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Le navi di Pisa. Diario di bordo.

Nel 1998 il mondo dell’archeologia fu messo a rumore dalle straordinarie scoperte nell’area di San Rossore, a Pisa. Grazie agli scavi riemersero decine di relitti che hanno stimolato la creazione di un centro di restauro all’avanguardia in Europa
Sono passati tanti anni da quando, in seguito a lavori edilizi, alla periferia di Pisa vennero scoperte le prime imbarcazioni; come è prevedibile, la cosa ebbe una considerevole risonanza, e i primi risultati dello scavo – annunciati sulle pagine di «Archeo» (vedi n. 170, aprile 1999) – vennero divulgati in una serie di mostre, convegni, documentari.
La successiva diminuzione dell’attenzione mediatica non ha rallentato le attività, che anzi, nel tempo, hanno portato alla completa trasformazione del sito e dello scavo, che si appresta a diventare un centro di ricerca e formazione sia nell’ambito strettamente archeologico che del restauro. A ciò si aggiunge il fatto che, grazie alla prosecuzione delle indagini, l’interpretazione del contesto è radicalmente cambiata; le indagini paleoambientali hanno chiarito i modi di formazione del deposito, escludendo definitivamente la presenza di un porto strutturato, e hanno portato a una maggiore comprensione dell’ambiente antico nel corso dell’età classica. I tempi sono quindi maturi per una rilettura complessiva del contesto.
L’area di scavo si è rivelata come il frutto di una serie di alluvioni che, tra il II secolo a.C. e il VII secolo d.C., hanno travolto e affondato, all’interno di un letto fluviale, una trentina di imbarcazioni con i loro carichi, insieme a tutto ciò che incontravano spazzando la terraferma.
L’intervento di scavo, non certo dei piú agevoli, ha favorito lo sviluppo di tecniche di indagine e di documentazione, che permettono di comprendere sia le modalità di deposito dei reperti sui fondali, sia l’intera serie di movimenti postdeposizionali generati dalla corrente che, spesso, negli scavi subacquei, siamo impossibilitati a registrare.
Negli anni passati, grazie a illuminati finanziamenti, è stato possibile fare grandi passi avanti nella stabilizzazione del contesto archeologico e nella creazione di un centro di studi e ricerche che permettesse di sfruttare appieno le potenzialità del sito.
Conservazione, restauro e ricerca
Da questo punto di vista è stato vitale il rapporto con il Provveditorato alle Opere Pubbliche della Toscana, che ha unito un know how tecnico considerevole allo sforzo progettuale della Soprintendenza. Il Centro di Restauro del Legno Bagnato, realizzato con i macchinari piú aggiornati per provvedere al restauro dei reperti pisani, provvede e fornisce consulenza al restauro di reperti organici provenienti ormai da tutta la Penisola e dall’estero; il cantiere è stato inoltre dotato di laboratori di cartografia, analisi chimico-fisiche, ceramologia, coordinati da personale della Soprintendenza, e nei quali operano numerosi giovani professionisti, che associano a un impegno lavorativo gravoso e di grande responsabilità un costante e vitale apporto di idee sulla ricerca e sulla conservazione.
E proprio il tema della occupazione e della formazione è stato il punto focale dello sviluppo del Centro, che è stato dotato di strutture per la didattica e di una foresteria per ospitare studiosi e studenti che intendano collaborare con cantiere e laboratori; il Cantiere e il Centro diventeranno poli specialistici per la formazione di alte professionalità nel campo della conservazione, del restauro e dell’archeologia.
L’interesse per il cantiere e per il progetto è stato generale, tanto da sedare le iniziali polemiche sollevate dallo scavo di un sito di tale complessità, l’avvio della cui esplorazione si era configurato come un intervento archeologico d’emergenza, e privo di una metodologia di intervento consolidata alle spalle; attualmente al progetto collaborano ventidue strutture di ricerca italiane e straniere, tra cui istituti e dipartimenti universitari, laboratori, enti periferici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, musei specializzati e fondazioni. (A. C.)
Un osservatorio privilegiato
Il cantiere delle navi antiche di Pisa è senza dubbio un unicum archeologico sotto numerosi punti di vista. La particolarità del banco fluviale sabbioso nonché la presenza di falde acquifere sotterranee, hanno permesso uno straordinario grado di conservazione dei reperti mobili, sia a livello di imbarcazioni che di materiale fittile.
Pertanto, a chi per la prima volta si accinge alla visita del sito potrà senza dubbio sfuggire l’estrema complessità delle dinamiche stratigrafiche, ma non la grandezza e l’importanza del rinvenimento, evidenziato non solo dalle navi riportate alla luce e attualmente esposte nel loro guscio di vetroresina, ma anche e soprattutto dall’enorme quantità di reperti che sono conservati presso il magazzino presente all’interno del cantiere.
Il contesto, pertanto, offre un eccezionale quadro dell’architettura navale, della vita di bordo, dell’economia e dei commerci di un centro minore dell’Occidente mediterraneo, le cui fasi di vita e sviluppo possono essere ricostruite tramite il materiale eterogeneo recuperato. Pentole, tegami nonché strumenti usuali di cucina si accompagnano a oggetti da tavola di uso comune come piatti, bicchieri, coppe soprattutto in ceramica, acroma e sigillata, e in vetro.
