Archivi

Isabella ROSA: Gli avori di Zincirli – Sam’al.

All’inizio del secolo scorso, sul sito di Zincirli, l’antica città di Sam’al, fu rinvenuto un lotto di avori intagliati che, sebbene non in perfetto stato di conservazione, presenta tuttavia aspetti di rilevante interesse.

L’esplorazione sistematica del sito Zincirli aveva avuto inizio nel 1888 dopo un primo sopralluogo effettuato nel 1883 dagli studiosi Otto Puchstein e Felix von Luschan e fu condotta dal Berliner Orient-Kommites, precursore della Deutschen Orient-Gesellschaft, con l’obiettivo, conforme allo spirito dell’epoca, di rinvenire monumenti, sculture e opere d’arte da inviare in Germania a costituire i primi nuclei della sezione vicino-orientale del museo di Berlino, come stava avvenendo già da alcuni anni in tutti i principali musei europei.

Alla prima campagna ne erano successe altre quattro, rispettivamente negli anni 1890, 1890/1891, 1894, 1902 (anno di rinvenimento degli avori); una sesta campagna, già pianificata, non ebbe mai luogo a causa dei profondi cambiamenti politici che si verificarono agli inizi del XX secolo. La direzione degli scavi era stata inizialmente affidata a Karl Humann, il quale venne sostituito già a metà della prima campagna e per tutte le successive da Felix von Luschan.

La città di Sam’al, capitale dell’omonimo regno aramaico ubicato nella Siria nord-occidentale, fiorì tra la fine del X e l’inizio del VII secolo a.C. e la sua storia è strettamente legata a quella dell’impero assiro.

La fondazione del regno, secondo la successione riportata sulla stele del re Kilamuwa (840/835-815/810 a.C. circa), viene ascritta a Gabbar, il quale regnò a partire dal 920 a.C. circa. A questi successe, dopo un primo cambio dinastico, BN/MH, cui seguì Khayanu, forse già un secondo cambio dinastico, che regnò a partire dall’870/860 a.C. circa. A questi successe il figlio Ša’īl, che regnò per pochi anni e lasciò il trono al proprio fratello Kilamuwa (840/835-815/810 a.C. circa), cui successe QRL.

Dopo il regno di Panamuwa I, che durò fino al 745 a.C. circa, si aprì probabilmente un periodo di crisi interna, testimoniatoci dall’iscrizione di Panamuwa II (743 circa-732 a.C.), unica fonte pervenutaci per questo periodo, nella quale il sovrano riferisce dell’uccisione del padre Barsūr e del susseguente interregno alla guida di un ignoto usurpatore. In seguito all’intervento del re assiro la legittima dinastia fu però restaurata nella persona del figlio del re ucciso, Panamuwa II appunto, sotto il quale la prosperità e la stabilità furono poste di nuovo in Sam’al. È probabile che da questo periodo il regno di Sam’al sia divenuto vassallo assiro.

Alla morte di Panamuwa II, avvenuta presso Damasco nel 732 a.C. durante la campagna condotta dal re assiro Tiglatpileser III (744-727 a.C.) in Siria meridionale, salì al trono suo figlio Bar-Rakib (732-720 circa a.C.), che proseguì la politica paterna di vassallaggio assiro, assicurando così la prosperità al suo regno. Bar-Rakib è l’ultimo sovrano il cui nome è riportato nelle iscrizioni; dopo di lui infatti il regno di Sam’al diventa una provincia assira, forse alla fine del regno di Sennacherib (704-681 a.C.).

Oltre alle iscrizioni dei sovrani locali, rinvenute sul sito di Zincirli o all’interno del suo territorio, un’altra importante fonte sulla storia di questo regno aramaico è costituita dagli annali dei re assiri, nei quali sono evocate le loro numerose campagne militari.

