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GUIDONIA MONTECELIO (Roma). Oratorio rupestre di Marco Simone Vecchio.

montecelio

Nel febbraio-marzo 2020 la Soprintendenza è intervenuta con lavori di somma urgenza per mettere in sicurezza l’Oratorio, o Chiesa, rupestre di Marco Simone Vecchio, a Guidonia Montecelio, sottoposto a vincolo monumentale (D.M. del 26.05.1978) e archeologico (D.M. del 05.10.1995), situato su una collina del “Parco naturale-archeologico dell’Inviolata” recentemente inserita nell’“Area delle Tenute storiche di Tor Mastorta, di Pilo Rotto, dell’Inviolata, di Tor dei Sordi, di Castell’Arcione e di alcune località limitrofe” (dichiarata di notevole interesse pubblico – Decreto del 16.09.2016, rep. n. 73).
La collina, raggiungibile da via Tacito, già proprietà del Gruppo Bonifaci, oggi inserita in una procedura fallimentare, si presenta come un’isola inedificata, sfruttata per semine e pascolo, riconoscibile anche a distanza, fra i nuovi quartieri di Marco Simone e S. Lucia, per la presenza di casali abbandonati e di profonde caverne scavate in epoca moderna nel banco di tufo.
L’Oratorio si apre sul lieve pendio meridionale, subito sotto la sommità dell’altura che è interessata, intorno ai casali, dai ruderi della cinta muraria del Castrum S. Honesti, attestato nel 1257. In precedenza l’area era appartenuta al monastero romano dei SS. Ciriaco e Nicola in Via Lata; un documento di conferma di beni (bolla papale del 1124) di questo monastero cita, fra altri possedimenti in zona, un’ecclesia Sancti Nicolai, che deve essere verosimilmente identificata proprio con il nostro ipogeo ove il Santo è rappresentato. Prima del castello, quindi, esistette un insediamento rurale, che si sovrappose a sua volta a un abitato protostorico-arcaico, nel quale si è voluto riconoscere il centro latino di Ficulea, e a un insediamento di età romana, che rimane difficilmente precisabile per mancanza di scavi. Il contesto territoriale, quasi sicuramente rientrante nell’ager della non lontana Nomentum, è comunque caratterizzato da una fitta rete di villae rusticae, collegate da viabilità minore che faceva capo a un’antica strada corrispondente all’odierna Palombarese.
montecelioDell’Oratorio fu data notizia solo nel 1972, ma esso era sicuramente noto almeno dagli anni Trenta del secolo scorso, quando dovette essere intercettato da una cava di tufo che evidenziò anche la fronte delle suddette caverne. In occasione della recente riscoperta fu messa in risalto soprattutto l’importanza della decorazione pittorica, allora meglio conservata (descritta in una relazione con corredo di foto, a firma di Carlo Bertelli, edita in Quilici, Quilici Gigli 1993) e destinata a subire nel 1978 gravi danneggiamenti.
Si entra nell’ipogeo da una porta con stipiti e architrave in mattoni e soglia di travertino (di reimpiego), realizzata molto probabilmente negli anni Trenta riadattando l’originario vestibolo a pianta rettangolare che dava accesso al sotterraneo, definito da muri intonacati in pietrame di tufo e materiale raccogliticcio. In tale riadattamento, che previde una copertura con travi lignee (rimangono gli incassi sopra la porta), il piano era alquanto rialzato rispetto all’interno, nel quale si scende tramite tre gradini ottenuti con grandi lastre lapidee, anche queste di spoglio. Il primo tratto di volta risulta crollato ed è stato sostituito, insieme al rifacimento della porta, con una copertura in muratura posta assai più in alto. Ai lati dell’accesso originario sono inserite due colonne marmoree antiche, che dovevano sorreggere un architrave. Davanti si sviluppa un vasto ambiente pseudo-rettangolare (m 10 x 6 ca., alt. 2,50 ca.) intonacato e dipinto, scavato irregolarmente nel punto di passaggio fra un superiore banco di tufo litoide e uno inferiore di materiale piroclastico incoerente. La volta, quasi piana, è oggi sorretta da due soli pilastri che individuano tre navate: uno, a destra, tagliato nella roccia, un altro, a sinistra, formato di elementi lapidei raccogliticci (una colonna liscia di tufo e un blocco rastremato in travertino) e da una fascia di laterizi al posto del capitello. Un terzo pilastro, che doveva essere una colonna lapidea a giudicare dall’incasso circolare presente sulla volta, era situato dopo quello a sinistra. È invece da escludere un quarto pilastro (ipotizzato nella pianta edita in Quilici, Quilici Gigli 1993) prima di quello a destra.
montecelioVerosimilmente negli stessi anni Trenta l’ipogeo subì pesanti trasformazioni finalizzate al riuso come cantina:
1. scavo di un locale rettangolare a destra dell’ingresso e di un prolungamento con pozzo-lucernario sul lato di fondo, 2. sgrottamento delle pareti laterali per ricavarvi alla base un gradino,
3. realizzazione nell’intero sotterraneo così ampliato di una pavimentazione in piccole pietre con vaschette per la raccolta di liquidi,
4. costruzione al centro del vano di due bassi muri paralleli. Fu allora rimosso, se già non mancava prima, il terzo pilastro.
Le suddette modifiche hanno purtroppo cancellato quasi completamente le nicchie curvilinee poco profonde che dovevano susseguirsi su ciascun lato (ne restano soltanto due a destra e una a sinistra) e asportato totalmente il lato di fondo. Questo è tuttavia ricostruibile in base all’impronta lasciata sulla volta, dalla quale si desume che terminava in corrispondenza delle navatelle laterali con pareti rettilinee dotate di nicchia e in corrispondenza di quella centrale con un piccolo vano quadrato, che doveva contenere l’altare. Sul soffitto, appena arcuato, del piccolo vano è tuttora dipinta una croce greca gemmata che era compresa fra due clipei ed elementi vegetali.
Nella parte alta delle pareti rettilinee sopravvivono unicamente lacerti di teste nimbate: il Bertelli ipotizza a sinistra un angelo, a destra, ove la nicchia è bordata da un motivo a nastri intrecciati, un Cristo con nimbo crociato insieme a una o due figure.
montecelioNella parete laterale destra la vecchia documentazione fotografica mostra dentro la penultima nicchia l’estremità superiore di una crocifissione, ora del tutto scomparsa; nell’ultima nicchia rimane solo il nimbo di una di due figure. Tracce di pittura si scorgono anche nella prima nicchia (coincidente con un preesistente cunicolo) accanto all’ingresso.
