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Antonio CITRILLO, Angelandrea CASALE: Il Tesoro di Boscoreale e il suo scopritore – la vera storia ricostruita sui documenti dell’epoca.

Scritto da Antonio Citrillo, Presidente del Tribunale di Lagonegro, e da Angelandrea Casale, ispettore onorario ai Beni Culturali dell’area vesuviana, il libro si giova della prefazione del Soprintendnte archeologo di Pompei, Pietro Giovanni Guzzo, ed è edito a cura dell’Associazione “Amici di Pompei” e della locale Soprintendenza Archeologica.

Propone nuovi e inediti particolari su quella vicenda che per lungo tempo, tra la fine dell’800 e gli inizi del secolo successivo, interessò la stampa nazionale ed estera, il saggio “Il tesoro di Boscoreale e il suo scopritore – la vera storia ricostruita sui documenti dell’epoca”. Un caso complesso, che si concluse con la “fuga” in Francia e fece nascere un mezzo incidente diplomatico tra le due nazioni. Non solo.

Il filosofo Benedetto Croce e l’avvocato Giovanni Bovio, parlamentari, chiesero conto all’Assemblea Nazionale di quell’orribile misfatto pepetrato al patrimonio culturale e storico italiano. Ma quella “fuga” produsse anche le dimissioni del Soprintendente archeologo di Napoli, Giulio De Petra; fece scattare indagini prefettizie e inchieste sull’operato di Vincenzo De Prisco, avvocato e proprietario del terreno dove alcune settimane prima della Paqua del 1895, durante uno scavo archeologico, venne intercettato il più grosso tesoro d’argenterie, gioielli e monete d’epoca romana mai scopeto. Nascosti tra i lapilli e la cenere espulsa dal Vesuvio nel 79 d.C., la squadra di operai, alla periferia di Boscoreale, in un angolo del torcularium di quell’edificio che si stava scavando, scovò 109 pezzi d’argenteria da tavola: piatti, bicchieri, coppe, di finissima fattura. Più in là, accanto ai resti di uno scheletro: gioielli, collane, bracciali e mille nummi d’oro, fior di conio. Solo questi ultimi, valevano ben centomila sesterzi e diversi milioni di euro attuali.

Intuito che lo Stato italiano non aveva denaro per assicurarsi i reperti, De Prisco, mise tutto in vendita sulla piazza di Parigi, tramite l’antiquario Canessa, che aveva sede a Napoli e a New York, oltre che nella capitale francese. Gli argenti furono così acquistati dal barone de Rotschild per mezzo milione di franchi (quasi due milioni di euro) e donati al Louvre. Ori, e gioielli, furono venduti a diversi altri aquirenti.

Come abbia passato le Alpi, poi, il tesoro, è storia ancora più avvincente: si racconta di una gara ciclistica San Remo-Nizza appositamente organizzata e di corridori con zaini imbottiti di piatti e coppe. Per farsi perdonare, Vincenzo De Prisco, successivamente eletto deputato per due legislature, regalò allo Sato numerosi e interessanti reperti recuperati da quello scavo.

Lo scandalo di quella sparizione e tutto quanto ne seguì, ebbe come risultato l’emanazione di un regolamanto che, ancora oggi in vigore, salvaguarda i tesori archeologici e culturali italiani dalla vendita all’estero.
Fonte: CulturalWeb 26/04/04
Autore: Carlo Avvisati
Cronologia: Arch. Romana

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