La prima menzione da parte assira su Sam’al si trova negli annali di Salmanassar III (858-824 a.C.), sovrano con il quale si compie la prima grande espansione dell’impero, e precisamente nel resoconto della campagna condotta nel suo primo anno di regno, durante la quale il re sconfisse una coalizione formata dai re di Pattina, Bit Adini, Karkemish e da “Hayanu, figlio di Gabbar/di Sam’al, che (vive) ai piedi dell’Amano”. Dopo questa prima menzione le fonti assire tacciono il nome di Sam’al per quasi un secolo, fino ad arrivare alla citazione del tributo fornito dal re Panamuwa II contenuta negli annali del 738 a.C. del re Tiglatpileser III (744-727 a.C.), sotto il quale si apre una seconda fase di espansione e contemporaneamente prende avvio la progressiva trasformazione degli stati vassalli in province dell’impero. Nel caso di Sam’al, il piccolo regno rimase ancora per qualche tempo in condizione di fedele stato vassallo, grazie alla sua politica remissiva nei confronti del potente avversario, al cui appoggio i sovrani potevano ricorrere per risolvere questioni interne ed esterne e per difendersi dagli attacchi dei regni vicini, che in svariati casi tentarono di impadronirsi del suo territorio. Sam’al sarà infatti tra gli ultimi regni nord-siriani ad entrare a far parte del sistema provinciale assiro, probabilmente verso il 681 a.C.; da questo momento in poi non si hanno più notizie di sovrani locali.

La città, a pianta circolare, era circondata da una doppia cinta muraria munita di torri, sulla quale si aprivano tre porte, di cui quella meridionale conduceva alla cittadella; quest’ultima era racchiusa da una cinta muraria irregolare, sul cui tratto meridionale si apriva la Porta esterna della cittadella cui seguiva una seconda porta, la Porta interna della cittadella.

Gli scavi hanno interessato la città dell’età del Ferro e si sono concentrati sull’ampia cittadella, dove furono riportati alla luce numerosi edifici palatini di un tipo molto diffuso nella Siria settentrionale probabilmente a partire dal X secolo a.C., la cui tipologia architettonica è definita con il termine bît khilāni, desunto dalle fonti reali neoassire. A partire da Tiglatpileser III, infatti, i sovrani assiri si riferiscono con il suddetto termine ad un edificio tipicamente siriano che essi avrebbero adottato in Assiria per inserirlo nei complessi palatini delle tre capitali dell’impero, ovvero Ninive, Nimrud (antica Khalkhu) e Khorsabad (Dur Sharrukin).

Il settore sud-orientale della cittadella di Sam’al è occupato dal complesso delle casematte, costruite a ridosso del muro di cinta, mentre nel settore nord-occidentale gli edifici sono incentrati su due ampie corti; la prima, la corte M, cui si accede tramite la porta Q, presenta sul suo lato nord-orientale i palazzi J e K, i più antichi esempi tra i bît khilāni presenti sull’acropoli, il primo dei quali fu costruito nella seconda metà del IX secolo a.C. probabilmente da Kilamuwa (845-820 a.C.), mentre il secondo vi fu forse aggiunto poco più tardi; nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. Bar-Rakib (732-720 a.C. circa) effettuò poi dei rifacimenti e dei restauri all’interno del palazzo K, documentati da dati epigrafici. I due edifici sono collegati da un passaggio tra le rispettive sale delle udienze e le loro facciate si susseguono senza soluzione di continuità; al palazzo K inoltre si accede tramite un’imponente scalinata e un portico formato da tre colonne dalle basi decorate con elementi vegetali e guilloches.

Sul lato nord-ovest, a ridosso del muro della cittadella, tra questo e il palazzo K, si trova l’edificio L, composto da una successione di ambienti comunicanti tra loro, la cui data di costruzione è incerta; esso doveva essere connesso in qualche modo al vicino complesso palatino, formato dai Khilāni J e K, forse con funzione di ala destinata a ospiti, verosimilmente di alto rango, vista la presenza al suo interno di stanze da letto e da bagno, nonché la sua forte vicinanza al palazzo reale. Tutti gli edifici fin qui menzionati formano il cosiddetto Complesso Nord-Occidentale.

Sulla seconda corte, denominata R, si affacciano rispettivamente il Khilāni IV sul lato nord-orientale, il Khilāni II sul lato orientale e il Khilāni III su quello occidentale, mentre a nord e a sud essa è chiusa rispettivamente dal Portico Settentrionale e dal Portico Meridionale P. Tutti questi edifici fanno parte del cosiddetto Palazzo Inferiore.

