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METAPONTO (Mt). Sommersa dalle acque e dal fango. Appello per salvare l’ultimo approdo di Pitagora.

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metapontoNon è un parco archeologico di grandi dimensioni quello di Metaponto, ma ha (o forse ormai rischiamo di dire…aveva) quanto basta per restituirci il senso di quel passato che, anche quando misconosciuto, rimane nelle fibre del nostro dna di gente del Sud.
Mi riferisco a quella storia greca che fu madre di civiltà per tutto l’Occidente e che le nostre terre hanno respirato, vissuto, metabolizzato e che non di rado ci restituiscono materialmente attraverso scoperte archeologiche rivelatrici.
Era una mattina di primavera la prima volta che feci tappa a Metaponto in compagnia di amici. Conoscevo già il celebre Tempio di Hera noto come Tavole Palatine, instancabilmente visto e rivisto più volte nella sua spoglia bellezza tutte le volte che mi era capitato di percorrere la vicina statale in direzione sud, ma qui, in quello che era stato il cuore dell’antica colonia greca, a pochi passi da un interessante museo archeologico, non avevo mai messo piede prima di allora. Sarà forse stata la suggestione derivante dalla recente lettura del romanzo breve “Le lettere di Pitagora” (ed Firenze Libri), scritto dallo studioso e poeta pugliese Giovanni Bruno, un caro amico che aveva la grecità nel sangue e che era riuscito a compiere con Pitagora quello stesso miracolo di “identificazione” compiuto dalla Yourcenar con l’imperatore Adriano; certo è che quella mattina vissi il contatto con l’ultimo lido terrestre del grande filosofo di Samo in un’aura di nostalgica poesia al cospetto di quei pochi resti di colonne, trabeazioni, gradinate.
Passeggiare sul terreno calpestato dai coloni greci dell’Acaia nella seconda metà del VII secolo a.C. – qui invocati dalla raffinata Sibari per contrastare lo strapotere e le mire espansionistiche di Taranto – osservare i resti di avanzati sistemi di canalizzazione delle acque urbane, immaginare le gradinate del teatro ricolme di gente acclamante lo spettacolo di turno,  fantasticare sull’esatta ubicazione della mai ritrovata tomba di Pitagora memore delle riflessioni del mio amico scrittore (“non può che essere nell’area del tempio di Apollo!”), mentre intorno a noi coppie di rondini volteggiavano lanciandosi in picchiata a bere sulla calma superficie di un canale costeggiante l’area archeologica, mi aveva come trasportato in una dimensione di felice sospensione spazio-temporale. Un ricordo che oggi stride terribilmente con le immagini che la stampa locale e nazionale hanno diffuso a partire dalla giornata dell’altro ieri.
Immagini di una Metaponto sommersa da acqua e fango dopo l’alluvione che ha colpito la Basilicata Jonica e parte del Salento, i cui effetti rischiano di vanificare anni di scavi strappati con le unghie e con i denti ad istituzioni sempre più parche di investimenti in quella che dovrebbe essere l’unica vera voce vincente della nostra economia, cioè la cultura.
Oggi assistiamo mesti allo spettacolo osceno di un sito importantissimo per gli studi sulla Magna Grecia coperto totalmente dall’acqua, in alcuni punti alta circa un metro e mezzo che, a dire della Soprintendenza, sta provocando danni “notevoli”  destinati ad aggravarsi se non si provvede a rimuovere con urgenza il fango. Insomma si sta ripetendo l’incubo vissuto da Sibari lo scorso inverno.
Antonio De Siena, soprintendente per i beni archeologici della Basilicata, ha parlato di una “situazione gravissima” causata da “una pesante miscela di acqua e fango” ed ha evidenziato come non sia la prima volta che si verifica un fenomeno del genere. Quello di pochi giorni fa è praticamente il terzo episodio nell’arco di cinque anni. Questo però sembrerebbe essere il più grave dal momento che la pioggia caduta a dirotto nei giorni scorsi ha trasportato una maggiore quantità detriti di varia natura che premono sulle strutture antiche, sugli allestimenti del percorso di visita e sugli impianti tecnologici.
De Siena ritiene “assolutamente urgente” svuotare il bacino artificiale  formatosi a causa della pioggia, prima che si dissolvano i leganti delle murature. Qualsiasi ritardo accrescerebbe i danni fino a “compromettere irrimediabilmente  una così importante documentazione archeologica”.
A noi non rimane che unirci al suo accorato appello augurandoci una pronta risposta da parte delle autorità competenti affinché attivino un piano di intervento celere ed efficace, che eviti di confermarci ancora una volta quali indegni eredi di un tale prezioso patrimonio.

Autore: Enzo Garofalo.

Fonte: http://www.famedisud.it , 10 ott 2013

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