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ACQUAROSSA (Vt). La città dei tre colori.

acquarossa 1

acquarossa 1Dagli scavi di un importante abitato etrusco dell’alto Lazio sono emerse testimonianze spettacolari delle sue architetture pubbliche e private. Che oggi possiamo ammirare nelle sale del Museo Nazionale Etrusco allestito nella rocca Albornoz di Viterbo
Ricostruzione di un tratto del porticato che si apriva sul fronte dell’edificio C rinvenuto nell’area monumentale dell’abitato etrusco di Acquarossa, con decorazione costituita da terrecotte architettoniche realizzate a matrice e antefisse a testa femminile. 550-525 a.C.
Ricostruzione di un tratto del porticato che si apriva sul fronte dell’edificio C rinvenuto nell’area monumentale dell’abitato etrusco di Acquarossa, con decorazione costituita da terrecotte architettoniche realizzate a matrice e antefisse a testa femminile. 550-525 a.C.
Se oggi siamo in grado di ricostruire stralci della vita quotidiana, domestica, privata degli Etruschi, tratteggiare l’aspetto delle loro case e delle loro città, ipotizzare usi e stili di vita, lo dobbiamo anche agli scavi effettuati in alcuni centri dell’Etruria meridionale interna. Qui l’indagine archeologica si è concentrata su abitati anonimi, talvolta nascosti da spesse coltri di terreno, piuttosto che sulle monumentali e appariscenti necropoli di un popolo dotato di un estro tecnico e artistico innegabile.
acquarossa 2Per la conoscenza dell’edilizia abitativa e dell’urbanistica etrusca è stata fondamentale la scoperta di quello che, a tutt’oggi, si configura come il principale centro dell’area viterbese, identificato sul colle di san Francesco, pochi chilometri a nord del capoluogo della Tuscia. Il nome Acquarossa, con cui viene attualmente indicato, deriva da quello di un suggestivo torrente, il cui alveo presenta una caratteristica colorazione rossastra, dovuta alla cospicua presenza di ossido di ferro. Il riconoscimento di un abitato arcaico sul colle di San Francesco risale all’inizio del Novecento, ma solo a partire dal 1966 furono avviate campagne di scavo regolari, che l’Istituto Svedese di Studi Classici a Roma, in collaborazione con la Soprintendenza per l’Etruria Meridionale, ha concluso nel 1978.
Il pianoro occupato dai resti dall’abitato etrusco, si estende per circa 30 ettari, ed è delimitato da profonde gole di incisione, formate dall’azione erosiva dei torrenti Acquarossa e Francalancia.
Le piú antiche testimonianze di frequentazione risalgono alla fine dell’VIII secolo a.C. e consistono in un gruppo di fondi di capanna di forma ovale, rinvenuti nella parte meridionale del colle.
Scambi e commerci
La vera fioritura del centro è invece da collocarsi tra il VII e il VI secolo a.C., quando esso appare aperto ai commerci con le grandi città etrusche costiere, soprattutto Cerveteri, e con l’area falisca, facilmente raggiungibile attraverso il Tevere e i suoi affluenti. I contatti si estesero anche oltre i confini dell’Etruria, come testimoniano le importazioni etrusco-corinzie, perlopiú provenienti da Vulci, e soprattutto le ceramiche importate dall’est della Grecia e le cosiddette coppe «ioniche», che probabilmente arrivavano ad Acquarossa attraverso uno dei maggiori centri etruschi della costa, che le conoscenze attuali non permettono di identificare.
La popolazione dell’acropoli, considerando la sua estensione e densità abitativa, doveva raggiungere, nel periodo di massima espansione, i 7000 abitanti, e la base economica dell’ importante centro era rappresentata dalle risorse del territorio. In primo luogo il vasto e fertile terreno agricolo, che ancora oggi caratterizza il paesaggio, e poi la grande riserva naturale rappresentata dai vicini Monti Cimini, che potevano fornire materiale da costruzione (querce e faggi) e scorte alimentari (noci e castagne).