Nel settore nord-orientale, a ridosso del muro della cittadella, si trovava un altro edificio, il Khilāni I, del quale rimangono solo le fondamenta poiché alla fine dell’VIII secolo a.C. esso fu sostituito da un altro edificio, denominato Palazzo Superiore, adibito probabilmente a residenza del governatore assiro. I Khilāni I-IV sono tutti databili alla fine dell’VIII o all’inizio del VII secolo a.C., ovvero agli ultimi anni di indipendenza del regno.

Il lotto di avori fu rinvenuto durante la quinta ed ultima campagna svoltasi a Zincirli nel 1902, che portò alla scoperta del complesso palatino situato nel settore nord-occidentale dell’acropoli. I manufatti eburnei furono rinvenuti nei tre edifici costituenti il complesso stesso, il palazzo J, il palazzo K e l’edificio L, e furono successivamente trasportati al Vorderasiatisches Museum di Berlino, dove tuttora si trovano, seppure attualmente non siano visibili in quanto si trovano in un cattivo stato di conservazione e necessitano di un restauro.

Nel palazzo J gli avori furono rinvenuti in due vani, il vano J 2 dal quale provengono cinque figurine a tuttotondo di leoni, e il vano J 6, che presenta un settore lastricato in mattoni cotti ed è fornito di kline larghe circa un metro lungo le pareti della sua metà meridionale, sopra e accanto ad una delle quali furono rinvenuti gli undici frammenti in parte bruciati di un poggiapiedi decorato.

Nell’adiacente palazzo K gli avori si trovavano nella grande sala delle udienze K 2, caratterizzata dalla presenza di un focolare circolare e di un basamento rettangolare (una sorta di altare) addossato al muro nord-occidentale, nei pressi del quale fu rinvenuta la stragrande maggioranza degli intagli, tra cui due grandi volti femminili, sei frammenti di un fregio con carri e cavalli e un listello con figura maschile in stile egittizzante.

Nell’edificio L, nel vano L 5, furono rinvenuti sette pilastrini decorati con modanature e foglioline, facenti parte di un trono e, probabilmente nel medesimo vano, tre pregevoli pilastrini decorati con figure egittizzanti, anch’essi impiegati in un arredo.

Gli avori costituenti questo lotto non formano un complesso tipologico e stilistico omogeneo e molti di essi, poiché provenienti da strati di incendio, presentano un colore scuro; tutti sono piuttosto frammentari, tanto che per i frammenti più piccoli è spesso difficile comprendere non solo l’originaria funzione, ma anche, purtroppo, la tipologia.

L’analisi iconografica, stilistica e funzionale condotta su questi avori nell’ambito della tesi di laurea discussa da chi scrive nel Luglio 2003 presso l’Università “La Sapienza” di Roma, si è avvalsa di numerosi confronti effettuati con avori del I millennio rinvenuti in vari siti dell’area vicino-orientale, quali Nimrud in primis, Khorsabad, Arslan Tash, Samaria, nonché in minor parte con intagli provenienti da siti dell’area mediterranea occidentale, quali Cipro, la Grecia e l’Etruria. In alcuni casi, inoltre, si è fatto ricorso al confronto con altre classi di materiali, quali i rilievi assiri in particolare, la scultura monumentale dei vicini regni aramaici, quali Tell Halaf e Tell Ta‘ynat, e la bronzistica cipriota e greca arcaica.

Tale analisi ha permesso di formulare alcune osservazioni riguardanti in particolare tre aspetti principali, ovvero lo stile, e dunque l’appartenenza di questi intagli ad una o più tradizioni e la loro provenienza, le classi funzionali attestate, e, anche se con qualche difficoltà, la loro cronologia.

