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FANO (Pu): Una storia intricata. Il processo per colpa di Lisippo. Nessuno lo voleva, così finì a Gubbio.

Gli atti del processo contro i primi acquirenti. Nei guai era finito anche un sacerdote. Dopo essere stata offerta ai benestanti della città, la statua venne comprata per tre milioni di lire. Quindi rivenduta a Milano per quattro.

Il segreto è nei fondali
Lisippo, Atleta di Fano, Getty Bronze, Victorious Youth, sono i vari nomi con cui è conosciuta la statua di bronzo ritrovata nel Mare Adriatico da due pescherecci fanesi nel 1964 ed ora finita al Getty Museum di Malibu. La statua è uno dei pochissimi originali attribuibili al grande scultore greco Lisippo (IV sec. a.C.) che fu il ritrattista ufficiale di Alessandro Magno. Quando fu ripescate era incrostata e quasi senza forme. Sulle concrezioni che la ricoprivano si è aperto un vivace dibattito. Per alcuni dimostrerebbero che è stata pescata in acque al di fuori della giurisdizione italiana.

La vicenda del Lisippo di Fano è singolare, non solo per l’eccezionalità del ritrovamento che caso, più unico che raro, ha permesso di recuperare un originale greco attribuito a uno dei più grandi scultori dell’antichità, Lisippo, appunto, attivo alla corte di Alessandro Magno, ma perché l’unica azione giudiziaria che è stata intentata contro coloro che contribuirono a fare sparire la statua nei meandri del commercio sommerso, non fu intentata a carico degli autori della scoperta, ma contro i primi acquirenti che, alla fine di un iter processuale piuttosto lungo e laborioso furono alternativamente assolti, condannati e poi di nuovo assolti dei reati loro addebitatigli. Sulla statua dell’ atleta che si incorona, si sono dette tante cose, organizzati dibatti e scritte pubblicazioni, ma degli atti del processo, che tuttavia contengono notizie inedite e curiose, non s ‘è mai detto nulla.

A conservare il voluminoso incartamento è lo studioso Alberto Berardi che fin dai tempi in cui la vicenda divenne di dominio pubblico e più ancora della sua gestione dell’assessorato alla cultura della Provincia di Pesaro-Urbino, si impegnò per fare tornare in Italia il capolavoro.

Implicati nella vicenda all’epoca (era il 1966), risultarono Pietro, Fabio e Giacomo Barbetti di Gubbio, oltre a un sacerdote, un certo Giovanni Nagni (o Narni, o Nardi).

Gli atti del processo che si svolse di fronte al tribunale di Perugia, narrano che “Giacomo Barbetti, cugino di Pietro e Fabio, essendo venuto a conoscenza della possibilità di acquistare la statua, ne fece parola a Pietro che, insieme., al dottor Menichetti, si era recato a Fano e aveva concluso l’affare”.

Dopo qualche reticenza, il Barbetti si era deciso ad ammettere quanto veniva loro addebitato, asserendo di essersi limitato a prestare al cugino Giacomo, circa tre milioni di lire, occorrente per l’acquisto. Quest’ultimo, che effettivamente era stato l’acquirente del pezzo, che aveva lascito in custodia per qualche giorno presso il Nagni, l’aveva rivenduto a uno “sconosciuto” di Milano per quattro milioni di lire. In fase di dibattimento Pietro Barbetti, rinviato a giudizio insieme al Nagni, confermò di essersi recato a Fano con il Menichetti per visionare la statua e lì aver appreso che essa era stata rinvenuta in acque iugoslave; particolare non secondario, in quanto influente nella prosecuzione del processo.

Ma la notizia di un così eccezionale rinvenimento non poteva essere tenuta segreta a lungo. Già, come ebbe da riscontrare negli anni successivi Berardi, a Fano furono in diversi che poterono vedere la statua, dato che essa fu offerta a non pochi benestanti della città; ma anche a Gubbio, dopo che l’affare fu concluso dai marinai fanesi con il Barbetti, la voce del suo valore rimbalzò di bocca in bocca, fino a diventare di dominio pubblico. Di fronte al tribunale, Berbetti precisò che “in Gubbio si era sparsa la voce della conclusione dell’affare e pertanto di propria iniziativa ne aveva parlato con il commissario della Questura di Perugia, intendendo così porre termine a tutte le dicerie correnti sul grande valore dell’oggetto, che era risultato invece – è sempre il Barbetti che parla – di scarso pregio, tanto che nessun competente si era offerto di comprarla”.

Evidentemente nemmeno questi primi compratori si erano resi conto dell’effettivo valore della statua che qualche anno più tardi avrebbe raggiunto cifre miliardarie.

Dunque giunta a Gubbio, la statua fu nascosta per qualche tempo nella canonica di Don Giovanni Nagni, canonica che fu visitata da diverse persone, alcune delle quali addirittura considerarono l’opera d’arte un falso. L’aspetto della statua, infatti, non doveva sembrare tra i più seducenti, coperta com’era dalle incrostazioni calcaree che le si erano depositate addosso nei secoli di permanenza in acqua. Un potenziale cliente la giudicò “uno dei pezzi fabbricati in serie nelle acciaierie di Terni”. Nel maggio del ‘ 65, seccato dal continuo andirivieni, il sacerdote aveva pregato il Barbetti di riprendersi la statua, richiesta che fu subito accolta. In questa prima fase del processo il Pm chiese per gli imputati 10 mesi di reclusione e 200.000 lire di multa; la difesa l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

Alla fine il giudice sentenziò l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove; ma la vicenda non finisce qui.

Le tappe della vicenda
Il nodo del contendere. Una statua del IV secolo a.C. attribuita a Lisippo. Si tratterebbe dell’unica opera certa dello scultore greco.

Il ritrovamento. Nel 1964 l’opera d’arte venne recuperata da un peschereccio fanese, il “Ferri-Ferruccio”.

Il passo falso. Il prezioso ritrovamento non fu mai denunciato alla sovrintendenza, come prevedeva e prevede tuttora le legge. La statua fu rivenduta per tre milioni di lire.

L’Odissea. La statua dopo essere sbarcata nel porto di Fano ha preso vie traverse che sono passate per l’Umbria e per l’Europa centrale. Poi da Londra il salto oltre l’Atlantico.

L’acquisto scottante. La statua del Lisippo è stata acquistata dal “Paul Getty museum” nel novembre 1977 per 3.900.000 dollari. Un acquisto illegale, visto che i responsabili della struttura museale americana sapevano della provenienza illecita dell’opera d’arte.

All’ombra di un magazzino. La statua della discordia è chiusa in un magazzino del museo californiano che non ne vuol sapere di restituire il Lisippo all’Italia.

In campo. Il primo a riproporre la questione è stato il consigliere regionale Giancarlo D’Anna che. in vacanza a Malibù, non ha potuto vedere te statua perché imballata e riposta nel magazzino del museo. L’onorevole Vittorio Sgarbi ha parlato di “doppia beffa” e ha invitato il governo a intervenire per ottenere la restituzione. Il presidente della Provincia Ucchielli ha scritto a Berlusconi. Il vicepresidente del gruppo parlamentare della Margherita Lusetti ha rivolto un’interrogazione in Parlamento.

Fonte: Corriere Adriatico 28/09/2005
Autore: Massimo Foghetti

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