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Giuliano CONFALONIERI, Ricordo di Gianni Roghi.

Nato a Milano nel 1927 e morto nel 1967, Roghi è stato fotografo e giornalista ma soprattutto un appassionato subacqueo.
Nella sua breve esistenza ha scritto una decina di libri, tra i quali Il sommozzatore, L’archeologo, Caccia subacquea, Uomini e pesci. Uomo dai multiformi interessi (biologia, etnografia, ecc.), è entrato nella storia del mondo del sommerso anche per la collaborazione con il prof. Nino Lamboglia, direttore del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina  di Albenga (diramazione dell’Istituto di Studi Liguri).
In particolare i due studiosi si sono interessati, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, del  relitto nei pressi dell’isola di Spargi (arcipelago della Maddalena).
Poco tempo prima della scomparsa, Roghi aveva scritto la prefazione al libro Immersione nel  passato scritto da Hanns-Wolf Rackl – edito nel 1967 da La Scuola Editrice di  Brescia. Ecco alcuni passaggi: “Dopo vent’anni di archeologia subacquea, é già lecito fare il punto, volgersi indietro per contemplare il cammino percorso, dare un’occhiata all’orizzonte per scorgere quanto ancora ci si prepara. Hanns-Wolf Rack1 ha scritto un libro a questo scopo, e l’ha scrítto bene, con un’attenzione per il particolare che non va a scapito della visione panoramica, con un gusto per il racconto che non mortifica il rigore scientifico e storico della informazione… ogni scavo di relitto o di città antica, di stagione palafitticola lacustre del neoliti deposito di oggetti rituali nelle misteriose pozze dell’America centrale è nato per l’impulso e la fantasia di un pioniere, é proseguito nell’incertezza dell’esplorazione, talvolta nel rischio di una vicenda sempre insolita, ricca di colpi di scena, di suspense, di febbrile passione. Dalle prime imprese francesi, cui va il merito grande di avere aperto le porte, la tecnica si è affinata con quelle italiane, si è fatta severa ma di superiore rendimento scientifico… il sommozzatore è andato a frugare il fondo, a rubargli segreti secolari e millenari. Una storia di vent’anni estremamente varia e vagamente folle, i cui personaggi e situazioni cambiano di continuo, in cui nessuno scavo somiglia al precedente… contiene però un filo conduttore per forzarne le terribili porte per andare a riprendergli le memorie del nostro passato”.
Poiché i secoli a cavallo dell’era a.C. e d.C. videro l’espansione delle comunicazioni con interscambio di beni e culture, anche le navi ampliarono le rotte tra oriente ed occidente grazie ai miglioramenti costruttivi ed agli sviluppi delle tecniche di navigazione. Per questa ragione, il Mediterraneo è diventato un forziere di reperti d’epoca e per questa ragione i musei del mare raccolgono una notevole quantità di testimonianze.
Nel 1957 Roghi riscoprì il sito di Spargi a 18 mt. di profondità e forse – per la prima volta – indagò il relitto insieme alla troupe di Lamboglia con intenti scientifici e non con la radicata usanza della rapina con relativa distruzione delle informazioni nascoste.
La squadra riuscì in occasione della prima prospezione a mettere in atto la nuova tecnica di rilievo predisponendo una serie di quadrati formati da bacchette metalliche per ottenere una esatta riproduzione fotografica, strato dopo strato. Purtroppo quando i lavori ripresero nel 1959 e nel 1963, i professionisti della corvetta Daino si accorsero che l’uso dissennato del tritolo usato da pescatori di frodo e subacquei clandestini avevano distrutto o asportato gran parte del carico (coppe, colonne, tripodi di bronzo, ceramiche).
Il giornalista, scandalizzato dallo scempio, affermò: “Chi scrive, dopo aver visto coi propri occhi lo scandalo della vendita delle anfore a La Maddalena, inviò una lettera al soprintendente alle Antichità di Sassari. Non gli fu nemmeno risposto”.
Nel Museo Archeologico Navale di La Maddalena – dedicato al prof. Nino Lamboglia e allestito con la collaborazione di Francisca Pallarés, erede della carica all’Istituto Internazionale di Studi Liguri di Albenga – è raccolto il materiale ricuperato da questo relitto onerario romano che avrebbe potuto riservare novità sulla tecnica costruttiva e nautica del periodo. Fu comunque accertato che la nave aveva dimensioni di 35 x 8 metri, carica di anfore con i sigilli integri, le cui protezioni in piombo non la salvarono però dal difficile passaggio delle Bocche di Bonifacio costellato da scogli e secche.

Giuliano.confalonieri@alice.it

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