E infine vanno segnalati i giacimenti di metallo, principalmente ferro, che risultano essere stati sfruttati sin dalle prime fasi di vita dell’abitato, come documentano i resti di scorie e i frammenti di crogioli trovati in connessione con le capanne piú antiche, chiara testimonianza di un’attività estrattiva e anche della successiva lavorazione in loco del metallo.
Le zone del pianoro sottoposte a saggi di scavo si trovano prevalentemente vicino ai suoi margini, laddove la terra si è andata accumulando dai punti piú alti, fino a un’altezza superiore a quella normalmente raggiungibile dagli aratri moderni.
Le attività domestiche
I resti architettonici riportati alla luce consistono per la maggior parte in muri di fondazione, pavimenti di argilla, frammenti di tegole ed elementi decorativi in terracotta, che rappresentano l’elemento piú caratteristico degli scavi di Acquarossa. Il rinvenimento, tra i resti architettonici, di frammenti di ceramica – spesso vasellame da cucina e utensili per la tessitura – prova il carattere domestico degli edifici. Le piante delle numerose case scavate, databili tra il 650 e il 550 a.C., e per la maggior parte reinterrate dopo la documentazione, non sono sempre sicuramente definibili, pur mostrando una sostanziale omogeneità. Un tipo di casa molto frequente era quella con due stanze in successione e ingresso non assiale, a cui talvolta venivano aggiunti altri ambienti, alcuni dei quali anche scavati nella roccia. Piú edifici si disponevano spesso attorno a un cortile, nel quale si svolgeva gran parte della vita quotidiana, compresa la preparazione dei cibi, mentre le stanze interne servivano per dormire, oppure potevano avere la funzione di magazzini per derrate o di ripostigli per attrezzi agricoli.
Un agglomerato spontaneo
La distribuzione degli edifici sul pianoro non sembra derivare da una progettazione urbanistica pianificata, quanto piuttosto da un modo di pensare pratico ed economico, e riflette soprattutto la capacità di adattarsi a un determinato contesto. L’immagine che ne deriva è quella di un agglomerato spontaneo e privo di fortificazioni: gli edifici situati sul bordo della rupe costituivano forse già di per sé una sorta di rafforzamento del «muro di difesa» naturale, rappresentato dalle ripide scarpate del colle.
L’aspetto piú sorprendente evidenziato dagli scavi è stato il ritrovamento di una grande quantità di terrecotte policrome, ritenute in precedenza di uso esclusivo dell’architettura sacra o pubblica, mentre ad Acquarossa erano utilizzate per ornare i tetti delle abitazioni private. Nella prima fase (terzo quarto del VII secolo a.C.) le decorazioni fittili del tetto, pur rivelando rapporti con analoghe soluzioni note nel mondo greco, si differenziano a tal punto nei dettagli decorativi da far presupporre una elaborazione locale autonoma. Si nota una certa esuberanza decorativa, evidente nelle protomi a testa di grifo poste su alcuni coppi, nei motivi zoomorfi, in bianco su fondo rosso, di alcune tegole e lastre di rivestimento di travature lignee, che richiamano una caratteristica classe ceramica di produzione ceretana («red-ware») e i cosiddetti piatti «ad aironi», ceretani e veienti.
Agli inizi del VI secolo a.C. compaiono nella decorazione dei tetti alcuni elementi innovatori, sicuramente legati a un’influenza proveniente dal mondo greco. Nuovo è l’impiego della sima (modanatura) a decorazione delle tegole di gronda dei lati frontonali (sime rampanti), a cui si possono eventualmente aggiungere le sime laterali. Questi elementi sono decorati con boccioli di loto e palmette inscritte in doppie volute, realizzate in bianco su rosso, mentre sul cavetto presentano un motivo a linguette dipinte. Le lastre di rivestimento hanno una decorazione a doppia guilloche (treccia), di ispirazione greca e anche le antefisse sono decorate con motivi dipinti. Questi elementi fittili dovevano conferire alle abitazioni un aspetto vivace e colorato e alla città un fascino davvero unico.