Dal punto di vista stilistico, questo lotto si configura come un gruppo eterogeneo, costituito da intagli appartenenti ad almeno due delle tre tradizioni di intaglio conosciute, ovvero quella nord-siriana, con una particolarità, come vedremo tra breve, e quella cosiddetta intermedia o sud-siriana. In particolare, alla tradizione nord-siriana appartiene la maggior parte degli avori facenti parte del lotto, quali i due volti, e parte di un braccio e di una mano appartenenti ad almeno due figure composite in avorio e altri materiali, una composizione di palme e capridi su terreno collinare, sei frammenti appartenenti a un fregio con scene di carri, un listello con figure di bovidi, un manico di flabello in forma di fiore di loto e, infine, i sette pilastrini con modanature ed elementi vegetali, per i quali spicca il confronto con le basi di colonna poste all’ingresso del Khilāni K.

Sempre alla tradizione nord-siriana possono essere ricondotti alcuni intagli caratterizzati però dalla particolarità di presentare un’iconografia assira, come è il caso di quattro testine femminili, per una figurina maschile a tuttotondo, raffigurante forse un dignitario, per due placchette raffiguranti rispettivamente un personaggio maschile e una situla, e infine per cinque placchette raffiguranti abiti maschili di foggia tipicamente assira. Questa iconografia di tipo neoassiro, sebbene attestata in non molti esemplari, ma fortemente presente anche nelle raffigurazioni poste sugli ortostati a rilievo che ornano le pareti di alcuni edifici della cittadella, è da ricondurre alla particolare situazione politica filoassira, che si riflette anche ovviamente nella cultura e nell’arte, e che caratterizza il regno di Sam’al per la maggior parte della sua esistenza, a partire dal sovrano Kilamuwa (840/835-815/810 a.C. circa) e soprattutto da Panamuwa II in poi (743 circa-732 a.C.), con il quale ha inizio il vero e proprio vassallaggio assiro.

La tradizione intermedia è invece documentata a Zincirli in particolare dai tre pilastrini con figure egittizzanti, da un listello con figura maschile anch’essa egittizzante, da cinque figurine a tuttotondo di leone, da un listello decorato con elementi floreali a cloisonné, da due testine femminili con acconciatura di tipo egittizzante e probabilmente anche da una con funzione di cariatide.

Per quanto concerne gli avori che abbiamo potuto assegnare alla tradizione nord-siriana, essi potrebbero essere stati prodotti localmente, in una bottega situata nel territorio del regno di Sam’al, o forse proprio nella sua capitale; a tal proposito è interessante notare che, dal momento che gli scavi condotti sul sito si sono concentrati, come si è visto inizialmente, esclusivamente sulla cittadella e non hanno interessato l’amplissima città bassa, si potrebbe non senza verosimiglianza ipotizzare che proprio in questo ampio settore della città, dove probabilmente erano situati i quartieri di abitazione della popolazione medio-alta, potessero essere ubicati anche quartieri di botteghe artigianali, tra le quali anche quelle specializzate nella lavorazione dell’avorio. Ciò risulta più probabile sia per gli intagli caratterizzati da elementi prettamente locali, sia, come si è visto sopra, per gli avori di tradizione nord-siriana caratterizzati da una forte impronta iconografica assira; a sostegno di questa ipotesi c’è il fatto che per entrambe le categorie sono state individuate significative corrispondenze con alcuni rilievi o sculture della stessa Zincirli.

Per alcuni avori, sempre appartenenti alla tradizione nord-siriana, possiamo supporre anche che siano stati prodotti in botteghe situate nei vicini centri della Siria settentrionale, dai quali potrebbero essere giunti a Zincirli per via di commerci, doni o anche bottini. Quest’ultimo caso riguarda invece certamente gli avori di tradizione intermedia, i quali provengono in particolare dalla Siria meridionale. L’ipotesi più verosimile, nonché suggestiva, è quella formulata da I. J. Winter, secondo la quale la presenza a Zincirli di avori di stile sud-siriano potrebbe essere spiegata attraverso un preciso avvenimento storico, quello della morte del re Panamuwa II di Sam’al, padre di Bar-Rakib e vassallo di Tiglatpileser III d’Assiria, durante una battaglia svoltasi nella campagna condotta da quest’ultimo contro Damasco nel 732; in quest’ottica, dunque, gli avori di tradizione intermedia presenti nel lotto di Zincirli rappresenterebbero la parte del bottino spettante al regno di Sam’al per aver partecipato alla campagna assira condotta in Siria meridionale.

