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BETLEMME (Palestina). A 57 anni dalla scoperta della lapide ritrovato un anello col nome di Pilato.

pilato

Decifrata la scritta sul manufatto in rame rinvenuto nell’Herodion, la fortezza nei pressi di Betlemme utilizzata dai romani e dal prefetto che mise a morte Gesù.
Al di fuori dei Vangeli – che ne parlano diffusamente e concordemente – su Ponzio Pilato, il prefetto della Giudea che mise a morte Gesù di Nazaret le notizie vanno cercate con il lanternino. Ma ora una nuova, straordinaria scoperta aggiunge un tassello utile per inquadrare la sua figura: su un anello scoperto alla fine degli anni Sessanta nell’Herodion vicino a Betlemme è stato possibile finalmente decifrare la scritta e questa attesta proprio il nome di Pilato. A leggere le parole sull’anello sono stati due studiosi israeliani.
I quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, gli storici Flavio Giuseppe e Tacito concordano nell’affermare che Gesù è stato condannato a morte e crocifisso durante l’amministrazione di Ponzio Pilato in Giudea, un’informazione, questa, che è rimasta codificata anche nel Credo (sia nella formula niceno-costantinopolitana sia in quella più breve del simbolo degli apostoli: «Fu crocifisso sotto Ponzio Pilato» oppure «Patì sotto Ponzio Pilato»). Sulla base delle informazioni forniteci da Flavio Giuseppe, ma anche da Filone, Tacito, Svetonio, Dione Cassio ed Eusebio, è possibile stabilire che Pilato svolse il suo mandato in Giudea tra il 26 e il 36, o l’inizio del 37 dopo Cristo.
Dieci anni sono un periodo piuttosto lungo per un incarico di governatore e questo farebbe pensare che Pilato fosse piuttosto capace nel tenere sottomesse le popolazioni che gli erano state affidate dall’imperatore Tiberio. Sulla base delle date dei viaggi di san Paolo, che presumevano la diffusione del cristianesimo in Palestina, la fondazione della Chiesa di Antiochia, etc., si può ritenere con una certa sicurezza che la crocifissione a Gerusalemme non avvenne negli ultimi anni del mandato del governatore il cui nome viene ripetuto nel Credo da milioni di fedeli ad ogni celebrazione liturgica domenicale. È pertanto ipotizzabile che la morte del Nazareno sia avvenuta come scrive John P. Meier, «approssimativamente alla fine degli anni Venti o all’inizio degli anni Trenta del I sec. d.C.».
Nel 1961, un gruppo di archeologi italiani guidato da Antonio Frova, mentre si dedicava allo scavo di un teatro romano presso l’antica capitale della Giudea, Cesarea Marittima, girando una delle pietre che componevano la gradinata si accorse che portava incisa un’iscrizione, in parte danneggiata.
Sulla quale si legge:
[DIS AUGUSTI]S TIBERIÉUM
[….PO]NTIUS PILATUS
[…PRAEF]ECTUS IUDA[EA]E
[..FECIT D]E[DICAVIT]

«Agli dei onorabili Augusto Tiberio
… Ponzio Pilato
… prefetto della Giudea
… ha dedicato [questo]».

È possibile che la struttura dove è stata rinvenuta l’iscrizione fosse originalmente un tempio costruito in onore dell’imperatore Tiberio proprio da parte di Ponzio Pilato durante la sua prefettura in Giudea. L’iscrizione è attualmente conservata nel Museo di Israele a Gerusalemme.
Alcuni anni dopo quella scoperta, nel 1968, l’archeologo israeliano Gideon Forster, lavorando sui resti della fortezza costruita nei pressi di Betlemme da Erode il Grande, tra migliaia di reperti si imbatté anche nell’anello in rame. La cui decifrazione, mezzo secolo dopo, è stata resa possibile, scrive Nir Hasson sul quotidiano Haaretz, dopo che l’iscrizione è stata ripresa con una speciale e potente macchina fotografica. L’esperimento è stato descritto sull’Israel Exploration Journal. I ricercatori Shua Amurai-Stark e Malcha Hershkovitz hanno potuto individuare sull’anello l’immagine di una coppa circondata dal nome di Pilato scritta in caratteri greci.
Daniel R. Schwartz, della Hebrew University di Gerusalemme, ha significativamente affermato: «Questo nome era raro in Israele a quei tempi. Non conosco nessun altro Pilato di quel periodo e l’anello mostra che era una persona di rango e benestante». L’oggetto, quasi sicuramente un sigillo, è di fattura semplice. Una circostanza che lascia supporre o che l’alto funzionario romano lo portasse tutti i giorni e non solo in occasione di eventi speciali, oppure che sia appartenuto a qualcuno della sua stretta cerchia di collaboratori.

Autore: Andrea Tornielli

Fonte: www.lastampa.it, 1 dic 2018

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