elevata, tra i 600 e i 1000 gradi, rendendo quelle di via della Cava uno strumento altamente “tecnologico” per gli standard di allora. Alcuni campioni osservati presentano tuttavia microfratturazioni subite dalla ceramica durante la fase di raffreddamento fuori dalla fornace, in un ambiente umido e chiuso, certamente una delle tante grotte-cavità presenti nel quartiere medievale o un butto dove per secoli le ceramiche hanno soggiornato fino al loro reperimento. Nei materiali di XV e XVI secolo invece, nonostante la loro permanenza in ambienti degradati, la migliore tecnologia con cui sono stati realizzati non consente di percepire né microfratture né imperfezioni nella cottura del corpo argilloso, simbolo questo di una metodologia oramai acquisita nei processi di ossigenazione dei prodotti.
La presenza di microfossili marini rinvenuti nei corpi ceramici, può indurre poi a considerare che la primaria fonte di approvvigionamento della materia prima fosse situata alla base del masso tufaceo su cui sorge la città, ovvero in quell’enorme bacino argilloso che 1.800.000 anni fa caratterizzava il fondo dell’antico mar Tirreno, in età Plio-pleistocenica, prima delle emissioni vulcaniche laziali. Resta tuttavia ancora da individuare il “cretaio”, ovvero il punto esatto in cui avvenivano le attività estrattive.
Alcune delle novità rinvenute nei campioni del nuovo complesso archeologico, riguardano i composti chimici utilizzati per ottenere le colorazioni degli smalti vetrina. È generalmente acquisito che le nuove tecnologie portate in Sicilia dalla componente berbera nord Africana durante il XIII sec. (e favorite dall’intercessione di Federico II di Svevia) permetteranno ai contenitori di dotarsi di un rivestimento (o “vetrina”) in grado di isolare i liquidi dal corpo argilloso, evitando contaminazioni dell’uno e dell’altro. Tali “vetrine” cristalline e piombifere sono state addizionate nelle “fabbriche” orvietane di un pigmento giallo-ocra derivante dallo scioglimento della stibnite, detta anche solfuro di antimonio; tale minerale (come anche gli altri che consentivano di ottenere diverse colorazioni per l’arricchimento dell’apparato decorativo) si pensava provenisse dai mercati orientali, mediante tragitti carovanieri di lungo corso, quando in realtà la sua formazione in ambienti tipicamente idrotermali, riconduce la presenza del minerale ad ambiti più prettamente locali di origine vulcanica. I giacimenti italiani più vicini ad Orvieto si trovano difatti a Manciano (GR), presso le località: del Tafone, Poggio Fuoco, Montauto, Macchia Casella, le quali sono state sfruttate fino alla metà degli anni novanta del secolo scorso.
Nell’ansa di un boccale è stata riscontrata la presenza di leucite, un feldspatoide di potassio, originatasi in ambiente tipicamente vulcanico, contenuta nel tipico basalto-leucitico con cui gli Etruschi realizzavano i componenti delle macine, le quali sono invenzione attribuita a Volsini (Orvieto), come riferisce Plinio il Vecchio (molas versatiles Volsiniis inventas). Tale basalto è ancora visibile presso l’antica contrada di “petramata” (come riferiscono i regesti medievali nel Codice Diplomatico di L. Fumi), ovvero in quello spalto collinare che fa da anfiteatro alle rupi di Orvieto, sul lato sud, luogo quindi di probabile estrazione di quelle argille contaminate dalla leucite contenuta nelle vulcaniti che sono poste di fronte.
Nei minerali che compongono invece le argille di XIV sec. è prevalente l’uso di ossido di Stagno, la cui colorazione bianco-perlacea opalescente permetteva di ottenere un “fondo” chiaro che esaltava i colori dell’apparato decorativo, realizzato solitamente con tipici colori come il marrone/bruno-scuro, derivato dall’ossido di manganese, e il verde, derivato dall’ossido di rame. Tale novità del “fondo bianco”, contraddistingue il secolo XIV nell’invenzione della cosiddetta Maiolica, o “stile maiolicato” (o “faïence”), il cui nome deriva da quello dell’isola di Maiorca, uno dei centri più attivi in tale smercio nel Medioevo. Nelle argille dei laboratori di via della Cava, è stato ritrovato un particolare ossido di stagno, la cassiterite, la cui estrazione è stata riconosciuta presso l’Isola d’Elba o più probabilmente, poiché più abbondante, nella miniera di Monte Valerio (presso Campiglia Marittima) in Toscana, da cui certamente originano anche quegli ossidi stanniferi utilizzati in epoca etrusca per ottenere la tipica “ceramica argentata” di produzione orvietana. Un confronto tra i minerali stanniferi presenti nelle ceramiche etrusche e medievali potrebbe confermare l’origine comune dalla cava toscana che risulterebbe avere una straordinaria durata secolare.
Lo studio delle argille è tuttavia ancora in corso e certamente foriero di altre straordinarie novità, come ugualmente l’allestimento dei nuovi ambienti che accoglieranno presto le nuove collezioni ceramiche rinvenute.
Nuovi tasselli vanno dunque ad aggiungersi all’immenso quadro culturale che caratterizza la città sul tufo, la cui preziosità si spera possa essere oggetto di un turismo sempre più slow time and easy».

Fonte: https://orvietosi.it, 22 ott 2021

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