Gli spazi pubblici
La maggior parte degli edifici di Acquarossa sono case comuni, private; tuttavia nella parte settentrionale del pianoro (zona F) è stato individuato un settore con un complesso di costruzioni di carattere piú ufficiale, che potremmo definire pubblico. L’area in questione è caratterizzata dalla presenza di due edifici principali (A e C), disposti piú o meno ad angolo retto, in modo tale da delimitare al centro uno spazio a cielo aperto. Questo cortile è chiuso a nord dall’edificio A, costituito da ambienti, la cui suddivisione resta difficile da determinare, che si aprono verso sud tramite un porticato. Dietro una fila di blocchi di peperino si notano due fori che servivano per l’inserimento di basi a sostegno di colonne lignee.
A est il cortile è delimitato dall’edificio C, piú grande e meglio conservato, anch’esso caratterizzato da un porticato, di cui sono ancora in situ due basi di colonna e tracce dell’esistenza di altre tre. Gli ambienti retrostanti erano tre, e quello centrale, piú ampio, prospettava sul porticato con un ingresso al cui centro era un’altra colonna. Da questa stanza si raggiungevano le altre due laterali, delle stesse dimensioni. In quella piú a sud sono stati trovati blocchi di tufo disposti parallelamente ai muri, probabilmente pertinenti a banchine, che hanno fatto pensare a un triclinio, una sala per banchetti.
Il rinvenimento piú significativo è la decorazione fittile dei tetti. Sono stati identificati piú di 2000 frammenti di terrecotte architettoniche realizzate a matrice, in maggioranza recuperati nello stesso strato, rappresentato dal piano di calpestio dell’area scoperta e dal pavimento dei portici antistanti gli edifici. Ciò significa che tutti gli elementi erano in uso nello stesso periodo.
In base a considerazioni soprattutto stilistiche le terrecotte sono state datate tra il 550 e il 525 a.C. Tra di esse è presente un solo tipo di antefissa, a testa femminile, mentre esistono quattro diverse tipologie di lastre a rilievo, indicate come A, B, C e D.
L’eroe sul tetto
Il tipo A rappresenta Eracle e il toro cretese, circondati da guerrieri e da una scena con biga; il tipo B mostra Eracle e il leone nemeo, un cavaliere, un guerriero e altra scena con biga; il tipo C presenta una scena di banchetto, con convitati sdraiati su due klinai (letti per bachetto), fiancheggiati da un flautista, un suonatore di lira e un servitore; il tipo D, infine, mostra una scena di danza, con una sequenza di figure, alcune in atto di eseguire acrobazie, altre con otri di vino o vasi per bere, altre ancora in atto di suonare il doppio flauto o la lira. Tutte le lastre hanno le stesse dimensioni (60 x 21 cm) e, come le antefisse, erano dipinte in rosso, bianco e nero.
Durante gli scavi è stata registrata la posizione di tutti i frammenti, rinvenuti quasi esclusivamente davanti agli edifici, nel cortile. Quantità minori si trovavano nei portici dei due edifici principali, e nelle stanze retrostanti. La conclusione è che solo le facciate erano decorate e rappresentavano un’unità architettonica unica e coerente. Lo studio delle carte di distribuzione dei frammenti, inoltre, prova che quelli delle antefisse a testa femminile avevano un’area di diffusione limitata, mentre quelli delle lastre a rilievo erano distribuiti in uno spazio molto piú vasto.
Le antefisse decoravano sicuramente entrambi i portici, posizionate come ultimo coppo del bordo del tetto. Dei quattro tipi di lastre, invece, solo quello con Eracle e il toro è stato assegnato a entrambi i contesti. Nell’edificio C tali lastre erano collocate lungo il margine del tetto, un’ipotesi ricostruttiva molto verosimile, soprattutto in considerazione della loro funzione protettiva. Nella decorazione dell’edificio A erano invece in uso tutte e quattro le tipologie di lastre, perciò la sua facciata doveva risultare molto piú complessa.