Per quanto concerne la definizione funzionale degli intagli eburnei presi in esame, essa ha posto alcune difficoltà a causa dell’estrema frammentarietà che caratterizza molti di essi e dell’incompletezza di alcuni.

Dalla nostra analisi, che si è avvalsa di numerosi confronti con avori simili in miglior stato di conservazione rinvenuti in altri siti del Vicino Oriente, è risultata evidente una preponderanza degli elementi decorativi di mobilio, quali troni o letti, rispetto agli oggetti di apparato, quali pissidi, manici di flabelli o coppe. Questa prevalenza degli elementi di mobilio rispetto agli oggetti suntuari potrebbe tuttavia dipendere in gran parte sia dal caso dei ritrovamenti, sia dal miglior stato di conservazione in cui sono giunti fino a noi gli elementi di arredo, sia infine alla oggettiva difficoltà da parte nostra di riconoscere, in intagli troppo frammentari o in cattivo stato di conservazione, frammenti di pissidi o di altri oggetti di apparato, che certamente dovevano essere comunque presenti all’interno del palazzo di Zincirli.

Per quanto concerne dunque la classe degli elementi di mobilio, solo in un singolo caso l’attribuzione funzionale è risultata chiara e definitiva fin dal principio, ossia riguardo gli undici elementi che facevano parte di un poggiapiedi; ciò è stato possibile grazie al confronto, operato già da von Luschan, con un frammento di ortostato rinvenuto nella stessa Zincirli. Il rinvenimento di ciò che rimaneva di questo poggiapiedi nel vano J 6 del Khilāni J, identificato come un annesso alla adiacente sala da bagno J 7, data la presenza di particolari dispositivi per l’utilizzo dell’acqua e di kline disposte su tre dei suoi lati, ci ha permesso di ipotizzare che esso fosse posto in connessione proprio con queste ultime.

Riguardo gli avori conservati in buono o discreto stato, ci è stato possibile formulare ipotesi piuttosto attendibili sulla loro funzione. È questo il caso delle figurine a tuttotondo di leone, che facevano senza dubbio parte dell’ornamentazione di uno o più importanti elementi di arredo quali troni o kline situati in una delle sale di rappresentanza del Palazzo J, ovvero il vano J 2; nel primo caso esse potevano decorare i braccioli o altre parti di uno o più troni, in conformità con la proposta avanzata da J. W. e J. M. Crowfoot riguardo i leoni eburnei di Samaria, mentre nel secondo caso queste figurine dovevano sorreggere i montanti di kline, come si è ipotizzato sulla base del confronto con i leoni che fanno parte dell’ornamentazione del sontuoso letto di Assurbanipal nel famoso rilievo del banchetto proveniente dal Palazzo Nord di Ninive. Per un frammento di zampa leonina è stato invece possibile stabilire l’appartenenza ad un tavolo con zampe di leone curvate ad S, grazie al confronto sia con alcune raffigurazioni di tavoli di tal foggia, quali in particolare quello raffigurato sul sarcofago di Ahiram, sia con zampe simili provenienti da Nimrud e Salamina.

I pilastrini decorati con modanature ed elementi vegetali svolgevano una funzione strutturale e decorativa all’interno di un trono, realizzato in tutto o in parte in avorio; la maggior parte di questi elementi fungeva da sostegni verticali del trono, mentre ci è conservato un solo esemplare degli elementi trasversali. Una funzione decorativa, ma anche strutturale, era rivestita all’interno di uno o più arredi anche dai tre pregevoli pilastrini con figure egittizzanti, per i quali è possibile ipotizzare l’appartenenza a troni o divani, dei quali potevano decorare a due a due i braccioli, vista anche la diversità stilistica riscontrata per uno dei tre pilastrini rispetto agli altri due. La composizione a giorno di palme e capridi su terreno collinare, seppure frammentaria e smembrata, avrebbe potuto verosimilmente costituire parte dello schienale di una sedia o della testata di un letto.

