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Emmanuel ANATI. Il matrimonio? Viene dalle caverne.

Mancavano tremila anni alla nascita di Cristo il giorno in cui, accucciato sulla roccia, un antico Camuno con la punta dello scalpello incideva la scena che ancora oggi ci appare lampante, come appena fatta: un uomo e una donna in coppia, e accanto i loro due bambini, un maschio e una femmina.
In una parola: una famiglia. L’arte preistorica, si sa, ricorre molto spesso al simbolismo: «E infatti simbolica è la linea che unisce i piedi di marito e moglie, come un giogo. Non scordiamo che è questo il significato di “con-iugi”: uniti dal giogo, legati stabilmente».

Emmanuel Anati, il noto archeologo esperto dell’arte rupestre di tutto il mondo, fondatore in Val Camonica del Centro camuno di Studi preistorici, e Umberto Sansoni, vicedirettore del Centro, oppongono i fatti a chi oggi vorrebbe “posticipare” la coppia unita in matrimonio e la sua estensione, la famiglia, come fosse un’«invenzione» post-cristiana.

Professor Anati, lasciamo allora che a rispondere sia l’archelogia.
«Non c’è civiltà antica che non abbia avuto la sua concezione ben netta di unione matrimoniale e di nucleo familiare. Gli esempi sarebbero migliaia. A dire il vero basterebbe leggere il Vecchio Testamento, dove la solidità dell’istituzione familiare è chiarissima. Ma possiamo andare anche molto più indietro, grazie all’archeologia, per capire che ben prima del cristianesimo il matrimonio come unione stabile e sancita era una realtà consolidata. Cosa che d’altra parte si desume senza dubbio anche studiando gli usi dei popoli attualmente fermi al Paleolitico».

Uomini del Duemila che nulla sanno della nostra mentalità e vivono di tradizioni proprie. Un esempio?
«In Australia ci sono molte pitture su corteccia d’albero o su roccia interessanti: rappresentano gli spiriti ancestrali e li raffigurano sempre in coppia, uno maschile e uno femminile. Per questi aborigeni animisti, che vivono al livello paleolitico, tutte le realtà della vita terrena hanno nel mondo soprannaturale – quasi un mondo “delle idee” – un’immagine riflessa superiore. Anche le realtà sociali dei viventi come la famiglia hanno una loro matrice divina nella creazione dell’universo. Sono sposi gli uomini e le donne perché sono sposi già gli spiriti ancestrali».

Una sacralità del rito, dunque, non solo un’unione sancita. Ma quanto indietro possiamo risalire per incontrare un “contratto” matrimoniale?
«La scoperta è rivoluzionaria e di recente interpretazione: in Dordogna, in Francia sud-occidentale, c’è un complesso di diciannove blocchi di pietra incisi, risalenti a trentamila anni fa. I simboli femminili sono ognuno associato ad animali totemici che indicano l’appartenenza del maschio cui unirsi. Si tratta secondo le ultime interpretazioni del più antico regolamento familiare, vero e proprio contratto di unione stabile. Nessuna invenzione modernista, come vede… Ma potremmo citare miriadi di altri esempi, dall’arte rupestre della Siberia agli Inuit eschimesi del nord canadese, passando per gli Etruschi o tutte le popolazioni di origine indoeuropea… Sarebbe più facile contare semmai quali sono le popolazioni che non hanno avuto alla loro base, come fondamento assoluto e insostituibile, il matrimonio e la famiglia. Pensiamo al bellissimo e famosissimo “sarcofago degli sposi” etrusco, dove il defunto è legato per l’eternità alla moglie, in un’unione che trascende anche la vita. O alle lapidi funerarie romane anche anteriori a Cristo, in cui sono enumerati costantemente il pater familias, la consorte e tutti i figli: una famiglia granitica e inscindibile anche dopo la morte».

Lei da molti anni conduce spedizioni archeologiche nel Sinai. Ci sono testimonianze anche lì?
«Ad Har Karkom abbiamo ritrovato le tracce di gruppi di abitazioni appartenenti a epoche diverse, nel deserto: fino al Paleolitico medio (duecentomila-cinquantamila anni fa) i villaggi hanno ancora la struttura del clan, ma col Paleolitico superiore, quarantamila anni fa, tutto cambia, le case sono disposte in circolo e ognuna è piccola, suddivisa in modo chiaramente adatto ad accogliere un solo nucleo: è nata la famiglia».
Per quali esigenze, dal punto di vista della paletnologia, un uomo e una donna sentirono il bisogno di “isolarsi” assieme ai loro figli, pur rimanendo nel gruppo?
«Per un senso di sopravvivenza: la donna doveva essere protetta e aveva bisogno che il suo uomo, stabilmente, in rapporto fiduciario, procurasse il cibo mentre era gravida e allattava. Il passaggio successivo è la gratificazione, il senso d’appartenenza, lo star bene insieme senza sentire il bisogno di altre relazioni».

Se l’unione coniugale e la famiglia si perdono nella notte dei tempi, c’è qualcosa che invece è davvero solo dei nostri tempi?
«Non esiste in nessuna epoca e in nessuna civiltà passata il concetto di “matrimonio civile”: i più diversi rituali per unirsi, dalla preistoria ad oggi, erano sempre stati religiosi. Sarebbe stato inconcepibile il contrario. Il matrimonio è nato come sacralizzazione dell’unione tra due persone. Rigorosamente di sesso diverso».

Ma altre forme esistevano?
«Potevano esistere, a seconda delle epoche, ma non erano mai considerate famiglia, né erano regolamentate da alcuna formula».

Se dovesse indicare l’immagine più “attuale” venuta dal passato?
«Una coppia che cammina tenendosi per mano, dipinta sulle rocce dell’Akakus libico, del VI millennio. Ma la più sorprendente viene dalla Svezia ed è di fine II millennio avanti Cristo. La coppia è ripresa mentre si bacia nel congiungimento, e il dio Thor regge un’ascia sopra le loro teste: nella ritualità vichinga l’ascia di Thor benedice l’unione. Matrimonio e consumazione sono rappresentati contemporaneamente, fusi nella sacralità dell’atto».


Fonte: AV Avvenire
Autore: Lucia Bellaspiga
Cronologia: Preistoria

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