Dallo studio alla ricostruzione
È stata proposta una soluzione conosciuta da altri esempi architettonici di ambiente etrusco, vale a dire un frontone con un tetto inserito. Un frontone del genere offre appunto quattro superfici che possono essere rivestite: i due spioventi del tetto principale, il margine del tetto inserito e l’architrave. Si è ipotizzato per le lastre con Eracle e il toro (A) e quelle con l’eroe e il leone nemeo (B) una collocazione sugli spioventi, in modo che le teorie di personaggi convergessero alla sommità del timpano. Al bordo del tetto inserito e all’architrave erano invece riservati i tipi con scena di banchetto (C) e con danzatori e acrobati (D), anche se la posizione reciproca rimane incerta. Questa ipotesi di collocazione delle lastre è stata utilizzata per la ricostruzione in scala reale allestita nel Museo Nazionale Etrusco della Rocca Albornoz di Viterbo, dove il complesso monumentale è presentato in alzato con materiali originari e parti integrate.
Ma quale funzione potevano avere avuto i due edifici? La pianta dell’area è stata confrontata con quella della Regia di Roma e quella del palazzo di Murlo presso Siena. In quest’ultimo caso, però, ben quattro edifici, disposti ad angolo retto, racchiudono lo spazio aperto e l’ambientazione è extraurbana, quindi è difficile istituire uno stretto parallelismo tra le due situazioni.
Le terrecotte architettoniche sono spesso associate a un ambito sacro. Pertanto una delle prime ipotesi che si è cercato di verificare è stata quella di un possibile contesto templare. L’interpretazione religiosa potrebbe essere sostenuta dalla presenza di un’iconografia simile su lastre rinvenute in alcuni importanti santuari arcaici, come a Velletri o al tempio della Mater Matuta a Roma. È stato inoltre osservato che la collocazione all’interno dell’area urbana, nei pressi di una delle porte di accesso alla città, è sotto molto aspetti paragonabile alla posizione delle aree sacre in altre città etrusche. Ma nessuno degli edifici ritrovati presenta la pianta di un tempio, né è stato ritrovato alcun ex voto nell’area. Inoltre la sistemazione delle tre stanze in fila nell’edificio C, di cui quelle laterali accessibili soltanto dalla centrale e la presenza di una possibile sala con triclinio, sembrerebbero indicare un’architettura domestica piú che sacra.
Questioni aperte
Un’altra chiave di lettura del complesso potrebbe essere quella palaziale. Forse l’esuberante decorazione fittile era pertinente a un edificio civile, di una certa importanza, residenza di dinasti o sede che rivestiva un ruolo essenziale nell’organizzazione politica dell’insediamento. Le processioni e i banchetti possono trovare una ragionevole collocazione anche in un’interpretazione «aristocratica» delle scene. Interessanti discussioni scientifiche sono state condotte in merito al possibile simbolismo politico delle immagini di Eracle, suggerendo che l’introduzione di questo specifico tema potesse configurare un richiamo a un potere di tipo tirannico.
L’interpretazione civile non escluderebbe lo svolgimento contestuale di funzioni religiose. È infatti ritenuta plausibile l’esistenza di un culto connesso con il sovrano e i suoi antenati, e una attività religiosa sembra essere suggerita da una fossa, tagliata nel banco tufaceo, scoperta all’interno del cortile. A oggi, la questione resta aperta.
Infine, ancora non si è fatta piena luce sulla fine di questo centro interno dell’Etruria meridionale, di cui gli scavi hanno messo in evidenza l’importanza storica e il valore scientifico. L’ultimo periodo di frequentazione corrisponde alla fine del VI secolo a.C., ma nulla indica un lento declino della città. Al contrario, ambiziose costruzioni, come l’area monumentale della zona F, furono realizzate fino alla fine della sua esistenza. L’ipotesi piú probabile è che l’abitato di Acquarossa sia stato distrutto, e successivamente abbandonato, a seguito di una guerra tra potentati o città rivali. Un epilogo violento, documentato dalle tracce di distruzione e incendio.

Autore: Paola Di Silvio

Fonte: http://www.archeo.it , n. 349, marzo 2014

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