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TORINO. La Sacra Sindone icona della sofferenza. Nella primavera 2010 a Torino ostensione solenne del lenzuolo di lino che avvolse il corpo di Cristo.

«Questo non può essere l’oggetto di un articolo. Lei mi deve aiutare a fare una battaglia che è culturale e storica. È una battaglia scientifica e, me lo lasci dire, anche spirituale. Dobbiamo superare pregiudizi e paure e smontare un castello intellettuale che continua a gettare ombra sulla verità».

Pacata, asciutta e ferma nel suo ragionamento Maria Grazia Siliato. Da quasi una vita la grande archeologa si affatica attorno all’oggetto più misterioso della cristianità: alla Sindone, il lenzuolo o il telo di lino che avrebbe avvolto il corpo di Cristo. Un lenzuolo che, se autentico, conterrebbe il sangue del Figlio di Dio e persino il suo Dna. Sarebbe la prova di un avvenimento, anzi dell’Avvenimento per eccellenza della storia dell’umanità. Se falso, invece, non smonterebbe la fede di chi crede nella morte e resurrezione di Gesù, ma – per essere onesti – rappresenterebbe un’enorme delusione per milioni di fedeli e contribuirebbe a screditare la Chiesa cattolica agli occhi del mondo protestante e non cristiano. Incontro la Siliato a Lanuvio ai Castelli Romani. Non vive in una casa, bensì nella storia. In un castello di Marcantonio Colonna, una dimora affascinante e labirintica, foderata di libri e pergamene, mobili d’epoca e foto di antiche tribù mediorientali. Che ha dentro il respiro dei secoli. Nella Siliato scorre sangue genovese, siciliano, svizzero-tedesco. Laurea a Friburgo in archeologia paleocristiana ed ellenistica del vicino Oriente. Universalmente nota per le sue ricerche sulle civiltà mediterranee, bizantina – franco – veneziana dell’isola di Cipro e della battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571. Sulla Sindone di Torino ha elaborato un approccio multidisciplinare scientificamente obiettivo che le è valsa la partecipazione al «Shroud of Turin Research Project», incaricato di indagare sulla celebre reliquia.
«Sarà un’occasione quanto mai propizia per contemplare quel misterioso volto, che silenziosamente parla al cuore degli uomini, invitandoli a riconoscervi il volto di Dio».

Con queste parole, il 2 giugno scorso, Papa Benedetto XVI, davanti a settemila torinesi in visibilio raccolti nell’Aula Nervi in Vaticano, ha accolto la richiesta dell’arcivescovo della città piemontese, il cardinale Severino Poletto, di consentire nella primavera del 2010 ad una nuova solenne «Ostensione della Sindone».

La macchina organizzativa si è messa in moto (già stanziati da Regione, Provincia e Comune di Torino dieci milioni di euro), ma è facile immaginare che si è rimesso in moto l’ingranaggio delle polemiche. Fra storici ed archeologi, scienziati e teologi, semplici fedeli e chimici. La Sindone è solo un simbolo o è la rappresentazione più crudele e drammatica dell’«uomo dei dolori» descritto nei Vangeli?

Si sa che gli esami al carbonio 14 effettuati nel 1988 giunsero alla conclusione che si trattava di un reperto medievale tessuto fra il 1260 e il 1390.

Da allora, però, molti scienziati hanno voluto mettere in discussione la «radiodatazione» ed ora propongono nuovi esperimenti che, fra l’altro, potrebbe essere più agevole realizzare nel corso di una ostensione. Fra gli studiosi critici si pone la Siliato. Seguirla è un’avventura da lasciare senza fiato.

Professoressa, come definirebbe scientificamente la Sindone?
«Un telo di lino, egiziano, coltivato a Boutos nella valle del Nilo, tessuto su un telaio verticale del tipo e delle misure usate dagli ebrei di Palestina per usi rituali e sepoltura».
Lei ha già scritto di questo in un volume: «Sindone», per i tipi della Piemme, che è un autentico long-seller. Quasi una Bibbia su tale argomento. L’impronta che noi vediamo sulla reliquia di che tipo è?
«È sangue umano intero. Escludiamo che sia dipinta. Nessun colorante vegetale, animale o chimico può aver lasciato un’impronta del genere».
Non è neppure stampata con un metallo caldo, una striatura. Pensiamo al ferro da stiro. Non può essere stata prodotta dalle «radiazioni di una resurrezione»?
«Lei corre troppo. Uno scienziato non può mai arrivare a questo, lo può pensare, ma non lo può scientificamente sostenere. Il vero miracolo è come possa essere giunta sino a noi dalle viscere della storia. Diciamo, rimanendo al telo, che siamo di fronte ad una corrosione delle fibrille di lino più superficiali. Una ossidazione, una decomposizione accelerata, una rottura della catena del carbonio della cellulosa. Dunque, l’impronta è, sia sopra che sotto, quella di un cadavere di un uomo che aveva sofferto un’agonia tremenda. Il contatto del lenzuolo col corpo è stato breve. Secondo i racconti evangelici di tre giorni circa. L’aloe e la mirra, gli aromi che venivano posti sopra il lenzuolo che avvolgeva il corpo, hanno fatto da spugna e favorito l’impronta. La Sindone è tessuta come le giacche a spina di pesce, come tanti frammenti di lino egiziani, custoditi nel museo Egizio di Torino».

