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MASSA D’ALBE (Aq). Alba Fucens l’antica città romana ai piedi del monte Velino.

AlbaFucensAnfiteatro
Conviene deviare dall’A24 che conduce baldanzose comitive d’inverno sulle nevi di Ovindoli, d’estate sulle spiagge abruzzesi. Conviene interrompere qualche ora la gita più ovvia e fermarsi in un parco archeologico «sommerso».
Per la scarsità di turisti italiani, per l’avarizia di indicazioni sulla rete stradale, per la separatezza dal mondo che comunica al primo sguardo. Nella valle del prosciugato lago del Fucino, sotto la mole del Monte Velino, nel territorio squassato a inizio Novecento dal terremoto che annientò Avezzano c’è una città romana cresciuta quando la Repubblica combatteva le popolazioni locali, i fieri guerrieri Equi.
Si chiama Alba Fucens la zona che 303 anni prima della nascita di Cristo fu colonizzata da seimila famiglie inviate da Roma, a fissare per l’Urbs la presenza in un punto strategico della penisola che si andava a sottomettere. Il nome, Alba, rimanda alla località elevata, dai 300 ai mille metri, sulla piana del Fucino. Oppure al fatto che dalle sue case, su un colle a tre cime, si vedeva l’alba sorgere sul bacino lacustre. Due vie, cardo maximus e decumano, segnano l’abitato. E la seconda strada coincide con la via Valeria, prosecuzione della Tiburtina allorché abbandona la Valle del Tevere. Poi l’intrico delle strade a incroci ortogonali e l’assetto urbanistico tipicamente romano. La Basilica dove si trattavano gli affari, il Foro – centro della politica – il teatro e l’anfiteatro che sfruttano la pendenza delle colline, le terme, il mercato, le mescite del vino, le botteghe, le domus. Ma in più, a dare fascino a un posto arcigno, che si squaderna all’improvviso, senza neanche un guardiano, c’è quel che resta delle mura di cinta, militarmente tra le più complete.
Tre chilometri di massi poligonali incastonati l’uno sull’altro, lisci e possenti. Sono la prova di una città che diede a Roma guerrieri per fronteggiare Annibale, che fu luogo di confino per prigionieri di stato come i re Siface di Numidia o Perseo di Macedonia, che restò fedele alla Repubblica durante la Guerra Sociale e parteggiò per Mario nel conflitto contro Silla.
La suggestione dei resti di strade e di monumenti, gli scorci delle mura arabescate di iscrizioni si amplifica grazie allo sfondo del Velino. Le tre colonne rimesse in piedi nella via dei Pilastri, dove c’era un portico per le botteghe, risaltano nei mesi freddi sulla montagna bianca di neve. L’anfiteatro in primavera ha la platea verde di erba. In via del Miliario i primi fiori incorniciano il cippo che indica in 58 miglia la distanza da Roma. È del 350 avanti Cristo e dimostra appunto che la via Valeria attraversava la città.
La vita dell’epoca vibra in quel che rimane delle tabernae, delle Terme. Sedimenti di storia, di arte, di diritto romani sono seppelliti sotto le zolle. La vita di Alba Fucens continuò florida in epoca imperiale, il declino avvenne nel sesto secolo con la guerra gotica e l’occupazione dei Bizantini.
Tanto c’è da scoprire in questo parco archeologico «recente», se si pensa che i primi scavi, ad opera di una missione belga, avvennero dopo la seconda guerra mondiale, nel 1949. Vennero alla luce opere pregevoli, come una Venere e una grande statua di Ercole che ora si trovano nel museo archeologico di Chieti.
Il muscoloso eroe era nel Santuario a lui dedicato, nella zona alta di Alba. E in cima all’abitato svettava anche il tempio di Apollo.
Nei secoli bui al suo posto sorsero – come sempre nel passaggio dall’evo antico al Medioevo e nella contaminazione dei culti – un monastero e una chiesa, intitolata al primo dei santi cristiani, Pietro. È una delle tante – isolate, preziose, sconosciute alle torme pigre dei viaggiatori diretti sempre verso le stesse mete – che ricamano le zone interne della regione di D’Annunzio.
Anche la chiesetta di San Pietro – facciata romanica, mosaici dei cosmati, colonne antiche – fu sfigurata dal terremoto d’inizio Novecento. Le parti rovinate sono state ricostruite. Salire la collina dalle rovine di Alba Fucens e guardare tutt’intorno dal suo piazzale è capire perché dobbiamo rispettare il Bel Paese.

Autore: Lidia Lombardi

Fonte: Iltempo.it, 26/03/2011

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