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BENEVENTO. Salviamo e valorizziamo il Parco archeologico di Cellarulo, la storia violata.

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Il nome deriva dal latino “Cellarium”, parola con cui si indicava uno spazio adibito a magazzino, nel caso di specie ad un ambiente dedito allo stivaggio di merci. Parliamo di Cellarulo, la “città perduta” di Benevento, una delle zone più sofferte del capoluogo sannita: dagli scavi archeologici alle alluvioni, la storia di un patrimonio dimenticato, che attende di essere salvato e valorizzato.
Nel 1990 a Benevento, precisamente in contrada Cellarulo, area molto vicina al centro storico, ebbero inizio i lavori di costruzione per una nuova tangenziale. In essa, le fonti storiche sono diverse ed indicano un’area urbana o suburbana, caratterizzata dalla presenza di impianti per la produzione della ceramica. Lavori, poi, che vennero sospesi per il ritrovamento di reperti, dovendosi verificare cosa nascondeva questa porzione di città. Inizialmente, l’ipotesi più accreditata era di un sito per la produzione della ceramica, soprattutto per la presenza di materiale specifico, rinvenuto anche in altre occasioni ed il cui tipo è riconducibile ad un’olla dall’orlo svasato e curvilineo,
Quello che emerse dai primi sbancamenti, creò lo spunto per proporre la costruzione di un parco archeologico-naturalistico e di sottoporre questo progetto all’attenzione della “Sovrintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio”, della provincia di Benevento.
Le campagne di scavi sono diverse: una tra il 2004-2006, un’altra del 2008-09 con a capo la Soprintendenza e fiancheggiata dal Dipartimento di Studio delle Componenti culturali del territorio, della Seconda Università di Napoli, nell’ambito del Progetto P.O.R. (Programma Operativo Regionale).
beneventoLe ricerche in tal senso, hanno portato alla luce molte informazioni, ovvero che la zona era abitata sin dal III secolo a. C. ed il suo abbandono avvenne dopo il III secolo d.C. Inizialmente venne considerato un quartiere industriale, distinto dalla città abitata perché il suo impianto stradale era longitudinale ed in contrasto con quello della città antica, già conosciuta, che si estende sul cosiddetto colle della Guardia. Nel corso di dette indagini esplorative, emersero strutture di una vera e propria cittadina abitata e fortificata, presenti altresì diversi piani di posa di edifici, le cui fondazioni risalgono al 268 a.C. Il sito in parola era protetto da una cinta muraria, ancora visibile, che inglobava una torre con pianta rettangolare, ed una porta dalla quale passava la strada proveniente dal Molise e dalle altre regioni del Sannio. Tale arteria passava su quello che, nei testi ad hoc, viene chiamato pons maior, cioè “Ponte Fratto” che, dopo il medioevo, crollò e non venne più riedificato. Le nuove informazioni rafforzano l’idea che il primo insediamento della città, sorgeva sulla confluenza dei due fiumi, Sabato e Calore, e che lì erano collocate le industrie ed i depositi che consentivano di commercializzare con le altre città.
La presenza di una “banchina fluviale”, di cui oggi si spiegano i resti, conferma la posizione strategica della zona, tanto che lo studio di quest’area ha consentito una ricostruzione delle trasformazioni, subite dal capoluogo sannita prima dell’arrivo dei Longobardi, dando la possibilità di capire la vera storia della città e la sua evoluzione urbanistica. Cambiamento, questo, già iniziato con “lo spostamento della vita cittadina dalla pianura vicino al fiume al colle”, che consentiva una maggiore difesa.
L’ipotesi fatta sull’abbandono di Cellarulo (oggi Parco Archeologico Cellarulo, n.d.r.), viene confermata quale causa di una possibile esondazione, che colpì l’area nel II secolo d.C. e che causò il crollo di diverse strutture di spoglio, il cui oggetto è riconducibile anche ad altri importanti monumenti, come l’anfiteatro (ne resta una piccola traccia), e la cui ricostruzione mostra l’importanza del centro abitativo in cui sorgeva.
Insieme a Cellarulo, rimasero fuori dalla città anche altri elementi che potevano minare la difesa della città. Tra essi, altri pezzi di storia come il ponte Leproso e la Porta San Lorenzo, che divennero zone extraurbane. La struttura urbana che oggi vediamo, è quella che gli storici chiamano la Civitas Nova, cioè la porzione di città recuperata da Arechi II, per ragioni difensive, nel VII secolo d.C.
Nel 2015 la città di Benevento ha subito una devastante alluvione che ha spazzato via il parco e tutto ciò che era al suo interno. Oggi come oggi e di certo più di ieri (chissà in futuro!?), il parco – museo Cellarulo, inaugurato il 15 luglio 2010 e costato 3,5 milioni di euro, è e resta abbandonato a se stesso, una discarica di rifiuti a cielo aperto, del tutto chiuso, anche se i due ingressi sono stati forzati, dando la possibilità a chiunque di entrare, magari per finire di danneggiarlo e razziarlo.
Sono state fatte diverse petizioni, diverse proteste, ma ancora non si vede nessuna reazione concreta. È difficile capire, si sottolinea in coro da parte dei cittadini nella stragrande maggioranza civili e responsabili, perché la nostra storia e la nostra eredità sia rimasta chiusa dietro un cancello per tutti questi anni.
<<La nostra storia non deve essere dimenticata, la nostra eredità deve essere portata alla luce, dobbiamo salvaguardare il nostro patrimonio culturale e bisogna farla rivivere perché la storia della nostra città. Non avere cura per la propria storia è come non avere cura di se stessi e questo non porterà a migliorare le condizioni di una città che ha tanto da offrire, ma che viene completamente ignorata e oltraggiata>>, si conclude. Ancora, ci chiediamo, fino a quando?

Autore: Gennaro D’Orio – doriogennaro@libero.it

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