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BOVA MARINA (Rc). Quelle quattro ciclopiche figure sulla rupe.

Lo studioso Angelo Labrini ha condotto un’interessante ricerca, sulla base di considerazioni filologiche, geografiche e storiche, che potrebbe aprire nuovi orizzonti. Eccola.
Capo S. Giovanni 1Pareidolia o Archeoscoop? Sulla rupe del promontorio di Capo S. Giovanni di Bova Marina, sul lato del costone roccioso prospiciente la rada, appaiono quattro ciclopiche figure dalle sembianze zoomorge.
La prima impressione potrebbe indurre l’osservatore a ritenere che ciò sia un’illusione subcosciente, come quando osservando le nuvole tendiamo a ricondurre le mutevoli forme ad altre a noi note, definita in psicologia come pareidolia. Ma una più attenta osservazione, che tenga presente lo stravolgimento del luogo sottoposto all’erosione millenaria del tempo, consente di distinguere tra queste zoomorfe figure rupestri tre teste di leone e un uccello rapace. In particolare, la figura centrale, più grande rispetto alle altre, domina il mare prospiciente e rivolge il suo sguardo verso ovest, in direzione dell’Etna. La seconda testa di leone, più piccola rispetto a quella centrale, sostiene da “involontaria metopa” la curva (a spigolo) della strada Reggio-Taranto. La terza testa di leone di profilo da questa visuale, alla sinistra dello stesso osservatore, seminascosta da una rigogliosa macchia mediterranea, volge il suo sguardo, oltre le montagne, verso Nord. Infine, alla destra di quest’ultima si distingue un uccello (un rapace?) di cui risultano ancora ben visibili i contorni.
P1040588Il “navigravum Scylaceum“, narrato da Virgilio nei versi 551-554 del terzo libro dell’Eneide, individuerebbe questo sito proprio nelle scogliere sottostanti il promontorio di Capo San Giovanni e non, come ritenuto dai traduttori e dagli archeologi, nella più nota Scylletium/Scolacium (l’odierna Roccelletta di Borgia, in provincia di Catanzaro, nei pressi di Squillace da cui prende il nome l’omonimo golfo). In questi versi il Poeta narra che l’eroe troiano, navigando dal golfo di Taranto fino alla terra dei Ciclopi, dopo aver, avvistato, in successione, il tempio della divina Lacinia e le rocche di Caulonia, incrocia (evidentemente più a sud) il “navifragum Scylaceum” dal quale, oltre il flutto, sorge “il trinacrio Etna”.
Queste quattro ciclopiche figure zoomorfe, nonostante siano visibili dal mare sono ignorate dagli archeologi e di esse non si rinviene alcuna menzione nella storiografia di quel territorio.
Ove venga accertato che trattasi di opere realizzate dall’uomo (in epoca protostorica o successiva?), per quale scopo sarebbero state realizzate?
Una possibile risposta è rinvenibile nei versi dell’Eneide, dove quel periglioso tratto di mare denominato “navifragum Scylaceum” era già noto al tempo di Virgilio che lo mentiona dopo Caulonisque arces.
Quale simbolo poteva meglio rappresentare per gli antichi naviganti la situazione di latente pericolo in agguato nello specchio d’acqua sottostante il promontorio?
In un’epoca in cui, senza carte nautiche e strumenti di localizzazione, si navigava di giorno lungo la costa, la vista delle tre teste di leone (hinc sunt leones), diversamente orientate, doveva sicuramente indurre il nocchiere giunto con il suo scafo in prossimità del promontorio, all’epoca a picco sul mare, a doppiarlo con molta attenzione.
bova aOltre alla segnalazione del pericolo le figure zoomorfe, come dovevano originariamente apparire, avrebbero fornito ai navigante anche precise indicazioni per la rotta da seguire secondo la loro destinazione.
Il leone centrale guarda verso ovest e seguendo quella direzione Enea giunse nella terra dei Ciclopi; la testa del leone più piccola, che sostiene la curva del vecchio tracciato della S.s. 106, guarda verso oriente; l’ultima, seminascosta dalla vegetazione, indica il nord e al suo fianco il volatile (un falco?) sembra fornire una ulteriore indicazione; forse la breve distanza (a volo d’uccello) che seguendo quella direzione, oltre le montagne, avrebbe condotto a Reggio.
Ulteriore argomento a favore della controversa localizzazione del “navifragum Scylaceum” è il toponimo Scyle rinvenibile nella Tabula Peutingeriana, ubicato tra Reggio (dopo Leucopetra) e Locri, proprio in prossimità dell’attuale Bova Marina.
L’ultima considerazioneè di natura religiosa: lo straordinario panorama che si gode dalla cima del promontorio, dove nel 1965 è stata posta la statua bronzea della Madonna del mare attigua ad una chiesetta intitolata alla stessa Vergine, ed i ritrovamenti di resti di edifici di culto, anche pre-cristiani e giudaici, lungo la vallata del San Pasquale ed alla foce del torrente Klimi, supportano il pensiero secondo cui questo sito, forse anche dall’epoca protostorica, fosse adibito al culto.

Autore: Angelo Labrini labrini.angelo@virgilio.it

Fonte: Gazzetta del Sud, 22 giu 2013

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