Per altri intagli è stato possibile comprendere soltanto l’appartenenza ad elementi di arredo, senza purtroppo poter avanzare alcuna ipotesi sul tipo di arredo in cui erano inseriti: è il caso delle testine femminili, delle figurine, delle figure composite, delle placchette con scene di carri, del listello con figura maschile egittizzante e dei due listelli decorati rispettivamente con bovidi passanti ed elementi floreali, e infine di sette placchette con decoro geometrico.

Per i numerosi intagli ridotti a poco più che frammenti, infine, quali otto testine a tuttotondo raffiguranti capridi, tori e animali fantastici, tre placchette con capigliature femminili e altrettante con elementi vegetali, non è stato possibile purtroppo formulare alcuna ipotesi attendibile sulla loro originaria funzione, in quanto troppo frammentarie e precarie erano le loro condizioni di conservazione.

Riguardo la seconda classe funzionale attestata a Zincirli, ovvero quella degli oggetti di apparato, seppure con le riserve espresse sopra, essa è rappresentata da pochi esemplari; ci è stato infatti possibile riconoscere soltanto un manico di flabello in forma di fiore di loto, un elemento floreale posto a decorare il manico di una coppa, due frammenti con figure di giovani e altrettanti frammenti con figure animali che potrebbero forse aver fatto parte di pissidi.

L’attribuzione cronologica del lotto di avori di Zincirli ha presentato non poche difficoltà, dovute in massima parte agli scarsi, se non inesistenti, dati di tipo stratigrafico sul contesto di ritrovamento degli avori, lacuna dovuta all’epoca, e dunque alle metodologie, in cui fu effettuata l’esplorazione sul sito dell’antica Sam’al. Tuttavia, nonostante questi avversi fattori, è stato possibile, grazie ad alcuni dati cronologici forniti da materiali rinvenuti nel medesimo contesto e all’analisi iconografica e stilistica condotta sugli avori, stabilire almeno il periodo cronologico in cui si situano e fornire, purtroppo solo per alcuni tra quelli presi in esame, una proposta di datazione più precisa.

Per il complesso composto dagli edifici J, K e L, nel quale sono stati rinvenuti i nostri avori, è possibile fornire solo pochi dati cronologici certi, ovvero il terminus post quem per la sua distruzione, fornito da una tavoletta cuneiforme (inv. S 3566) datata al 676 a.C., rinvenuta nello strato di incendio del vano J 2 del Palazzo J, distruzione avvenuta, in accordo con l’opinione espressa da G. Lehmann, tra il 676 e il 671 a.C., e il fatto che gli edifici K e J, posti in comunicazione fra di loro tramite un passaggio aperto tra i vani K 2 e J 3, se non anche l’edificio L, erano in uso contemporaneamente, almeno all’inizio del VII secolo a.C., quando avvenne la distruzione; pertanto il termine basso per la presenza dei nostri avori all’interno di questi edifici è fissato all’inizio del secondo quarto del VII secolo a.C. Inoltre, l’attribuzione pressoché certa della costruzione del Khilāni J a Kilamuwa e il rinvenimento della sua stele commemorativa all’ingresso del vano J 1, nonché, poco distante da essa, nello strato d’incendio, di un oggetto in oro, forse il fodero di uno scettro, recante un’iscrizione aramaica con i nomi dello stesso Kilamuwa e di suo padre Khaya, fornisce un termine alto per almeno una parte dei nostri avori, la cui presenza all’interno del Khilāni J è attestata dunque a partire dalla seconda metà del IX secolo a.C.

Gli avori rinvenuti all’interno dei Khilāni J e K, dunque, indipendentemente dalla data di costruzione del Palazzo K, sia che esso sia stato edificato nella seconda metà del IX secolo o poco più di un secolo più tardi, dal momento che i due khilāni erano certamente in uso contemporaneamente al momento della loro distruzione, si collocano tra l’840 circa e il 671/670 a.C. e non possono pertanto essere datati solo sulla base del luogo di ritrovamento; è infatti molto verosimile che avori più antichi e avori più recenti si siano mescolati tra loro durante il periodo di contemporanea fruizione dei due edifici, rendendo così più difficile la loro datazione.

