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SAINT LOUIS (U.S.A.) : I fossili dell’Hobbit rappresentano probabilmente un nuovo ramo della famiglia umana.

Il fossile di un umano in scala ridotta, soprannominato Hobbit, rappresenta probabilmente una specie precedentemente sconosciuta di primi umani, secondo i risultati di una comparazione dettagliata della scatola cranica del fossile con quelle di umani, scimmie ed altri antenati umani.

Gli scettici avevano sostenuto che i resti dell’Hobbit, scoperti in Indonesia lo scorso autunno, potevano appartenere ad un individuo affetto da una forma di disordine che limitasse la crescita del cervello, noto come microcefalia. Gli scopritori del fossile avevano suggerito invece si potesse trattare di un pigmeo di una specie conosciuta o ancora una specie mai scoperta di primi umani.

I nuovi dati derivati dall’Hobbit hanno rivelato poche somiglianze con la microcefalia e le razze pigmee, e sostengono piuttosto la teoria che il fossile fosse parte di una specie unica di antenati, secondo i ricercatori che hanno pubblicato i loro risultati online su Science.

Autori dell’articolo: gli scienziati alla Florida State University, della Scuola di Medicina della Washington University di St. Louis; dell’Università del New England, Australia; ed il Centro Indonesiano per l’Archeologia di Jakarta.

Gli archeologi australiani e indonesiani hanno riportato alla luce l’Hobbit nel 2003, in una grotta dell’isola di Flores. I resti dei denti, che sembrano appartenuti ad una femmina, indicano che era completamente sviluppata – quindi adulta – al tempo della morte. Ma misurava solo 3 piedi di altezza, con un cervello della dimensione di un terzo circa rispetto ai moderni umani adulti. Le evidenze suggeriscono che possa aver vissuto attorno a 18,000 anni or sono.

Basandosi sulle somiglianze nella struttura craniale esteriore degli umani e degli antenati umani, gli scienziati hanno suggerito che l’Hobbit appartenesse all’Homo, le categoria di classificazione generale di specie o genere che comprende la moderna umanità. Ci si riferisce ai membri del genere come a “ominidi”.

Gli scienziati hanno deciso di chiamare la nuova specie Homo Floresiensis, dal luogo della sua scoperta.

Niente resta del cervello dell’hobbit nel suo cranio fossile, ma le tracce impresse sull’interno del cranio possono essere usate per inferire alcuni aspetti della originaria struttura dell’encefalo.

“Possiamo analizzare i segni impressi all’interno del cranio per ottenere un dato positivo – ovvero che si trovasse qui una particolare struttura cerebrale – ma non potremo ottenere la prova conclusiva del dato negativo – che una struttura cerebrale non si trovasse qui” spiega un autore dello studio, Charles Hildebolt, Ph.D. professore associato di radiologia alla Washington University.

L’autore principale, Dean Falk, Ph.D., professore alla Hale G.Smith e direttore di antropologia alla Florida State University, è un esperto in paleoneurologia, lo studio dell’evoluzione del cervello. Falk normalmente studia la struttura del cranio mediante la misurazione delle strutture craniche e delle fosse dentali. Quando la National Geographic Society le ha fornito un calco del cranio dell’hobbit per analisi, Falk ha contattato Hildebolt ed altri membri della facoltà all’Istituto di Radiologia all’Istituto di Mallinckrodt dell’Università di Washington.

I radiologi, antropologi ed anatomisti dell’Università di Washington, hanno sviluppato differenti metodi per usare la tomografia computerizzata, e ricostruzioni in 3-D per studiare i fossili umani. Basandosi sui dati dalla scansione tomografica ottenuti in Indonesia, e avanzati software informatici, gli scienziati hanno prodotto una rappresentazione digitale della scatola cranica dell’Hobbit.

Per comparazione, gli scienziati hanno scansionato le scatole craniche di diversi individui, in prestito dal Museo di Cleveland di Storia Naturale, e dal Museo Americano di Storia Naturale, ed elaborato i dati risultanti come avevano fatto con i dati dell’Hobbit. Tali risultati sono stati poi utilizzati per produrre calchi virtuali dell’interno del cranio – una rappresentazione tridimensionale computerizzata delle presunte strutture del cervello contenute nel cranio.

I ricercatori hanno ricavato per comparazione dati aggiuntivi dalla misurazione di calchi di latex dell’interno – modelli ricavati nel latex delle probabili strutture cerebrali trovate in 10 crani umani, 18 crani di scimpanzé e 5 crani di Homo erectus, un ominide che visse in Asia e Africa da circa 2 milioni a 25,000 di anni or sono.

Tra i crani umani, ve n’era uno affetto da microcefalia ed uno pigmeo. In pazienti microcefali, anormalità cromosomiche impediscono la normale crescita della parte superiore del cranio e del cervello. Gli scienziati hanno trovato poche somiglianze strutturali tra i cervelli dei moderni microcefali e gli Hobbit.

“Non possiamo ancora pronunciarci sulla microcefalia secondaria, che può essere causata dall’esposizione ad infezioni o tossine nella vita prenatale” nota Hildebolt. “Ma vi sono rapporti secondo i quali gli scienziati in Indonesia avrebbero trovato altri fossili come l’Hobbit. Con simili risultanze, diviene molto più complesso attribuire una simile misura cranica alla microcefalia secondaria”.

Gli scienziati hanno trovato anche poche somiglianze con l’Hobbit nel calco interno virtuale prodotto dal cranio pigmeo.

In aggiunta allo studio delle forme del cranio, i ricercatori hanno condotto dettagliate comparazioni delle dimensioni dell’interno del cranio in calchi virtuali. Le analisi hanno identificato diverse somiglianze tra il cervello dell’Hobbit e quello dell’Homo erectus. Ad ogni modo, vi erano anche differenze significative tra l’Hobbit e l’Homo Erectus.

Falk ha creduto di riconoscere nella fessura della parte finale del cranio dell’Hobbit il “solco a luna”. La struttura si trova parimenti verso l’estremità dei moderni cervelli umani.

“Il solco a luna separa la corteccia visuale primaria dal resto del cervello” spiega Hildebolt. “Tende a rimanere spinta verso il fondo del cervello con l’espansione dei lobi occipitale, parietale e temporale, e perciò è normalmente segno di un avanzamento nello sviluppo del cervello.”

La scoperta aggiunge fuoco al dibattito sul livello di abilità mentale dell’Hobbit. La grotta in cui gli scienziati hanno trovato l’Hobbit contiene i resti di strumenti di pietra, fuoco ed elefanti pigmei, a suggerire (ma non dimostrare) che l’Homo floresiensis potrebbe avere avuto abilità cognitive sorprendenti, considerando la dimensione del cranio, più simile a quella dello scimpanzé.

Fonte: Newsletter Archeologica – newsarcheo@yahoo.it 03/03/05 – http://medinfo.wustl.edu/
Autore: Eleonora Carta
Cronologia: Preistoria

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