E perché contesta la datazione al carbonio 14 del 1988?
«Guardi, hanno preso per campione un pezzo della Sindone affidando l’operazione a persone poco esperte. L’oggetto fu mutilato di 12 centimetri. Tre laboratori serissimi, Tucson in Arizona, Zurigo e Oxford, giunsero alla conclusione che quel campione apparteneva al XIII o al XIV secolo».

E dove sta l’errore?
«Non nei laboratori. L’errore sta a Torino. Tutto fu filmato. Il gruppo americano aveva fatto analisi merceologiche sul tessuto: spessore, peso, consistenza. Il peso medio della Sindone per centimetro quadrato è di 23/25 milligrammi. Il tessuto del prelievo è di 43/47 milligrammi».

Il che vuol dire?
«Che non era stato prelevato tessuto sindonico, bensì uno dei tanti rammendi storici, avvenuti in secoli diversi. È bastato fare la media del peso dei fili più recenti per arrivare alla datazione medievale. Non dimentichiamo che la Sindone girò tutto il Mediterraneo, è stata baciata e deposta sui malati. Ha subito un’infinità di contaminazioni. Ho conosciuto John Heller del New England Institute. Prese dei piccolissimi frammenti della dimensione di 48 micron ed esclamò: “È sangue umano. È il sangue uscito da un corpo vivente, coagulato sulla pelle e decalcato sul lino. Tutto meno il sangue delle ferite del torace, che è sangue di cadavere, e perciò senza coagulazione”. Sulla Sindone, poi, abbiamo trovato il polline della “Gundelia Tournefortii”, una pianta che si trova vicino al Mar Morto. Chi può aver portato il polline di questa pianta sulla Sindone in Europa se la si considera un reperto medievale?»

Quanto era alto l’uomo della Sindone?
«La parte dorsale dell’impronta è lunga 182 centimetri, quella frontale di 178 centimetri. Possiamo supporre che l’uomo della Sindone, o Gesù, fosse alto 180 centimetri».

C’è anche un dossier voluminosissimo sulle analisi medico-legali delle ferite.
«Sì, le analisi parte furono fatte a Torino, parte a Los Angeles. Si vedono, alla luce ultravioletta, le ferite della flagellazione. Sulla fronte del condannato c’è un ricciolo di sangue. Il volto, il torace, la corona di spine, le ferite della schiena a seguito della flagellazione. I piedi con colate di sangue laterali inchiodati tutti e due con un solo chiodo; la lacerazione nei polsi. Dal sangue sulle braccia si evince che quel corpo si è mosso sulla croce. Si nota nettamente la terribile ferita nel costato».

È una descrizione impressionante. Eppure un recente filmato della BBC ha riproposto la solita tesi. Con qualche raffinata perfidia in più.
«È un filmato sgangherato. Dietro la ricostruzione sembra quasi di avvertire un disegno che cerca di sparigliare le carte a disposizione della scienza. La materia è talmente complessa che è facile imbrogliare. Il pre-giudizio è un male duro da estirpare. Se invece di questo oggetto, avessimo trovato la toga di Giulio Cesare, nessuno avrebbe fiatato. Siccome è Gesù…»
Perché non sottoporre la Sindone a nuovi esami?
«È l’oggetto archeologico più studiato nella storia. Non c’è bisogno di altri esami. C’è già tutto quello che si voleva sapere. Bisogna riprendere in mano le analisi ed esaminarle con rigore e onestà intellettuale
».

Ma molti sostengono che c’è un buco nero nei documenti storici. Prima del Medioevo non se ne sapeva niente.
«Davvero? Se lei osserva le icone bizantine, sinaitiche, siriane, russe, bosniache, di tutto il Mediterraneo, noterà che esse ci ridanno, come in uno specchio riflettente, quel volto sindonico. È riprodotto in tutte le Chiese orientali, il che significa che le Chiese d’Oriente hanno visto la Sindone, mentre in Occidente l’icona più ripetuta è quella del “Buon Pastore”. Questo telo è il simbolo di una unità storica, culturale, emozionale, artistica di tutto il bacino del Mediterraneo».

Nel 2010 l’ostensione sarà a Torino. Ma l’idea, professoressa Siliato, non mi pare che le suoni bene.
«Non è esatto. La Sindone da Umberto di Savoia è stata lasciata alla Santa Sede. Custode per il Papa è l’arcivescovo della città. Non metto in discussione questo lascito…»

Tuttavia…
«Coltivo un sogno: che l’ostensione della Sindone possa avvenire a Roma, magari per un periodo determinato. Sarebbe un formidabile segno, un ponte gettato verso le Chiese orientali, l’invito a ritrovare, attorno alla figura di quel condannato, quell’unità che da mille anni abbiamo perso. Quella pallida impronta di un viso di emozionante bellezza emerge da un antico, fragile telo, come l’impronta di una foglia di un erbario. A quella pallida impronta sarebbe impossibile sottrarsi, essa richiamerebbe non solo pellegrini ma quell’incredibile mosaico di raffigurazioni del Volto di Cristo che al telo sindonico direttamente si rifanno».
Senta, lei può affermare con certezza che siamo di fronte ad una reliquia autentica, ad un lenzuolo di 2000 anni fa?
«Assolutamente. È l’unico testimone al mondo di come veniva effettuata una crocifissione romana. È un unicum. L’evidenza gelida e ininfluenzabile degli strumenti ci rivela l’impronta di un viso e di un corpo, e le macchie di sangue del martirio. Identico a quello descritto nei Vangeli
».

 

 


Fonte: Il Tempo 21/07/2008

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