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Il papiro di Artemidoro, due prove sulla falsità.

Sono apparsi in questo mese di aprile due scritti molto interes­santi riguardanti l’ormai ammaccato «papiro di Artemidoro». Rispettivamente sul mensile L’Indice e sul settimanale Alias, Giam­battista D’Alessio (King’s College London) e Federico Condello (Bologna, Filologia Classica) hanno mostrato come sia definitivamente tramontata la possibilità di attribuire al grande geografo di Efeso (circa 100 a. C.) lo stralunato prodotto che fu pomposa­mente presentato con l’epiteto di «papiro di Artemidoro».

D’Alessio sintetizza così il risultato della sua indagine: «Si trattava di sezioni autonome. La prima rielaborava un estratto di Artemidoro. La seconda era una ‘lode della geografia’ e non c’è nessun motivo di pensare che debba trattarsi di Artemidoro: si tratterà di un autore più tardo, più goffo e involuto. Quale fosse stata l’iniziale funzione del rotolo resta largamente da spiegare». E poco prima prospetta l’ipotesi di «un falsario più recente». Condello, per parte sua, spiega che di falso è lecito parlare di fronte a questo stralunato prodotto, anche perché vulnerabile, come Condello dimostra, per i molti anacronismi (non ultimo il fatto che il vero Artemidoro aveva visto della Spagna atlantica molto meno di quel che presenta l’autore del falso papiro).

Ci son voluti circa tre anni perché la verità e il buon senso si facessero strada. Ora che dal mondo anglosassone, di norma così prudente, viene un chiaro segnale intorno all’impossibilità di attribuire ad Artemidoro lo strano oggetto, è giovevole, sul piano del metodo, ripercorrere molto sommariamente questa istruttiva vicenda.

Al principio ci furono veri e propri errori di fatto, che si spiegano solo in parte con la fretta. Ma non mancarono nemmeno momenti divertenti, come quando all’ostinato rifiuto di prendere atto che porzioni del testo presente sul papiro altro non sono che brani di un autore molto tardo, quale Marciano di Eraclea (che, vissuto vari secoli dopo Artemidoro, ne aveva fatto un riassunto), tenne dietro una disinvolta piroetta, consistente nel dire «ma è ovvio, quello è Marciano!».

Fu battuta anche la strada chimica per dimostrare l’ovvio: che cioè il supporto (il papiro) su cui è scritto il testo è antico, anzi del I secolo a. C. o al più del I d. C. Strada suicida: come avrebbe potuto un testo del tempo, mettiamo, di Costantino (o addirittura di Giustiniano) trovarsi su di un supporto di quattro secoli prima? Come trovare una poesia del Manzoni su di un quaderno appartenuto al Petrarca. Fu anche prospettata, alla fine del 2007, una ipotesi che poteva aspirare ad essere salvifica: che cioè lo stralunato papiro contenga un coacervo di estratti. Lo prospettò Bärbel Kramer alla fine del 2007. Ma fu per così dire «azzittita» e indotta, come si diceva in un tempo ormai lontano, all’autocritica, nel quadro della triste festa berlinese dello scorso 13 marzo 2008.

Ora il D’Alessio in sostanza ripropone siffatta ipotesi: essa scardina la possibilità stessa di attribuire il tutto all’innocente Artemidoro. E magari, maturatisi i tempi, avrà un qualche seguito tra gli antichi «credenti», non più ancorati all’antico errore.

Nel frattempo Maurizio Calvesi segnalò una fonte certa di codesta «lode della geografia» che taluno, all’epoca, voleva far passare per «lingua asiana» (sic!): ed è una fonte del secolo XIX. Anche questo, del Calvesi, è un contributo che non potrà essere rimosso alla leggera. Tanto più ora che la fede degli antichi «credenti» è scossa irrimediabilmente. Così va il mondo. In certo senso per fortuna. Non diceva forse il grande Tucidide che «la ricerca della verità» è faticosa? In questa stessa pagina il lettore può trovare un notevolissimo contributo in tal senso.


Fonte: Corriere della Sera 29/04/2009
Autore: Luciano Canfora
Cronologia: Egittologia

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