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TORINO. I faraoni scomparsi nel buco.

Un papiro di tremila anni fa, due inviati del British Museum, una riunione concitata di esperti durata un paio di giorni al Museo Egizio di Torino, per individuare i pezzi mancanti di un puzzle storico.

E alla fine la soluzione, trovata molto piu’ vicino di quanto non si pensasse: era da anni dimenticata nei sotterranei dell’edificio. Sembra davvero un affascinante giallo archeologico la scoperta fatta sul «Canone Reale», il piu’ importante documento che elenca le dinastie egizie: tutti gli indizi raccolti ci portano a pensare che i pezzi del reperto sono fuori posto, la cronologia e’ in buona parte sbagliata e all’elenco che conosciamo potremo aggiungere nomi di faraoni mai sentiti prima.
Il direttore del British Museum, Nial Mac Gregor, aveva annunciato la scorsa estate, durante un ricevimento all’Ambasciata italiana di Londra, di voler mettere a disposizione i suoi migliori esperti per il restauro del piu’ importante documento conservato al Museo Egizio torinese.

Conosciuto anche come il «papiro di Torino», il reperto e’ talmente malridotto da risultare davvero poco interessante per i visitatori, che passano rapidamente oltre. Ma e’ cosi’ rilevante per la storia egizia che tutti i principali studiosi, da Champollion a Lepsius, da Ibscher a Gardiner, hanno trascorso giorni al museo di Torino per cercare di venirne a capo.

Se Bernardino Drovetti fosse stato un poco piu’ attento quando lo scopri’ intatto a Tebe nel 1822, ora gli studiosi dell’antico Egitto non avrebbero tutti questi problemi. Ma il diplomatico piemontese getto’ irresponsabilmente il papiro in un baule assieme a tutti gli altri, e quando disfece i bagagli a Torino il documento era ridotto a un penoso cumulo di frammenti.

Ci e’ voluto piu’ di un secolo per rimetterli insieme in un ordine che sembrasse sensato e quella che vediamo adesso e’ la ricostruzione fatta dall’egittologo Giulio Farina, che sigillo’ i resti del documento tra due lastre di vetro nel 1938.
Finora, nessuno aveva osato mettere in discussione il riposizionamento dei frammenti e la cronologia dei faraoni e delle dinastie che ne risultava.

Ma quando l’inviato del British Museum Richard Parkinson, accompagnato dalla collega Bridget Leach (una delle tre persone al mondo che sa restaurare un papiro) e’ arrivato lunedi’ scorso a Torino, ha posto la domanda che ha cambiato tutto: «Potete farmi vedere i frammenti mancanti?».

Intorno al tavolo della sala riunioni del Museo Egizio molti non hanno nascosto il loro stupore: se era evidente a tutti che molti frammenti mancavano, nessuno pensava che fossero stati conservati e che fosse ancora possibile trovarli da qualche parte.
E’ stato sfogliando il volume Royal Canon of Turin, scritto da Alan Henderson Gardiner nel 1959 per l’Oxford Griffith Institute e custodito nella biblioteca del museo, che si e’ trovata una prima conferma dell’esistenza dei pezzi mancanti del puzzle: alla Tavola IX, lo studioso inglese aveva minuziosamente riprodotto alcuni frammenti che non erano stati inseriti da Farina nella ricostruzione finale, forse perche’ non combaciavano con i vicini.

Gardiner e’ stato uno dei piu’ eminenti egittologi del XX secolo. Non era simpatico a Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon («Piu’ lo conosco e meno mi piace»), ma sapeva il fatto suo e la grammatica egizia che scrisse e’ ancora indispensabile a chi vuole imparare i geroglifici.
Dopo ore di discussioni e’ stata Elvira D’Amicone, egittologa del ministero, ad avere l’intuizione giusta: se il papiro era arrivato in frammenti al museo, le parti mancanti non dovevano essere troppo lontane. Forse bisognava cercarle nei sotterranei, in quel misterioso magazzino che custodisce abbastanza reperti da allestirci un altro museo, il giorno che ci saranno i soldi per occuparsene seriamente.
E infatti erano li’, dimenticati da piu’ di mezzo secolo in un armadio: una mano pietosa ne aveva persino inseriti alcuni tra due lastre di vetro, perche’ si conservassero senza danni. Ma prima di studiarli c’era un altro ostacolo da superare. Secondo la legge, ogni reperto non appartiene al museo che lo custodisce, ma allo Stato italiano e niente si sposta senza un timbro e una autorizzazione. Informata dell’importanza della scoperta, la sovrintendente alle Antichita’ Giovanna Maria Bacci ha pero’ subito concesso tutti i visti necessari ad un primo esame.
Ieri mattina il «papiro di Torino» era su un tavolo del laboratorio all’ultimo piano del museo, di fianco a una mummia in attesa di restauri, e il professor Parkinson lo guardava come ne fosse innamorato.

«Grazie a questa scoperta – spiegava – possiamo dire che la ricostruzione fatta da Farina e’ sbagliata. I pezzi andranno ricollocati in un modo diverso, utilizzando anche le tecnologie delle quali disponiamo a Londra. Siamo in grado di fare un lavoro migliore di quello che era possibile piu’ di 70 anni fa».

Bridget Leach osserva le fibre con occhiali dotati di lenti di ingrandimento e gia’ immagina gli interventi da fare: «Il papiro e’ stato restaurato nell’antichita’. Vede questi fili di seta? C’e’ colla di origine animale, che puo’ fare molti danni».

Eleni Vassilika, la direttrice del museo, e’ raggiante: «E’ una scoperta importantissima. E’ possibile che si debbano rivedere le date delle dinastie e aggiungere nomi di faraoni».
Se ci saranno tutte le autorizzazioni, se nessuno si opporra’, se non nasceranno polemiche, il papiro dovra’ ora essere portato a Londra, dove restera’ per mesi. Al suo ritorno sara’ completamente diverso. E bisognera’ riscrivere molti libri di storia egizia. 
 


Fonte: La Stampa 19/02/2009
Autore: Sabadin Vittorio
Cronologia: Egittologia

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