Inoltre, mentre il termine basso rimane certo, visto che dopo la distruzione il complesso non venne più riedificato e utilizzato, il termine alto potrebbe essere elevato ulteriormente di una cinquantina di anni, visto che, particolarmente nel caso di avori provenienti da regni vicini a Sama’l, essi potrebbero essere stati prodotti già da diversi anni al momento in cui giunsero a Zincirli in forma di dono o bottino.

Una datazione più precisa per gli avori facenti parte del lotto di Sam’al nell’ambito di questo lungo periodo, che va grossomodo dalla seconda metà del IX secolo a.C., forse con alcuni esemplari di poco più antichi, all’inizio del secondo quarto del VII secolo a.C., si è dunque basata soltanto sull’ analisi iconografica e stilistica condotta su di essi. Quest’ultima, tuttavia, ha potuto fornire dei risultati attendibili soltanto per quegli avori giunti fino a noi in stato di conservazione sufficientemente buono e, in rari casi, per alcuni intagli frammentari recanti tuttavia ancora tratti stilistici ben riconoscibili.

Una datazione alta, alla seconda metà del IX secolo a.C., può essere attribuita con molta verosimiglianza ai pilastrini decorati con modanature ed elementi vegetali, per i quali è stato decisivo il confronto con le basi di colonna in pietra poste in cima alla scalinata del Khilāni K, la cui costruzione risale con estrema probabilità a Kilamuwa; sebbene non sia stato ancora del tutto sciolto il dubbio che questo edificio possa risalire a Bar-Rakib, sembra tuttavia un fatto assodato che le basi di colonna con corona di foglie siano caratterizzate da una tipologia stilistica più antica rispetto a quelle che ornano i Khilāni III e IV, la cui costruzione è invece attribuita con certezza proprio a questo sovrano dalla presenza di iscrizioni di fondazione.

Ancora alla seconda metà del IX secolo a.C. devono essere datate le placchette che costituivano un fregio raffigurante scene di guerra o di caccia condotta su carri, per le quali, sulla base del confronto operato con pannelli simili, tra cui uno in particolare proveniente dal Forte Salmanassar di Nimrud, e la ben più elaborata scena raffigurata su un pannello proveniente dal vano SW 7 del Forte Salmanassar, abbiamo riscontrato una semplicità e arcaicità di stile che fa propendere per una datazione piuttosto alta.

Propendiamo invece per assegnare una datazione più tarda, precisamente tra la seconda metà dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C., agli avori che abbiamo definito di tradizione nord-siriana ma con iconografia assira, per la maggior parte dei quali sono state riscontrate significative corrispondenze nelle raffigurazioni poste su alcuni ortostati a rilievo attribuiti con certezza all’attività di Bar-Rakib.

Infine, per quanto concerne il gruppo di intagli di tradizione intermedia, possiamo senz’altro stabilire un terminus post quem, fissato al 732 a.C., ammesso che l’ipotesi sulle circostanze in cui essi pervennero a Sam’al siano confermate; è purtroppo però estremamente difficile andare oltre questo dato e stabilire per questi avori una datazione più precisa nell’ambito del periodo così delimitato, ovvero tra il IX e il terzo quarto dell’VIII secolo a.C..

Il rinvenimento della stragrande maggioranza degli avori in un contesto palatino, quale per l’appunto l’insieme composto dai Khilāni J e K, situati all’interno del cosiddetto Complesso nord-occidentale dell’acropoli, rende certa la loro fruizione in ambito regale come elementi decorativi di arredi di pregio e probabilmente, sebbene in minor misura, come oggetti santuari.

Ciò risulta evidente dalla constatazione che la maggior parte degli intagli eburnei fu rinvenuta in due delle sale di rappresentanza dei rispettivi palazzi J e K, ovvero i vani K 2 e J 2, i quali, al momento della distruzione, come si è visto sopra, erano in uso contemporaneamente.

