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ROMA. Catacombe in Italia, si deve a un friulano la loro tutela.

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Quanti, in Friuli, sanno che se oggi le catacombe in Italia sono tutelate e valorizzate lo si deve in primo luogo all’opera del carnico Giuseppe Marchi, padre gesuita? Non per caso, d’altronde, la toponomastica ne perpetua il ricordo sia a Roma, dove è sepolto nella chiesa di S. Ignazio, sia a Tolmezzo, dove nacque.
Figlio di Giovanni Battista, che lavorava nel complesso manifatturiero di Iacopo Linussio, e di Maria Pidutti, originaria di Gemona, Giuseppe Marchi visse tra il 1795 e il 1860 (morì, dunque, 160 anni fa).
Nel 1805 entrò nel Seminario arcivescovile di Udine, città nella quale compì i suoi studi. Poi, nel 1814, poco dopo la ricostituzione della Compagnia di Gesù (che era stata sciolta nel 1773) lo ritroviamo a Roma, nel noviziato di S. Andrea al Quirinale, dove nel 1827 sarà nominato docente di Retorica. Sia a Roma (presso il Collegio romano) sia in altre città (Terni, Reggio Emilia, Modena, Fano, Tivoli) si dimostrò valente teologo, integerrimo educatore e docente ferratissimo nelle lettere italiane, latine e greche. Fu consacrato sacerdote nel 1826.
La sua passione più profonda, che gli procurò larga fama, riguardò gli studi delle antichità: dapprima quelle profane (ricordiamo qui la fondamentale catalogazione e illustrazione della collezione delle monete italiche più antiche presso il Museo Kircheriano di Roma, da lui diretto per oltre vent’anni e che, grazie alla sua opera, acquisì pezzi di grande importanza), poi quelle sacre. Papa Gregorio XVI – che lo stimava incondizionatamente – lo nominò nel 1842 conservatore dei sacri Cimiteri di Roma, creando tale ufficio per l’occasione. Quindi, sotto Pio IX, fu tra i membri della Commissione pontificia di archeologia sacra, istituita nel 1852 e da lui stesso promossa.
In un’epoca in cui i cimiteri sotterranei di Roma erano soggetti a deleteri interessi speculativi e venivano saccheggiati da rapinatori senza scrupoli, padre Marchi, uomo mite ma anche forte e tenace, intraprese l’incarico affidatogli dalla Santa sede di salvaguardare quelle preziose testimonianze. Così, ridiscendendo a studiare le catacombe nelle catacombe oltre due secoli dopo Antonio Bosio, le riscattò dal degrado e dall’abbandono e riaccese l’interesse per l’Archeologia cristiana, di cui definì le partizioni di studio e fissò gli scopi. Inoltre, unendo al moderno metodo scientifico di ricerca le istruttive visite guidate nei siti, riaprì quegli scrigni di storia e di fede tanto alla scienza e agli eruditi, quanto ad un più vasto pubblico.
Purtroppo la carenza di mezzi, le diatribe sulle tombe dei martiri e, soprattutto, le agitazioni risorgimentali del 1848-49, gli permisero di concludere solo una parte del suo vasto progetto sulle catacombe. Nondimeno, rimane l’eredità di basilari ricerche e scoperte. Fra i suoi discepoli che ne proseguirono l’opera si distinse soprattutto Giovanni Battista De Rossi, che assieme a lui è considerato fondatore e padre dell’Archeologia cristiana.
Tra le tante cose, Giuseppe Marchi ebbe un ruolo decisivo nell’ordinamento del Museo etrusco in Vaticano e fece parte sia della Pontificia accademia romana di archeologia sia del Collegio filologico dell’Archiginnasio romano; fu altresì consultore della Congregazione delle indulgenze e delle reliquie, socio corrispondente per l’estero della Société des antiquaires de France e socio onorario dell’Accademia di S. Luca; dotò il Lapidario vaticano di numerosi reperti e raccolse sculture che fecero parte del nucleo iniziale del Museo cristiano lateranense (di cui, su incarico di Pio IX, curò l’allestimento); acquisì, fin da giovane, nomine di spicco che, al pari dei suoi tanti pregevoli studi scritti, sarebbe lungo elencare.
Da ultimo, occorre dire che quanti lo conobbero ne apprezzarono anche le qualità comunicative, caratteriali e morali: esplicito, in tal senso, il suo generoso prodigarsi durante l’epidemia di colera del 1837 a Roma.

Autore: Valerio Marchi

Fonte: messaggeroveneto.gelocal.it,11 dic 2020

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