Archivi

SOS, ALLARME IN SIRIA: 34 secoli fa.

“ La superpotenza ittita ci attacca, resistiamo”

Voci di città assediate, scambi d’informazioni drammatiche, richieste di aiuto, disposizioni per “resistere, resistere, resistere” di fronte alla superpotenza che rivolge le sue mire su un territorio strategico del Vicino Oriente.

Non sono messaggi vaganti nell’universo impalpabile di Internet, e non è la prefigurazione di ciò che potrà accadere fra qualche settimana nei dintorni del Tigri e dell’Eufrate; è invece una traccia di quel che avvenne un po’ più ad Ovest, un bel pò di anni prima: impressa su corpose tavolette di argilla che adesso il sottosuolo ha restituito a Tell Mishrifeh, dove un tempo sorgeva Qatna, antico sito della Siria settentrionale a metà strada tra le attuali Damasco e Aleppo. Autori della scoperta – la più importante in area medio-orientale dal rinvenimento dell’archivio reale di Ebla, nel 1975, per merito di Paolo Matthiae – sono ancora una volta archeologi italiani, dell’Università di Udine, che lavorano in una missione congiunta con la locale Direzione generale delle antichità e con i tedeschi dell’Università di Tubinga.

L’epoca a cui siamo ricondotti (determinata con gli strumenti della paleografia) è il XIV secolo a.C. Al centro di importanti rotte commerciali (legno e materiali da costruzione, esportati verso l’Egitto e la Mesopotamia, metalli dall’Anatolia, pietre semipreziose dalla Susiana), la Siria era una zona cuscinetto da sempre contesa fra gli imperi che via via si affacciavano alla storia. Adesso è il turno degli ittiti e egiziani, che in un gioco di mosse e contromosse finiscono con lo spartirsi l’intera zona, tutto il Nord al Gran Re di Hatti, la fascia costiera e il Centro Sud ai Faraoni. Siamo dunque sul piano inclinato che di lì a qualche decennio porterà allo scontro finale di Qadesch, nel 1274, tra Mawatalli e Ramses II. Di quella epica ma sostanzialmente inutile battaglia, la prima (abbondantemente) documentata nella storia, che di fatto ribadirà lo status quo, sappiamo quasi tutto. Le tavolette ritrovate a Qatna ci parlano invece della lunga fase preparatoria, quando gli ittiti cominciarono a premere sulla Siria settentrionale.

Intorno al 1350 è Shuppilulluma I, il nonno di Muwatalli, a marciare verso Sud. Dall’archivio reale di Tell el-Amarna, la capitale del faraone eretico Akhenaton, conosciamo le lette inviate dai sovrani delle città siriane, di Qatna, di Qadesh, che riconfermano la fedeltà all’Egitto ma denunciano l’impotenza di fronte al nemico che li sovrasta: corrispondenza diplomatica sulla vasta scala internazionale. Quello che emerge dalle tavolette di Qatna è il correlato “regionale” dei medesimi eventi, che descrive una fitta rete di informazioni e di rapporti fra signori locali. Un documento importantissimo, che fa luce su una realtà poco nota.

L’archivio è venuto alla luce nel palazzo reale, sull’acropoli: 61 tavolette di argilla, parte crude (poi cotte da un incendio), parte cotte già in origine, scritte in cuneiforme. Cinque di queste presentano un contenuto esplicitamente cronistico-politico. La decifrazione e la traduzione, a cura dell’epigrafista Thomas Richter dell’Università di Francoforte, è appena cominciata, ma qualche rivelazione comincia a filtrare. In una delle tavolette si informa Idanda, il signore di Qatna, circa la consistenza dell’esercito ittita, che con i suoi numerosi carri ha già distrutto diversi centri. Altre tavolette contengono le istruzioni impartite per rinforzare le difese, ordini per la fabbricazione di 40 mila mattoni di fango, 18.600 spade.

La fortuna di recuperare l’archivio reale è toccata alla componente tedesca della missione, diretta da Peter Pfalzner. “L’hanno trovato proprio nella zona di confine con la nostra area di scavo” dice con una punta di rammarico il responsabile della squadra italiana Daniele Morandi Bonacossi, coadiuvato da Marta Luciani. Ma , neppure lui – 40 anni, una ventina di campagne archeologiche, alla sua prima direzione – si può lamentare. Quasi in contemporanea con l’exploit tedesco, tra la fine di ottobre e i primi di novembre (“Le scoperte più importanti avvengono sempre negli ultimi giorni: è una delle classiche leggi dell’archeologia …), in un secondo edificio palatino dell’acropoli, risalente al XV secolo e ancora in gran parte da scavare, gli italiani hanno rinvenuto un archivio amministrativo con una trentina di tavolette e numerosi intagli di avorio, probabilmente elementi decorativi di mobilio prezioso, tra cui uno splendido volto femminile con gli occhi di gesso cristallino.