All’inizio della parete sinistra erano distinguibili negli anni Settanta, entro un riquadro rosso, una figura inginocchiata con l’aureola (oggi più evanescente) e una molto deteriorata, che il Bertelli riferisce a una scena di flagellazione. Lungo la parete si riconoscono agevolmente solo due nicchie: nella più conservata erano due figure affrontate con nimbo, nell’altra almeno una figura e tra le due nicchie un’altra figura.
Infine sulla parete in muratura a destra dell’ingresso si trovano tre immagini di santi in piedi, attualmente molto meno conservati rispetto agli anni Settanta, racchiusi entro un riquadro rosso ornato da un meandro bianco: sulla sinistra è S. Nicola con il pastorale e la mitra (già identificato dalla scritta S. Nicolaus, resa ormai illeggibile; al centro altro santo nimbato, a destra uno barbato. Sopra la cornice superiore il Bertelli lesse anche la scritta S. Sebastianus.
La volta, concepita come “volta celeste”, conserva ancora buona parte della stesura di intonaco con numerose stelle di colore rosso a otto punte e qualche stella più piccola di colore blu. Dei tre clipei bordati di fasce colorate che si susseguivano sul soffitto della navata centrale resta solo quello presso l’entrata, interrotto però dal crollo della volta, che forse racchiudeva un angelo (Bertelli). Gli altri due, vandalicamente strappati nel 1978, raffiguravano uno il busto di Cristo pantocratore benedicente, con nimbo crociato e libro nella mano sinistra, e l’altro l’Agnus Dei. I due tondi, recuperati alcuni anni or sono dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, già esposti alla mostra “L’Arma per l’Arte e la Legalità” (Roma, Palazzo Barberini, 2016), sono attualmente in corso di restauro presso l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro che li ha inseriti nella programmazione della Scuola di Alta Formazione e Studi (SAF) di Matera.
Le pitture sono state datate (Bertelli) al XIII secolo, tranne la croce greca, attribuita all’XI, ma al di sotto affiorano in alcuni punti (ad es. sotto la croce) le tracce di una decorazione più antica, scalpellata per far aderire la nuova, che potrebbe risalire all’Alto Medioevo.
Il “pronto intervento” ha voluto rimediare allo stato di degrado e precaria conservazione dell’ipogeo. Tale stato, già esistente al momento della scoperta, si era accentuato nei decenni successivi generando un preoccupante rischio di crollo (implosione dall’interno) dovuto soprattutto alla perdita di uno dei tre sostegni e al notevole assottigliamento di quello ricavato nel tufo. Inoltre l’accesso, a causa degli scarichi e della vegetazione, era diventato difficoltoso; all’interno terra e detriti rendevano impossibile una documentazione esauriente; il lucernario sul fondo, aprendosi a livello del piano di campagna, rappresentava un pericolo per la caduta di persone e animali; la mancanza di una recinzione esponeva il monumento a possibili ulteriori danneggiamenti e all’incauto ingresso di visitatori. Con i lavori di somma urgenza, quindi, il lucernario è stato messo in sicurezza, l’area è stata recintata, si è sterrato e protetto con palizzate lignee l’ingresso, è stato ripulito e puntellato con sostegni metallici il vano interno.
Nel corso di quest’ultima operazione è stata verificata in primo luogo la presenza dell’antico vestibolo, laddove in precedenza la sistemazione con la porta sembrava essere del tutto moderna. La ripulitura dell’interno ha integralmente messo in luce le radicali modifiche apportate ai fini del riuso come cantina. È risultato chiaro che per la nuova utilizzazione la parete di fondo fu distrutta onde ottenere l’ambiente con lucernario, che vennero ‘sgrottate’ le pareti laterali (annullando quasi completamente le nicchie con le pitture), che si aprì il vano a destra dell’ingresso, si stese il pavimento lapideo e si costruirono i due bancali paralleli al centro, alti quanto i gradini periferici, per poggiarvi sopra le botti.
Durante la rimozione dell’interro sono stati scoperti il livello dell’accesso originario e la parte inferiore delle figure a destra di questo. Inoltre si sono recuperati numerosi frammenti di intonaco dipinto provenienti dalla volta e dalle pareti, che sono attualmente in fase di pulitura nei locali-deposito della Soprintendenza annessi al Museo Civico Archeologico “Rodolfo Lanciani” di Montecelio.
Se per la datazione, analisi stilistica e contestualizzazione delle pitture necessita uno studio approfondito, al quale sarà dedicato un prossimo convegno che si avvarrà anche dei risultati delle analisi affidate all’ISCR, i lavori effettuati hanno definitivamente fugato l’insistente quanto fantasiosa ipotesi che il vano dell’Oratorio sia stato anticamente un mitreo, cui seguì una fase paleocristiana. Tale interpretazione, sostenuta con l’avallo di autorità accademiche e divulgata anche a mezzo stampa e sui social sin dal 2014, ma avanzata già negli anni Settanta, è un exemplum degli errori cui l’insufficiente o inadeguato esame di un monumento può condurre. Ci limitiamo ad osservare come aspetti reali – quali il carattere sotterraneo, il culto cristiano, il soffitto ornato con le stelle – siano stati coniugati con altri totalmente inventati: i moderni bancali per le botti interpretati come letti per i conviti degli adepti del culto di Mitra, il prolungamento ad uso cantina ritenuto parte dello spelaeum mitraico con l’ara o la statua del dio illuminati dal pozzo-lucernario, che, va sottolineato, è identico ai pozzi delle caverne moderne scavate sul pendio collinare a sinistra dell’Oratorio. A sostegno del presunto mitreo si è anche addotto un piccolo bassorilievo marmoreo raffigurante la tauroctonia, di ignota provenienza, da tempo conservato a Montecelio, che, comunque, non può essere stato rinvenuto a Marco Simone Vecchio, in quanto la località faceva parte, prima della nascita del Comune di Guidonia Montecelio (1937), dell’Agro Romano.
I limitati lavori eseguiti preludono a un più esaustivo intervento di restauro e valorizzazione che la Soprintendenza sta preparando insieme alla Regione Lazio con l’obiettivo finale di acquisire al pubblico demanio l’intera collina di Marco Simone Vecchio, la quale potrebbe diventare con i suoi pittoreschi casali l’ingresso sul lato nomentano al Parco dell’Inviolata.

