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BERLINO (D). Riemerge la porta dei Vichinghi.

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L’han cercata in lungo e in largo per un secolo. Poi, quando hanno intuito di averla trovata, sono rimasti beffati: un vecchio ristorante in declino ne ostruiva l’accesso. Gli archeologi tedeschi e i loro colleghi danesi, però, non si sono persi d’animo: hanno atteso pazienti che il ristorante «Café Truberg» fallisse, hanno chiesto a quel punto al novantasettenne danese Arnold Mærsk, proprietario della più grande società di container navali al mondo, di comprarlo e infine l’hanno abbattuto. È così che, alle sue spalle, hanno riportato alla luce l’unica porta di accesso al regno dei Vichinghi.

La Wiglesdor non è altro che un varco ampio sei metri nel Danewerk, l’imponente fortificazione costruita dai Vichinghi a partire dall’VIII secolo nell’odierno Schleswig-Holstein (la regione tedesca che confina con la Danimarca) per difendersi dai Sassoni e dagli Slavi.

Un vallo di 30 chilometri in tutto, molti meno dei 550 del limes germanico, ma decisivi dal punto di vista strategico: il Danewerk, eretto tra la città di Hollingstedt, sul fiume Treene, e la località commerciale di Haithabu (o Hedeby), sul Mar Baltico, rappresentava una sorta di cerniera tra i territori vichinghi, a Nord, e l’Europa carolingia, a Sud. Una cerniera che poteva essere aperta in un solo punto: presso la Wiglesdor.
«Abbiamo scavato lungo il muro di fortificazione e, a un certo punto, abbiamo scoperto un’interruzione, un passaggio lasciato aperto intenzionalmente», spiega al telefono Martin Segschneider, l’archeologo che ha coordinato i lavori. «La dimensione storica della scoperta è enorme: questa porta è qualcosa di unico, non ce n’è un’altra simile», aggiunge.

Per secoli la Wiglesdor ha rappresentato il punto di passaggio obbligato per gli eserciti che volessero avventurarsi in Scandinavia o scendere nell’Europa continentale. E non solo: la porta venne infatti costruita nel punto di intersezione tra il Danewerk e la Ochsenweg («via dei buoi»), la più importante arteria commerciale dell’epoca in questa zona, «una sorta di autostrada dell’epoca vichinga», come la definisce Segschneider.

Controllare questo punto equivaleva di fatto a controllare i commerci di materie e oggetti preziosi, dall’oro alle pelli di orso: oltre a essere un popolo di temuti saccheggiatori, i Vichinghi erano anche abili commercianti, capaci di spingersi con le loro rapide navi fino all’Europa meridionale, alla Russia e all’Islanda. I traffici vertevano intorno alla città di Haithabu: qui i carichi delle navi in arrivo dal Mar Baltico venivano trasferiti su alcuni carri e trasportati fino al fiume Treene, da dove proseguivano il viaggio verso il Mare del Nord.

Il Danewerk, un muro di pietra ampio tre metri, serviva insomma anche a proteggere i commerci.

«Per i danesi rappresenta un monumento nazionale», ricorda Segschneider. Un monumento danese, su territorio tedesco, però: la storia del vallo, del resto, è controversa. Rafforzato a più riprese nel corso dei secoli, venne dapprima abbandonato, intorno al 1200; nel XIX secolo, in occasione delle guerre per il controllo dello Schleswig, venne però riscoperto dai danesi. Durante la Seconda guerra mondiale, inoltre, i tedeschi pensarono di far stazionare qui dei panzer per bloccare un’eventuale invasione alleata da Nord.

Oggi di quest’opera – il più grande monumento archeologico nell’Europa settentrionale – resta in piedi un tratto lungo 26 chilometri e alto fino a sei metri, che in un futuro non troppo lontano potrebbe entrare, insieme col vecchio centro commerciale vichingo di Haithabu, nella lista Unesco dei patrimoni mondiali dell’umanità.

Lungo il Danewerk, intanto, gli scavi continuano: gli archeologi sperano di ritrovare resti di legno della porta o del selciato dell’antica strada commerciale.

Autore: Alessandro Alviani.

Fonte: La Stampa, 01/09/2010

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