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NAPOLI. La flotta di Neapolis scavata nell’abete.

Perché potessero tenere meglio il mare, anche se il lavoro che dovevano fare era solo quello di trasbordare fino al porto dell’antica Neapolis i carichi dalle navi di grosso pescaggio ancorate al largo, i maestri carpentieri quei barconi li avevano costruiti quasi interamente con legno d’abete.
Conoscenza delle proprietà del materiale, impermeabile e resistente all’aggressione dell’acqua salmastra, oltre a facilità di reperire la materia prima, furono gli elementi che indirizzarono la scelta verso quella materia prima.
La scoperta è stata fatta dagli scienziati della facoltà di Agraria della Federico II, a Portici, che hanno avuto dalla Soprintendenza archeologica di Napoli il compito di analizzare i materiali di cui erano fatti i natanti, trovati durante gli scavi del cantiere del Metrò di Piazza Municipio, nel 2003.
«In pratica – racconta Gaetano di Pasquale, docente di Tecnologia del legno – attraverso lo studio abbiamo avuto la possibilità di osservare uno spaccato di quelle che dovettero essere le risorse territoriali e le tecnologie possedute in epoca romana».
Uno dei tre natanti, difatti, è unico nel suo genere – altri due simili si trovano a Tolone, in Francia, e comunque non si sono conservati come quello di Napoli – e per quest’area del Mediterraneo: presenta una chiglia molto larga, con bordi poco alti e la prua piatta in modo da favorire l’attracco al molo e il carico e scarico merci, come sottolineò all’epoca del rinvenimento Daniela Giampaola, l’archeologa responsabile di scavi e recupero. Va considerato, ancora, che la costruzione della barca, con lo scheletro di base al quale si sovrapponeva il fasciame, è del tutto differente dalle architetture successive. Dato, questo, che contribuisce a confermare ipotesi su particolari tecniche di costruzione in uso nella carpenteria marittima del I secolo dopo Cristo. Così come dagli scavi si è avuta la possibilità di ricostruire l’antica linea di costa con l’impianto portuale di Neapolis, poggiante in una insenatura posta all’interno di un cratere vulcanico che arrivava fino all’attuale piazza Municipio. Le analisi eseguite alla facoltà di Agraria, però, essenzialmente hanno permesso di accertare quale fosse la diffusione in Campania e in prossimità dell’area vesuviana, in particolare, delle diverse specie vegetali.
«L’abete, ad esempio – sottolinea il professore – quello che volgarmente chiamiamo albero di Natale e che oggi non solo è scomparso in Campania ma è molto raro in tutto l’appennino meridionale, costituiva per più del 70 per cento il fasciame interno di due delle tre barche».
Il dato è sicuramente interessante anche perché quella fu la specie usata dai falegnami ercolanesi per approntare tutti gli infissi di porte e finestre della loro città.
Oltre all’abete per le barche venne usato anche il cipresso, legno che ha origine nel Mediterraneo orientale e in genere è utilizzato per riti sacri, il noce e il larice, proveniente, quest’ultimo, dal riutilizzo di fasciame appartenuto ad altri natanti, visto che il larice è specie alpina.
Per i «cavicchi», poi, usati al posto dei chiodi, si sceglievano legni del tipo: ulivo e corbezzolo, durissimi e resistenti all’acqua.
Particolare interessante è il rinvenimento, unico per ora, di un frutto della «palma dum» di origine africana, nota anche come «avorio vegetale» per l’uso che se ne fa in falegnameria. I dati raccolti, poi, saranno confrontati con gli altri ricavati da genetisti napoletani della Federico II e specialisti in Scienze forestali di Firenze in maniera da verificare l’esattezza delle conclusioni anche attraverso il Dna delle specie vegetali.


Fonte: Il Mattino 06/08/2007
Autore: Carlo Avvisati
Cronologia: Arch. Romana

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