Bibliografia:
– J. Coste, Appendice II: Topografia medioevale, in Z. Mari, Tibur, pars tertia, “Forma Italiae” I, 17, Firenze 1983, p. 484, n. 43;
– D. Maestri, La chiesa di S. Nicola presso il Casale di Marco Simone, “Bollettino della Unione Storia ed Arte” 84, 1991, pp. 51-56;
– L. Quilici, S. Quilici Gigli, Ficulea (Latium vetus VI), Roma 1993, pp. 90-92, 56-57;
– J. Coste, Il Castrum Sancti Honesti. Note per una definizione del suo territorio tra 1257-1259 (a cura di L. Branciani) e Dati provvisori sulla zona attorno all’oratorio rupestre del Comune di Guidonia-Montecelio (loc. Marco Simone Vecchio), in Il Lazio tra antichità e Medioevo. Studi in memoria di Jean Coste, a cura di Z. Mari, M.T. Petrara, M. Sperandio, Roma 1999, pp. 40-55, 77-79;
– S. Mecchia, Le chiese rupestri del Lazio medievale (VI-XV sec.), Tesi di laurea magistrale, Roma Tre Università degli Studi, a.a. 2012-2013;
– E. Moscetti, Notiziario archeologico, “Annali 2015. Associazione Nomentana di Storia e Archeologia onlus”, pp. 108-109;
– Z. Mari, I primi luoghi di culto cristiani nel territorio tiburtino-aniense. Tra fonti scritte e testimonianze archeologiche, “Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte” 89, 2016, pp. 87-92 (con riferimenti bibliografici sul presunto mitreo);
– F. Fabbri, Clipeo raffigurante il Salvatore Benedicente, Guidonia Montecelio (RM). Presentazione, Scheda sull’opera e sul restauro in corso presso l’ISCR;
– M.T. Petrara, M. Sperandio, I clipei perduti e ritrovati della chiesa rupestre di Marco Simone Vecchio (Guidonia Montecelio). Cronaca di una devastazione annunciata, “I Quaderni di Arcipelago” dell’Associazione Culturale Arcipelago, 2, 2019, pp. 35-44.
Sul bassorilievo di Montecelio: C. Piccolini, Ritrovamenti archeologici nel territorio di Montecelio, “Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e d’Arte” 26, 1953, pp. 209-214

Autore: Zaccaria Mari

Fonte: www-sabap-rm-met-beniculturali.it

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