Dalla Toscana alle coste dell’Atlantico
Ampiamente attestata è la ceramica fine da mensa in terra sigillata italica, prodotta inizialmente ad Arezzo e, successivamente, in altre località, tra cui Pisa. La produzione pisana, di cui si conservano numerosi esemplari, è da mettere in relazione con la famiglia degli Ateii, che ne ebbero il controllo dal 20 a.C. fino alla metà del I secolo d.C.; essa si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, raggiungendo persino le coste atlantiche. Tra i tanti reperti fittili rinvenuti vi sono anche oggetti particolari come bruciaprofumi (thymiateria) collegati ai culti di bordo, e numerosi recipienti per conserve a forma di cilindro rovesciato con decorazione (kalathoi), comunemente noti come sombreros de copa.
Tra tutto il materiale conservato, lo scavo delle navi antiche ha restituito soprattutto anfore da trasporto che sono, quantitativamente, la classe  piú attestata.
Ciascuna tipologia testimonia il trasporto di uno specifico prodotto: le Dressel 7-11dalla Spagna trasportavano il garum Sociorum; le Dressel 20 l’olio della Betica; le Pelichet 47 il vino francese; le Haltern 70 il mosto cotto spagnolo (defrutum); le Dressel 1 e le Dressel 2/4 il vino italico; e, infine, le anfore africane l’olio, il vino e il garum nord-africano. Non sono rari i casi in cui, al posto del prodotto canonico, venivano trasportate nelle anfore merci differenti: alcuni contenitori del tipo Lamboglia 2, comunemente utilizzati per il vino, contenevano sabbia di origine vulcanica della costa campano-laziale, probabilmente destinata alle palestre dove gli atleti la usavano per pulire la pelle o alle botteghe artigiane, per essere impiegata come digrassante nella realizzazione della ceramica.
Tra le tante anfore menzionate non si può non citare l’anfora «da spumante», un’anfora rodia (Kapitan 1) la cui particolarità è data dalla presenza di un’infiaschettatura in corda sul collo, al di sotto del tappo in sughero, coperto probabilmente dalla tela di cui si sono rinvenute le tracce. La modalità di chiusura del recipiente ricorda molto le odierne bottiglie di spumante, anche se la funzione dell’infiaschettatura era quella di proteggere la parte piú delicata dell’anfora dagli urti a cui era soggetta durante il trasporto, e proprio per questo motivo non si può escludere che trasportasse vino in fermentazione. (M. C. M.)
Presente e futuro della «flotta» di Pisa
Il progetto generale di valorizzazione delle scoperte pisane è stato tracciato secondo un percorso che preveda la visibilità non solo dei materiali, ma anche delle attività scientifiche che producono archeologia: la prima fase infatti ha portato, nel settembre 2005, all’apertura al pubblico del cantiere; il percorso provvisorio si snoda nella visita guidata all’area esterna dello scavo, quindi ai laboratori di Restauro del Legno Bagnato e ai depositi dei materiali; il completamento delle opere nel progetto complessivo comprenderà la realizzazione di una sala per audiovisivi, che fungerà anche da spazio convegnistico e didattico.
Nella primavera 2006, a Roma, presso la sede del MiBAC, è stata inaugurata la mostra itinerante «Pisa. Un viaggio nel mare dell’Antichità»: la ricostruzione  a grandezza naturale della nave Alkedo, alla quale si accedeva da un pontile, e di un capanno da pesca, hanno permesso al visitatore di immergersi nella vita dei pescatori del I secolo d.C., con i piccoli oggetti del quotidiano di passeggeri e marinai, ripercorrendo anche i commerci e i traffici nel Mediterraneo attraverso una suggestiva sequenza di anfore da trasporto e di ceramica aretina di produzione pisana. Con il successivo trasferimento a Pisa, negli ampi spazi del cantiere, il riallestimento della mostra si è arricchito di una esposizione tematica delle monete dal Monetiere del Museo Archeologico di Firenze, con soggetti marinari.
In attesa di definire le prossime tappe della mostra itinerante, sta prendendo forma il progetto Museale complessivo, con la definizione di massima dell’allestimento del Museo delle Navi presso gli Arsenali Medicei. Nella suggestiva cornice delle tre grandi campate si snoderà un lungo e articolato percorso cronologico e tematico, che parte dalla fase etrusca di Pisa, attraversa il periodo della colonizzazione romana, fino alla descrizione della vita di fiume e di palude e al dissesto idrogeologico delle alluvioni.
Partirà da qui l’esposizione delle navi, che prevede, fra l’altro, la sezione ricostruttiva della imbarcazione da carico ellenistica corredata dalla ricomposizione dello stivaggio delle anfore; la sistemazione della copia della nave Alkedo su un’ampia pedana presso la riproposizione di una pompa di sentina funzionante; la collocazione del ponte ligneo originale della nave D montato sul pavimento, che permetterà di vedere l’interno della stiva, ricostruita con anfore.
Audiovisivi, postazioni multimediali e modelli faranno rivivere il complesso rinvenimento di Pisa, attraverso un percorso articolato e approfondito, permettendo aggiornamenti e inserimenti di nuove scoperte e nuove porzioni di navi, che il lavoro del restauro e la ricerca scientifica produrranno nel prossimo futuro. (E. S.)

Autori: Andrea Camilli, Angelina De Laurenzi, Maria Cristina Mileti, Esmeralda Remotti, Elisabetta Setari

Fonte: http://www.archeo.it, ottobre 2007

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