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BORGIO VEREZZI (Sv). Manufatti Litici del Castelliere di Verezzi.

9337-23
Il Castelliere di Verezzi è un insediamento fortificato di altura, datato all’Età del Ferro (che, in Liguria, si sviluppò fra il 900 ed il 180 a.C.), sito presso l’abitato di Crosa, nel territorio del Comune di Borgio Verezzi (Provincia di Savona).
Si estende su un rilievo (351 m.s.l.m.; Coordinate: 44°10’20, 964″ N; 8°18’34, 812″ E ) situato sul versante sud occidentale di una valletta fossile e sospesa, ricca di terre rosse, a causa dei noti fenomeni carsici presenti in tutto il territorio Finalese (Foto1). Il versante nord orientale di detta valle fossile, costituisce, invece, parte del penepiano e del crinale che si continuano con la Caprazzoppa e con l’Orera.
La zona, attualmente ricca di vegetazione, è situata a breve distanza da altre strutture di interesse archeologico ed archeoastronomico, come i Menhir di Torre di Bastia, l’Arma della Crosa, il Dolmen ed il Recinto in Pietra della Caprazzoppa, descritti in precedenza da Codebò et al. (1), (2), (3), (5).
La presenza di popolazioni rurali che si aggregarono anticamente in questa sede elevata (per il loro sostentamento, per la loro difesa da aggressioni esterne, dai saccheggi, dai furti, soprattutto di bestiame), si estendeva su un’area molto più vasta, rispetto al solo Colle fortificato trattato nel presente lavoro.
Le strutture megalitiche esterne al Castelliere potrebbero, inoltre, essere interpretate come luoghi adibiti al culto delle divinità e/o dei defunti (2), (3) e ciò potrebbe essere suggestivo di una frequentazione antropica del sito antecedente l’Età del Ferro.
La realizzazione di strutture megalitiche, come Menhir e Dolmen, viene collocata, infatti, in un arco di tempo che va dalla fine del V millennio alla fine del III millennio a.C.: corrispondente, all’incirca, ad un periodo compreso fra il Neolitico e l’Età del Bronzo.
Del Castelliere rimangono, attualmente, i ruderi delle mura difensive sviluppantesi sul colle: dal fondo della valle, fino alla sommità del rilievo, che seguono l’andamento del terreno, con una pianta grossolanamente trapezoidale.
Si possono riconoscere 3 cinte murarie principali concentriche, separate fra loro da ripiani e terrazzamenti di circa 7 metri, ospitanti i recinti in pietra attribuibili, in parte a basamenti di capanne (ricoveri, cioè, costruiti probabilmente con materiali deperibili come il legno per le pareti e la paglia per il tetto), in parte a recinzioni per il ricovero del bestiame (soprattutto ovini e suini) .
La tecnica di costruzione dei muri di cinta del Castelliere richiama anch’essa il modello megalitico: i grossi massi di pietra locale, sono accostati e sovrapposti e gli spazi lasciati liberi, fra un masso e l’altro, sono riempiti, talvolta, con pietre più piccole e terriccio.
La sommità del colle è difesa da un poderoso muro in pietra alto circa 2, 5 metri ed il lato occidentale del rilievo è strapiombante e costituisce una sorta di difesa naturale .
Tale parte sommitale poteva anche fungere da zona di avvistamento, dato l’ampio campo di osservazione che, dal mare (con l’Isola Gallinara) e dalla costa, spazia ampiamente verso l’entroterra.
Nel perimetro del Castelliere, verso la vetta, si possono individuare alcuni manufatti litici molto ben conservati con presenza di coppelle e di profondi solchi, canalette ed incisure .
I manufatti osservati potevano essere utilizzati come mortai per la macinazione di cereali e/o legumi, onde ottenere farine alimentari, oppure come vaschette di raccolta di acqua per l’abbeveramento degli animali ivi presenti. Un’ultima funzione potrebbe anche essere quella di raccogliere il sangue di detti animali dopo la loro uccisione, sia a scopo alimentare che sacrificale.
Ho documentato anche la presenza di una figura riconducibile ad un cruciforme rilevato su un frammento di stele .
La datazione dei reperti descritti costituisce un problema di difficile soluzione, in quanto i petroglifi si trovano in un luogo “aperto”, facilmente modificabile da fattori meteorici ed umani.
Con ogni probabilità, inoltre, il Castelliere è stato abitato anche in epoche successive a quelle precedentemente considerate come anche gli altri Castellieri Finalesi della Rocca di Perti e di S. Antonino (4).
La nettezza e la profondità delle incisioni sui reperti litici, fa pensare, comunque, che siano state ottenute con utensili metallici e ciò sarebbe in accordo con la datazione del sito all’Età del Ferro.
Il cruciforme potrebbe essere, invece, un segno di cristianizzazione (1) e, quindi, essere considerato di epoca meno remota: ciò confermerebbe una frequentazione del sito in periodo romano, medievale e, forse anche più recente, con finalità anche differenti da quelle riferibili ad un puro rifugio difensivo, come, ad esempio, quella di una località dedicata allo sfruttamento agricolo.
Sarebbe dunque auspicabile uno studio del complesso archeologico in esame rivolto a chiarire i numerosi quesiti che pone, sia riguardo alla datazione dei reperti, ma anche alla cultura ed all’origine delle popolazioni da cui scaturirono tali manifestazioni che noi, oggi, definiamo “di interesse archeologico”, su cui possiamo, allo stato attuale delle conscenze, fare solo valutazioni ipotetiche.

Bibliografia:
1) CODEBÒ M., Archaeo-astronomical hypotheses on some ligurian engravings “Proceeding NEWS95 – INTERNATIONAL ROCK ART CONGRESS, North East West South 1995, Tourin, Italy, by Ce.S.M.A.P.&I.F.R.A.O., Survey supplement 1999, Pinerolo, Italy”.
2) CODEBÒ M. 1993. I menhir di Torre Bastia. Notiziario C.A.I., Sez. Ligure, Sottosez. Bolzaneto, 11: 30-31.
3) CODEBÒ M.1994, I Primi Passi di un Archeostronomo. Bollettino dell’Osservatorio Astronomico di Genova, n.66, Genova, pp. 12-20.
4) PIRONDINI A. 2010. Osservazioni su un sito di interesse archeologico nei pressi del Castelliere delle Anime (Rocca di Perti – Finale Ligure). TRACCE Online Rock Art Bulletin – http://www.rupestre.net/tracce_php/modules.php?name=News&file=article&sid=43
5) TIZZONI M. 1975. Incisioni all’aperto nel Finalese, Liguria. Bollettino del Centro Camuno Studi Preistorici, 12, Capodiponte (Brescia).

Autore: Alfredo Pirondini

Fonte: http://archeoblog.net, 28/10/2010

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