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Marta PATERLINI: Misteri.

Un entusiasmo enorme: è ciò che ha scatenato la notizia del primo sequenziamento del genoma di un Neanderthal.

Svante Pääbo – paleogenetista del Max Planck Institute di Lipsia – ha condiviso in anteprima alcuni dettagli della ricerca su questo antichissimo DNA a un congresso a Cold Spring Harbour, nello Stato di New York: il suo resoconto è il primo e sostanziale risultato dall’inizio del «Neanderthal Genome Project», avviato un paio di anni fa. Il suo team, infatti, ha messo le mani su almeno 60 individui di Neanderthal, depositati nei vari musei europei, per accertarsi innanzitutto che il DNA avesse retto ai millenni di degradazione.

Si tratta di materiale appartenente a uomini che vissero in Europa tra 300 mila e 30 mila anni fa. In particolare, il lungo frammento genomico, selezionato per questo primo round di sequenziamento, risale a 40 mila anni fa e il fossile, da cui il DNA è stato prelevato, fu ritrovato nei dintorni di Zagabria, in Croazia.

Già nel 1997, il gruppo tedesco, per primo, aveva estratto un campione di DNA dall’uomo di Neanderthal. Ma si trattava soltanto del cosiddetto DNA mitocondriale, che si trova all’interno della cellula in organelli chiamati mitocondri e adibiti alla respirazione cellulare. Quello mitocondriale è un DNA particolare, perché è trasmesso unicamente per via materna. Per avere una reale visione del patrimonio genetico di un individuo è invece necessario il DNA nucleare, cioè la forma che si combina e si trasmette attraverso entrambi i genitori.

Ecco perché, in vista del «Neanderthal Genome Project», si sono rivelate utilissime le tecniche messe a punto da Pääbo per lo studio delle sequenze di DNA ancestrale nei mammiferi del Pleistocene, come gli orsi delle caverne. Proprio a causa della condizione insolita del DNA dei Neanderthal, ridotto in piccoli frammenti, il team di Lipsia è stato costretto a ricorrere a una nuova logica: invece di basarsi sulla solita amplificazione del DNA utilizzando batteri, si è sequenziata l’emulsione dei piccoli frammenti in minuscoli pozzetti da laboratorio.

«Credo che i dubbi iniziali sollevati dal mondo scientifico sull’attendibilità del materiale siano superati. Ormai la metodologia di recupero di materiale genico da resti archeologici e paleontologici ha fatto passi da gigante», commenta Giacomo Giacobini, paleoantropologo dell’Università di Torino.

Per il momento è stato sequenziato un milione di basi del DNA di Neanderthal, cioè circa lo 0.03% dell’intero Genoma. Dall’analisi preliminare comunicata da Pääbo emerge che la componente di DNA che determina il sesso maschile – il cromosoma Y – è molto diverso da quella dell’uomo moderno e dello scimpanzé, corroborando l’ipotesi che ci sia stato un minimo, se non inesistente, contatto genetico tra la nostra specie e quella di Neanderthal. Inoltre, un altro campione di 75 mila basi – queste sequenziate con il metodo tradizionale – mostra che i Neanderthal hanno cominciato a divergere dalla linea che ha portato all’uomo moderno già 315 mila anni fa, confermando così le teorie prevalenti. Ora gli studiosi sono ottimisti sul fatto che, procedendo con il sequenziamento, si dovrebbero ottenere nuovi indizi anche sul momento in cui comparvero alcune malattie e alcuni tratti peculiari, come i capelli e il colore della pelle. Il «Neanderthal Genome Project» prevede il sequenziamento di 10 Genomi di Neanderthal nell’arco dei prossimi 10 anni e l’idea è quella di continuare il lavoro, confrontando i risultati con il Genoma dell’uomo moderno. «Sono convinto che per avere un’idea più chiara di che cosa accadde in quei 10 mila anni di convivenza sarebbe estremamente interessante confrontare i dati del Genoma dell’uomo moderno di quell’epoca con quelli del Genoma del Neanderthal, piuttosto che con il nostro attuale – conclude Giacobini -. Purtroppo, però, i resti sparsi per tutta l’Europa sono ancora molto rari».


Fonte: La Stampa web 14/06/2006
Autore: Marta Paterlini
Cronologia: Preistoria

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