“Trovare un archivio è sempre una grande emozione”, commenta Marta Luciani, “per un archeologo orientale”, è “la scoperta per antonomasia”. Tanto più alla luce del suo contenuto, che farebbe la felicità di uno storico cresciuto alla scuola delle Annales, o di chiunque al modello militare-politico di Tucidide preferisca quello erodoteo più attento alla lunga durata. Come spiega il filologo danese della missione, Jesper Eidem, “i testi, scritti in accadico, presentano elenchi di distribuzioni di grano a varie categorie di destinatari, fra cui un certo Zarija, forse il proprietario del palazzo, e inoltre a operai, ancelle e animali domestici”. “Nel II millennio, tramontata ormai la potenza di Ebla”, osserva Morandi Bonacossi, “Qatna era uno dei tre grandi centri urbani della Siria, con Mari e Aleppo. Scavare un edificio pubblico è un’occasione unica per capire il funzionamento della vita politica, religiosa, economica e amministrativa, il livello tecnologico raggiunto in queste importanti capitali. Si può ricostruire la cultura materiale in tutti i suoi aspetti”.

Ma l’istantanea sul XV-XIV secolo non esaurisce le conoscenze acquisite su Qatna, fin dagli anni 20 del Novecento. Gli scavi, avviati dal conte Robert du Mesnil du Buisson con l’impiego di prigionieri ai lavori forzati sorvegliati da un battaglione di fucilieri malgasci (era la Francia coloniale …), portarono alla scoperta del palazzo reale e di alcune tavolette cuneiformi in lingua sumerica con l’interminabile inventario del tesoro (scomparso) della dea Nin-Egal (letteralmente “Signora , Nin, del Palazzo”). I lavori furono ripresi nel ’94 dai siriani, sotto la guida di Michel Maqdissi, e nel m’99 partì la cooperazione con italiani e tedeschi.

Ai margini della piana dell’Oronte, in un territorio semiarido dominato dalle tonalità del giallo, del rosso bruciato, del verde cupo delle graminacee, Qatna si presenta come un quadrato quasi perfetto di 110 ettari, circondato da un terrapieno su cui si aprivano le quattro porte urbiche, al centro di ogni lato. In base al raffronto con gli analoghi insediamenti contemporanei, si può ipotizzare una popolazione media, relativamente stabile, intorno ai 20 mila abitanti. Ai livelli più antichi dell’acropoli, corrispondenti al 2400 circa, in pieno bronzo antico (“Ma ancora non siamo arrivati alla roccia vergine”, avverte Morandi Bonacossi), sono stati individuati grandi silos – 6 metri di diametro per 3-4 di profondità – per lo stoccaggio di cereali, olive e uva: sembrano indicare un’attività centralizzata di accumulo e ridistribuzione, propria di un’entità statale già strutturata. Al livello del XIV secolo sono evidenti nel palazzo reale i segni di un incendio, non si può dire se appiccato dagli invasori ittiti o scoppiato accidentalmente. Di certo la vita continuò ancora a lungo a Qatna, come è testimoniata fra l’altro dalla presenza di ceramica micenea del XIII secolo, protraendosi nell’età del ferro fino al VII-VI secolo a.C. Poi venne progressivamente abbandonata. Ricoperta dalla collina artificiale, il sito sarebbe stato di nuovo abitato soltanto a metà dell’800. Ma proprio per le esigenze degli archeologi l’insediamento moderno è stato evacuato nel 1982.

I morti che afferrano i vivi, un caso di cannibalismo di ciò che è sepolto verso il presente vivo e indigente? Assolutamente no. Spostato poco più a ovest, il nuovo villaggio ha giù raggiunto i 10 mila abitanti, dalla scorsa estate ha buone linee telefoniche e persino un Internet Cafè. In tutti i sensi, la ricerca del passato non può che aiutare l’oggi.

Dal bronzo ai Romani

Nell’area dell’attuale Siria l’urbanizzazione prende le mosse nel bronzo antico (2900-2000 a.C.) in seguito a contatti con la Mesopotamia, l’Egitto e la Susiana (Iran sud-occidentale) dove si era già avviata. Si delineano tre diverse culture urbane: quella costiera (centro principale Biblo, nell’attuale Libano), quella nord-occidentale (Ebla) e quella alto-mesopotamica (Tell Chuera, Tell Leylan).
Nell’ultima parte del II millennio nell’area cominciano a inserirsi gli hurriti, di origini indo-iranica; intanto Ebla e gran parte delle città-Stato siriane cadono di fronte all’espansionismo accadico (dalla Mesopotamia).
Dal 2000 (bronzo medio) cominciano le immigrazioni degli amorrei. In questa fase emergono Qatna, Yamhad (Aleppo), Mari, Ugarit.
A partire dal 1650 prime invasioni ittite, dall’Anatolia.
Nel 1469 inizio delle campagne egiziane.
A metà del bronzo tardo (1600-1200) il territorio siriano è diviso fra regno di Mitanni (nord e alta Mesopotamia, fino a Qadesh) e Egitto (sud e fascia costiera).
Dopo il 1350 gli Ittiti prendono il posto dell’impero mitannico, e la situazione rimane sostanzialmente invariata anche dopo l’epica battaglia di Qadesh tra egiziani e ittiti del 1274.
Nell’età del ferro la Siria entra nell’orbita dell’impero assiro (dal IX sec. ), poi in quella dell’impero neobabilonese (fine VII), dei persiani achemenidi (VI).
Dopo la conquista di Alessandro il Grande, nel 301 a.C. s’inizia la dinastia ellenistica dei Seleucidi.
Nel 64 d.C. la Siria entra a far parte dell’impero romano.
Fonte: La Stampa 17/01/2003
Autore: Maurizio Assalto

Segnala la tua notizia