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MESSICO. Si scava nel tempio della guerra che fu innalzato utilizzando, come pietre, i crani dei nemici.

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Proseguono gli scavi e lo studio del tempio del Dio della guerra, al quale venivano immolati migliaia di prigionieri, i cui teschi tappezzavano le pareti – come offerta alle divinità e spaventosa manifestazione di potere delle classi dirigenti – e venivano utilizzati come pietre o mattoni, nell’edificio stesso. Il tempio sorgeva a Tenochtitlan capitale dell’impero azteco, oggi Città del Messico. La città, fondata nel 1325 su diverse isolette nel lago di Texcoco, viene descritta come una Venezia messicana. Fu rasa al suolo nel 1521 dai conquistadores spagnoli. Nel corso dei secoli gran parte del lago Texcoco fu prosciugato.
Sotto gli edifici realizzati dagli aztechi sono rimasti vani dell’antica città che sono oggetto di scavi da parte degli archeologi dell’Inah, l’Instituto Nacional de Antropología e Historia. I materiali rimasti sono talmente copiosi che un regolamento ferreo impone che ogni lavoro che implichi un pur minimo intervento di scavo – come uno scarico idraulico – debba essere segnalato all’autorità affinchè l’intervento sia monitorato in chiave archeologica.
In totale sono 16 gli edifici individuati nelle cantine o nel sottosuolo di case e palazzi. E tra questi lo spaventoso Huey Tzompantli, un luogo monumentale di offerta dedicato a Huitzilopochtli, il dio della guerra. Secondo gli ultimi studi sul campo, i cui dati sono stati messi a confronto con le testimonianze storiche degli spagnoli del Cinquecento, questa temibile struttura era costituita da una piattaforma lunga 36 metri, sulla quale venivano eretti pali con traverse dove venivano inchiodati i teschi dei sacrificati. I pali erano a loro volta affiancati da due colonne circolari, alte quattro metri, composte da centinaia di teschi. Ad oggi sono stati portati alla luce più di 600 crani, ma i resti esibiti dei nemici degli atzechi o dei traditori dello stato, quanto – si presume – dei semplici oppositori, sono certamente molti di più.
messicoGli archeologi continuano a lavorare in questo spazio che non è aperto al pubblico anche per consentire interventi accurati di studio, rilevamento e consolidamento dei materiali.
I teschi sono stati oggetto di recenti indagini antropologiche e di analisi di laboratorio, che hanno permesso di stabilire che l’assoluta maggioranza delle persone uccise erano uomini e donne tra i 20 e i 35 anni, probabilmente nemici catturati. Giovani e sani. I risultati di laboratorio hanno permesso di stabilire che si trattava di giovani in assoluto vigore.
La quantità dei resti induce a focalizzare sulla possibilità che gli aztechi praticassero, contro i popoli vicini che si ribellavano, spaventosi interventi di pulizia etnica, gli stessi che venivano effettuati anche nel bacino del Mediterraneo.
Dalle stragi degli innocenti – che avvenivano immediatamente, dopo la conquista, nei villaggi o nelle città che erano obiettivo militare – alla deportazione di giovani che erano poi oggetto di un’ecatombe. Oltre a garantire una sanguinaria celebrazione del potere questi sacrifici avevano il fine di consolidare il dominio sui popoli vicini o su comunità che potessero insorgere. Uccidere rapidamente i bambini e deportare i giovani significava ridurre una comunità all’estinzione e alimentare il ceppo genetico dominante.
“In Mesoamerica era una pratica molto comune – dice l’arceologo Barrier – Diverse società ricorrevano ai sacrifici per ragioni diverse. Nel caso dei Mexica era una questione religiosa. Credevano che gli dei potessero morire e dovessero essere nutriti in modo che il ciclo della vita potesse continuare”, sottolinea Barrier.

Fonte: www.stilearte.it, 2 feb 2022

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