Vi sono però in proposito alcune eccezioni, costituite principalmente dagli elementi di poggiapiedi, rinvenuti nel vano J 6, identificato con una sala da bagno, e gli elementi di trono con modanature ed elementi vegetali, rinvenuti, insieme con i pilastrini con figure egittizzanti facenti parte anch’essi di un elemento di arredo, gli uni nel vano L 5 dell’Edificio L, gli altri in un non specificato vano del medesimo edificio, sulla cui funzione però non si è ancora raggiunto un giudizio definitivo; da parte nostra abbiamo ipotizzato che ad una originaria funzione di ala destinata ad ospiti di alto rango, vista la presenza al suo interno di stanze da letto e da bagno, nonché la forte vicinanza al palazzo reale, l’edificio abbia successivamente assunto quella di magazzino; una tale ipotesi potrebbe fornire una ragione plausibile alla altrimenti difficilmente spiegabile presenza di così pregiati arredi, quali appunto un trono e un altro mobile, forse anch’esso un trono oppure un letto, all’interno di una sorta di “albergo”, seppure destinato, come crediamo, a personaggi di alto lignaggio.

Dal punto di vista artistico, è risultata evidente una netta preponderanza dello stile e delle iconografie locali, tipiche della regione siriana nord-occidentale, con alcune incursioni di elementi neoassiri ed egittizzanti dovute, come crediamo, in un caso alla forte vicinanza politica e culturale del regno aramaico di Sam’al all’impero assiro, soprattutto a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C., nell’altro ad un preciso avvenimento storico, ovvero alla partecipazione di Panamuwa II alla campagna assira condotta in Siria meridionale da Tiglatpileser III, durante la quale il sovrano di Sam’al trovò la morte.

In ogni caso, la presenza di un lotto di avori di una certa rilevanza artistica, sebbene non cospicuo e non ottimamente conservato probabilmente a causa sia delle arcaiche metodologie di scavo, sia del caso dei ritrovamenti, all’interno del palazzo reale situato sulla cittadella del regno aramaico di Sam’al, riveste certamente un importante significato culturale e ideologico, connesso alla indubbia preziosità del materiale, che ha rappresentato, fin dall’inizio del III millennio a.C., potenza e ricchezza per coloro che lo hanno posseduto e conseguentemente ostentato.

Bibliografia:

Akurgal, E.,1949, Späthethitische Bildkunst, Ankara.
Amadasi, M.G., 1965, L’iconografia del carro da guerra in Siria-Palestina (Studi Semitici 17), Roma.
Andrae, W. – von Luschan, F., 1943, Ausgrabungen in Sendschirli, V. Die Kleinfunde (Mitteilungen Orientalischen Sammlungen XV), Berlin.
Barnett, R., 1975, A Catalogue of the Nimrud Ivories with Other Examples of Ancient Near Eastern Ivories in the British Museum (2º edition revised and enlarged), London.
Barnett, R., 1982, Ancient Ivories in the Middle East and Adjacent Countries (Qedem 14), Jerusalem.
Decamps de Mertzenfeld, C., 1954, Inventaire commenté des ivoires phéniciens et apparentés découverts dans le Proche-Orient , Paris.
Herrmann, G., 1996, Ivory Furniture Pieces from Nimrud. North Syrian Evidence for a Regional Tradition of Furniture Manufacture, in G. Herrmann (ed.), The Furniture of Western Asia Ancient and Traditional, Papers of the Conference Held at the Institute of Archaeology, University College London, 29 to 30, 1993, Mainz, pp. 153-165.
Mallowan, M.E.L. – Herrmann, G., 1974, Furniture from SW.7 Fort Shalmaneser (Ivories from Nimrud III), London.
Salviat, F., 1962, Lions d’ivoire orientaux à Thasos, in Bulletin de Correspondance Hellénique 86, pp. 95-116. Symington, D., 1996, Hittite and Neo-Hittite Furniture, Part II: The Neo-Hittite Period, in G. Herrmann (ed.), The Furniture of Western Asia ancient and traditional, Papers of the Conference held at the Institute of Archaeology, University College London, 29 to 30, 1993, Mainz, pp. 128-138.
Winter, I. J., 1973, North Syria in the Early First Millennium B. C., with Special References to Ivory Carving , (Ph. D. Columbia University), New York.
Winter, I. J., 1981, Is there a South Syrian Style of Ivory Carving in the Early First Millennium B.C.?, in Iraq 43, pp. 101-130.

Autore: Isabella Rosa
Cronologia: Arch. Partico-Sasanide

Segnala la tua notizia