Quando si fanno accertamenti in siti archeologici, non di rado capita di incontrare oggetti che possono lasciare perplessi i ricercatori, che non sanno raccapezzarsi nel dubbio di essere incappati in reperti di estremo valore storico e artistico oppure di essere stati abilmente raggirati da abili e imbroglioni buontemponi che si divertono a fare fesso il prossimo credulone, preparandoli in modo da far credere che sono quello che non lo sono affatto.
In und tale situazione si trovarono, nel 1999, il dottor Alexandr Chuvyrov, docente di fisica e matematica della russa Bashkir State University, e un gruppo di studiosi, suoi colleghi. Essi stavano facendo una serie di ricerche relative all’immigrazione di Cinesi in Siberia, quando furono informati della presenza di una pietra interessante da Vladimir Krainov, che era alla ricerca delle circa duecento lastre di cui si parlava in una relazione redatta da alcuni archeologi del XVIII secolo, con le quali si sarebbe dimostrato che veramente si era verificata l’immigrazione cinese in Siberia. Seguendo le sue indicazioni, trovarono dove la pietra si trovava, la estrassero e la portarono all’università.
Qui la pulirono e ne misurarono le dimensioni, che erano 1,48 m di altezza, 1,06 m di larghezza e 0,13 m di spessore, per un volume di 0,20 mc. La lastra è formata da una base in dolomite, CaMg(CO3)2, spessa 14 cm, ed il resto, che è quello di maggiore importanza, è in diopside, MgCaSi2O6.
Considerando che il diopside è la pietra che costituisce la maggior parte della lastra e tenuto conto che il suo peso specifico è fra 3,2 e 3,5, il peso della pietra di Dashka pesa tra i 6,5 e i 7 quintali. Il diopside è una roccia provvista di una durezza fra 5,5 e 6,5, della Scala di Mohs, corrispondente a quella dell’apatite e dell’ortoclasio, cioè di rocce che non consentono lavorazioni agevoli, abbisognando di una tecnica moderna. E, infatti, a maggior ragione, si sono eseguite analisi radiografiche, che hanno confermato che per ottenere incisioni come quelle della Pietra di Dashka si dovrebbe ricorrere a strumenti altamente precisi. La superficie è protetta da un sottile strato porcellanato (una miscela di porcellana e calcio) avente la funzione di difesa dello scritto inciso sulla parte in diopside contro l’erosione e altri elementi naturali che, altrimenti, l’avrebbero inesorabilmente cancellato.
Durante le operazioni di pulizia, nello strato porcellanato si sono trovate due conchiglie: sulla datazione di una ci furono discordanze, ma non sull’altra (riconosciuta come appartenente al gasteropodo Ecculiomphalus princeps), che fu datata a 120 milioni di anni fa.
Con una tale distanza di quel tempo, supposto che la pietra sia genuina, essa suggerisce, di nuovo e qualora fosse necessario, di pensare all’esistenza di civiltà cresciute sulla Terra, stanziali o provenienti dallo spazio, che di volta in volta, furono eliminate da qualche immane catastrofe che ha provveduto a fare sparire, oltreché gli esseri viventi, anche tutte le loro opere, non lasciando traccia alcuna del loro passaggio, se non reperti come quello di cui si sta parlando e animatamente discutendo. In effetti, certi artefatti sembrerebbero confermare questa ipotesi e la Pietra di Dashka, detta pure “Mappa del Creatore”, sembrerebbe confermarla in pieno. Del resto, secondo gli archeologi della Bashkir State University, sembra proprio che sia avvenuto ciò.
Chuvyrov raccontò ai giornalisti del quotidiano russo Pravda quanto sia stata grande la sorpresa di trovarsi di fronte una mappa, oltretutto tridimensionale; e quella narrazione fu resa di dominio pubblico il 30 aprile 2002.
Sul diopside, gli studiosi ricercatori si sono resi conto che le incisioni presenti rappresentavano la Siberia in tre dimensioni di quella lontanissima epoca e fu quella la ragione per la quale la chiamarono “Mappa del Creatore”, essendo la più antica disponibile del mondo intero. Naturalmente, degli autori non si conosce nulla. Era stata formulata un’ipotesi riguardo agli autori della mappa, dato che certe indicazioni, fra cui la scrittura verticale, avrebbero individuato un intervento cinese; ma alla fine gli studiosi dovettero rendersi conto che i Cinesi non c’entravano per nulla.
E, a proposito delle origini della Pietra di Dashka, è a disposizione pure l’interessantissimo commento degli scienziati del Centro Cartografico Storico del Wisconsin (Wisconsin Historical Cartography Center) negli stati Uniti, i quali, dopo attenti ed approfonditi studi, hanno affermato che sicuramente la rappresentazione cartografica descrive lo stato del territorio della regione siberiana del Bashkorstatan di quel lontanissimo periodo; però, essi hanno tenuto a precisare che solamente una successione di osservazioni aeree avrebbe potuto fornire gli elementi indispensabili per tracciare la mappa incisa sulla pietra.
Essa contiene l’immagine di complessi geologici che tuttora sono esistenti, per cui non si sbaglia nel riconoscere la Siberia.
Le ipotesi propendono per riconoscere in ciò che è rappresentato nella mappa la mano dell’uomo, cioè che non è stato disegnato dal capriccio della natura; tanto è vero che, esaminandola, sembra di riconoscere nell’idrografia sistemi di irrigazione, con canali, dighe e strutture, di cui alcuni esistono tuttora e altri che sono scomparsi, e fra l’altro si è arrivati al punto di ipotizzare che il fiume Balaya sia un prodotto dell’escavazione umana (un po’ come il Cavo Napoleonico che collega il Reno e il Po fra le province di Bologna e Ferrara, tanto per fare l’esempio forse meno importante, ma il più vicino a noi).
Sono diversi i geologi e gli archeologi che sono d’accordo in merito alla rappresentazione nella mappa della regione dei Monti Urali (Russia), nota come Bashkiria, rimasta geologicamente tale e quale fino a oggi, come hanno dimostrato gli studi fatti sulla gola di Ufa. Naturalmente, accanto a elementi visibili ancora oggi, altri non ci sono più, per cui si evidenziano le differenze fra oggi e allora. Comunque, stando al parere di alcuni esperti, sembra che ci siano incise opere idrauliche di notevole peso, come per esempio un complesso di canali, che interessa un percorso di circa 12.000 km, serviti da chiuse e da una dozzina di dighe.
Alcuni colleghi di Chuvyrov sono dell’avviso che forse la mappa è solamente una porzione di una mappa molto più grande, comprensiva dell’intero globo terrestre.
Comunque, i dubbi sono sicuramente tanti anche fra coloro che possono accettare che la Pietra di Dashka provenga da 120 milioni di anni fa, mentre per gli scettici si tratta di una burla ben congegnata che ha fatto fessi milioni di persone, ritenute incallite credulone, come si è ricordato all’inizio di questa nota.
Poi, ci sono quelli che non parteggiano né per la verità, né per la burla, ma che si trincerano dietro la semplice constatazione che per loro di un’OOPArt si tratta e, come tale, non si pongono il problema, ma guardano l’oggetto, lo ammirano e ne… riconoscono il suo mistero insolubile.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it